Questo numero de La Città invisibile è il primo del nuovo anno. Come in quelli passati abbiamo ricevuto auguri e speranze per un anno migliore di quello appena concluso, ma lo sarà solo se le persone di buona volontà – quelle che oggi si chiamano il 99% – alzeranno la testa e la voce per dire “basta”.
Questo nuovo anno si apre con i più funesti presagi, le guerre ereditate dal 2023 in tutto il mondo non hanno sbocchi positivi al momento; la tragedia in Palestina è ovviamente in primo piano, dove la risposta al violento attacco di Hamas del 7 ottobre non appare nemmeno più guerra, ma pura mattanza in cui si spara nel recinto dove sono state rinchiuse più di due milioni di persone. Media mainstream e governi occidentali si lamentano solo degli schizzi che imbrattano i “valori dell’occidente”.
Il livello di imbarbarimento in cui siamo precipitati era inimmaginabile fino a poco tempo fa: si parla di deportare un intero popolo, quello palestinese, dal proprio territorio in Congo o in Ciad o in Ruanda come fossero masserizie o animali per uno zoo; tutto senza pensare a chi quei territori già li abita. Tornano alla mente le proposte degli anni ‘30 del secolo scorso in cui si parlava di trasferire e confinare in Madagascar gli Ebrei da tutta l’Europa; poi come sia finita lo ricordiamo bene. Chi oggi vuol fare questo si dice discendente delle vittime di quell’orrore e questo rende tutto ancora più surreale. Il Sudafrica, tra i paesi che hanno conosciuto bene cosa sia colonialismo, razzismo e apartheid, sta parlando apertamente di genocidio per quello che accade in Palestina; i nostri media mainstream condannano solo le violenze di Hamas del 7 ottobre.
Non si vogliono nemmeno vedere le conseguenze di questo conflitto che pare allargarsi e diventare un incendio; i problemi non esistono da oggi, l’occupazione della Palestina dura da più di settanta anni, la destabilizzazione dell’area, come ci ricorda anche Alberto Negri, dura da più di venti anni e rischia solo di deflagrare.
La cecità occidentale la si vede bene anche in Europa dove una guerra tra Stati Uniti e Russia viene derubricata a guerra e invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Le ciarle dei governanti di quasi tutti i paesi europei addossano a questa tutte le responsabilità – certamente ne ha – e oscurano come questa guerra sia stata voluta, provocata, pianificata negli anni dall’alleato statunitense. Nessun pudore nell’aver diffuso le notizie più false e stupide (la Russia era alla canna del gas, aveva finito le munizioni, Putin aveva cancri e malattie di tutti i tipi, l’Ucraina stava vincendo la guerra), nessuna scusa ad aver mentito ai propri popoli; soprattutto nessuno scrupolo ad aver mandato una intera generazione di Ucraini al massacro in una guerra che non possono vincere per gli interessi dello zio Tom.
La cecità continua nel non vedere che quella ai confini dell’est è una guerra anche alla costruzione assurda dell’Unione Europea che non è uno stato, non è una nazione, ma un macchinoso esperimento del più feroce liberismo dove i paesi sono stati messi in concorrenza tra loro per abbassare i livelli di protezione sociale in favore di paesi forti e della finanza speculativa.
Addirittura l’alleato al di là dell’Atlantico, che è in declino, per evitare il precipizio cannibalizza i suoi cosiddetti alleati, spezza i legami dei paesi EU con chi forniva loro energia a buon mercato vendendo i propri prodotti a prezzi destabilizzanti, imponendo un riarmo generale per portare le spese militari al 2% del PIL; forse si pensa ancora ad un neokeynesismo militare, ma il tutto va solo a detrimento di ciò che sopravvive di welfare state, favorendo la privatizzazione anche di questo.
Gli occhi di Europa e Stati Uniti, vistosamente offuscati dai presunti “valori occidentali”, non sono capaci di un minimo discernimento del futuro che si sta preparando, non sono capaci di ripensare a cosa è stato il colonialismo, ai suoi frutti avvelenati che continuano ad ammorbare il mondo, non vedono, soprattutto dal “giardino dell’Europa”, che il mondo non dimentica e non ne può più; non ne possono più nemmeno i cittadini di questi paesi e prima o poi il castello di bugie crollerà. L’élite dell’1% farà di tutto perché il crollo sia addosso alle fasce più povere.
Tanto per aggiungere desolazione al disastro non dobbiamo dimenticare la deriva di certo mondo ambientalista, come i Verdi tedeschi, che sono tra i più fanatici sostenitori delle guerre occidentali e non vogliono vedere i costi ambientali della guerra e delle produzioni militari; il loro silenzio e le loro conseguenti politiche antisociali ne fanno ambigui strumenti anche della crisi climatica in atto.
Oggi essere ottimisti può sembrare un lusso che non potremmo permetterci, ma non è così. Anche nella città di Firenze, la culla della speculazione immobiliare più spinta, si vedono germogli di un futuro possibile: l’esperienza dei lavoratori dell’ex-GKN e la nascita di un forte comitato emerso alla notizia della trasformazione di una caserma a Rovezzano in una base della NATO. Questa seconda esperienza non è solo una protesta per i problemi urbanistici che questa trasformazione provocherebbe, ma ovviamente si lega alla militarizzazione in corso, al diffondersi della guerra, alle conseguenze che si avranno per le fasce sociali impoverite.
La vicenda dei lavoratori dell’ex-GKN da oltre due anni è diventata un esempio da manuale di cosa possa essere una lotta dal basso portata avanti con tenacia, testardaggine per impedire la chiusura di uno stabilimento florido per puri fini speculativi. Quella lotta ha seguito un percorso interessantissimo: da difesa del posto di lavoro si è fatta proposta di politica industriale sostenibile, dal basso; fin dall’inizio si è puntato a definire quella struttura una fabbrica socialmente integrata nel territorio, un bene di tutti, non solo del padrone adesso rintanato in un fondo d’investimento del Regno Unito. Nel tempo è divenuta proposta culturale oltre che politica ed economica facendo intravedere che il lavoro può essere anche uno strumento di costruzione di comunità, di saperi, di analisi, di amicizie e, perché no, di amori.
La fine dell’anno è stata la prova di ciò che può essere una vicenda vissuta collettivamente senza strutture verticiste. Poco prima della fine dell’anno la buona notizia dell’illegittimità dei licenziamenti che dovevano decorrere dal 1 gennaio è arrivata come il coronamento di una lotta fatta assieme; il brindisi collettivo che doveva denunciare la fine della loro esperienza è diventato l’occasione per una manifestazione con molte migliaia di persone per indicare al nuovo anno che un altro mondo è possibile. Certo, il Sindaco della Città Metropolitana Dario Nardella e il Presidente della Regione Eugenio Giani non c’erano a festeggiare, non potevano esserci; dopo imbarazzata solidarietà hanno preferito il silenzio, i loro referenti sono altrove.
Se una speranza esiste a livello locale e mondiale è dal basso, da chi non insegue le autodistruttive ricette dell’1%.
Tiziano Cardosi
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