Abitare il territorio. La mobilità: alcune questioni di metodo

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Abitare, ha scritto Martin Heidegger (in Costruire, abitare, pensare), oltre alle funzioni più strettamente legate alla vita, è “anche soffermarsi, rimanere, un’attività che gli esseri umani svolgono insieme a molte altre attività […] il rapporto tra (uomo) essere umano e spazio non è altro che l’abitare”. E più avanti “quando pensiamo al rapporto tra uomo e spazio, una luce cade sulla natura delle cose che sono i luoghi.”

A noi tocca constatare che solo la configurazione delle città e dei territori antichi ha costruito e governato la disposizione dei luoghi. Strade consolari e pievi, borghi, strade di centuria, poi poderali; incroci e tabernacoli, castelli, monasteri; fiumi e paludi, appoderamenti e fattorie ci raccontano sistemi insediativi e nessi irripetibili. Quelli che il filosofo aveva intuito essere costitutivi dell’abitare: i luoghi.

La grande urbanizzazione del secondo dopoguerra, la stessa disciplina urbanistica ha il più delle volte semplicemente sovrapposto schemi geometrici astrattamente funzionali a quel territorio, seguendo il principio della zonizzazione (di matrice statunitense) e  una rete stradale solo in apparenza razionale, sicuramente ipertrofica, soggetta al dominio del mezzo privato, generatrice di libertà e schiavitù degli abitanti; mentre l’ingente reticolo ferroviario realizzato durante un secolo di “rivoluzione industriale” nella sue ramificazioni più capillari è stato abbandonato o lasciato in stato di obsolescenza. “Si è costruito troppo e male”, scrive Françoise Choay (in primis la periferia dei cosiddetti casermoni, poi la cosiddetta villettopoli).  La conurbazione, la città diffusa non ha luoghi in cui la cittadinanza può riconoscersi, mentre subisce una mobilità non progettata, straboccante, disturbante.

Si sarebbe potuto scegliere un altro modello di società e di città industriale che, mediante piani e progetti, avrebbe potuto correggere, strada facendo, il modello della mobilità individuale.

Ne sarebbe uscito anche un modello insediativo più razionale e anche una diversa, più confortevole, facilità di movimento. Una libertà legata sia al tempo di lavoro, sia al tempo libero, alla quale, oggi più che mai – in tempi di repressione e detenzioni facili –, dobbiamo tenere come diritto irrinunciabile.

Poiché gli insediamenti non possono essere cambiati se non in porzioni minime e/o in tempi lunghi, occorre agire sui sistemi di trasporto e sugli obbiettivi da raggiungere.

Parto dai secondi che per brevità concentro in uno: la trasformazione della città diffusa in una vera città. Le zone abitative recenti più o meno ampie e disperse dovrebbero essere messe in più facile relazione ai centri antichi dove si trovano i luoghi della comunità, sia quelli di collina (castelli) sia i borghi di strada, le città, le cittadine come Montecatini Terme, Monsummano, Pescia. In modo che questi luoghi siano frequentabili da tutti, si trovino a essere i nodi di una rete di attività pubbliche di ogni tipo e di buona qualità.

Il primo requisito è la facile accessibilità, realizzabile con mezzi pubblici che abbiano alla base la linea ferroviaria principale (FI- LU) potenziata del secondo binario e di una terza coppia che potrebbe anche affiancarsi all’autostrada, da Montecatini a Lucca per merci e passeggeri.

Azzardo un’altra ipotesi: una linea interamente da progettare che, ricalcando antiche vie d’acqua (canali Maestro, Terzo, Usciana, il padule di Fucecchio), colleghi i centri dell’Empolese, quelli pedecollinari del monte Albano, che lambisca le aree produttive con scali merci anche piccoli, in modo da connettere con una bretella su ferro le due maggiori conurbazioni regionali. Si potrebbe ipotizzare un uso prevalentemente diurno per passeggeri e uno prevalentemente notturno per le merci, insieme alla integrazione con mezzi su gomma (gli e-bus), pubblici o privati, e a noleggio orario automatizzato che realizzerebbero il sogno di una mobilità efficiente, integralmente sostenibile contro inquinamento, rumori e pericoli. Tutte le stazioni esistenti e le nuove anche le minori si aggiungerebbero a quei luoghi di comunità (magneti sociali) che formano la città dei cittadini, la civitas metropolitana o se vogliamo la nuova metropolis.

Non è un modo astratto o utopistico di pensare il territorio da abitare. La storia della navigazione fluviale e dei progetti in queste due direttrici della Toscana settentrionale fino ai primi del novecento (di ultimo protagonista l’ing. Bellincioni..) quando ancora si pensava che le vie d’acqua fossero migliori della via ferrata.

L’esempio di Portland (in Oregon) ci mostra che “la realizzazione di nuove strade e autostrade (vedi la terza corsia autostradale A11) non rappresenta il modo migliore per incrementare le relazioni urbane e territoriali”. Il piano (di Peter Calthorpe, 1994) ha fondato la propria strategia sull’uso delle esistenti linee di trasporto pubblico, in particolare su ferro […]. L’incrocio del sistema da tutelare – per noi l’habitat esistente (e migliorabile) – con le linee ferroviarie conduce a una evoluzione policentrica transit-oriented, capace di creare una rete di città (borgate e aree miste) potenzialmente indipendenti dall’uso del mezzo di trasporto privato[1]

Segue l’importanza di creare percorsi pedonali interessanti, qualificare quartieri, abilitare strade commerciali, investire nell’urbano a cui si sia posto un limite fisico rigoroso (Calthorpe). Aggiungerei: dare corpo e potenziare i vuoti urbani per dare forma e sostanza ai pieni.

Concludo con un programma di lotta civile: occorre invertire i flussi di spesa pubblica: dalle Grandi Opere Inutili e Dannose come il tunnel TAV, gli aeroporti impossibili, la diga e le banchine per la macro Darsena su bassofondo sabbioso, le linee tramviarie fiorentine parallele alla linea ferroviaria che costano fino a 5 volte il costo medio europeo. Alle infrastrutture militari che minacciano aree vegetali costiere e rispondono alla follia del potenziamento militare della NATO, strade e caserme per una ipocrita difesa che nasconde malcelate aggressioni del riarmo europeo.

Occorre investire nelle piccole opere che si prendono cura del territorio, come quelle cui ho accennato in favore di questa comunità di Val di Nievole, come di tutte le comunità civili e di pace che ne hanno necessità.

Note al testo

[1] Daniele Vannetiello, Verso il progetto di territorio. Luoghi, Città, Architetture, Aión, Firenze, 2009, pp. 69-70.

Il testo è la trascrizione del contributo dell’autore al convegno “La mobilità diffusa in Valdinievole“, tenutosi a Monsummano Terme il 14 giugno 2025. 

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Roberto Budini Gattai

Urbanista, attivo in perUnaltracittà e nei Comitati fiorentini di resistenza alla speculazione

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