Francesca Albanese non si ferma: ecco il report che accusa l’Occidente

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Nonostante una intensa campagna di disinformazione e di odio nei suoi confronti Francesca Albanese continua nel suo lavoro di Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati e pubblica un nuovo report. Il genocidio di Gaza: un crimine collettivo, uscito pochi giorni fa, aggiunge un tassello importante alla denuncia di quanto sta accadendo a Gaza: dopo aver reso note le complicità delle multinazionali nel genocidio, stavolta la relatrice punta il dito contro gli stati occidentali

«Il genocidio a Gaza non è stato commesso in isolamento, ma come parte di un sistema di complicità globale. Invece di garantire che Israele rispetti i diritti umani fondamentali e l’autodeterminazione del popolo palestinese, potenti stati terzi – perpetuando pratiche coloniali e capitaliste razziali che avrebbero dovuto essere da tempo relegate alla storia – hanno permesso che pratiche violente diventassero una realtà quotidiana. Anche quando la violenza genocidiaria è diventata visibile, gli stati, per lo più occidentali, hanno fornito, e continuano a fornire, a Israele supporto militare, diplomatico, economico e ideologico, anche mentre militarizzava la carestia e gli aiuti umanitari. Gli orrori degli ultimi due anni non sono un’aberrazione, ma il culmine di una lunga storia di complicità.» Iniziano così le durissime conclusioni del report che evidenzia i quattro pilastri di questa complicità: complicità diplomatica, militare, economica e umanitaria.

In un contesto internazionale caratterizzato dal sostegno generalizzato a Israele e da una sistematica mancanza di volontà di chiamarlo a rispondere delle sue azioni, Israele ha potuto rafforzare il proprio regime di apartheid coloniale nei Territori Palestinesi Occupati, intensificando gli insediamenti, le demolizioni di abitazioni, le restrizioni alla libertà di movimento e la cancellazione di vite palestinesi. Gli stati occidentali hanno favorito, cercando di giustificare la propria complicità, la diffusione della narrazione israeliana, normalizzando il genocidio, ritraendo i civili palestinesi come “scudi umani” e dipingendo l’offensiva su Gaza come uno scontro tra civiltà e barbarie, producendo distorsioni del diritto internazionale e narrative coloniali. Eppure, come dimostrato dalle misure di successo adottate in passato contro il Sud Africa dell’apartheid, la Rhodesia e il Portogallo, il diritto internazionale possiede gli strumenti per garantire giustizia e autodeterminazione. Oggi, la comunità internazionale ha lo stesso obbligo legale e morale di applicare contromisure efficaci contro ogni Stato che perpetui violenze coloniali, apartheid e pulizie etniche.

Per Albanese la complicità diplomatica si è realizzata tramite l’uso dei potere di veto all’ONU, con le opposizioni al cessate il fuoco, con protezione di Israele nei confronti delle corti internazionali. Un sostegno internazionale pressoché incondizionato ha fornito a Israele la copertura politica e diplomatica per portare avanti la sua offensiva contro il popolo palestinese. Dopo il 7 ottobre 2023, i leader occidentali hanno amplificato le narrative israeliane, descrivendo i palestinesi esclusivamente attraverso la lente del terrorismo e giustificando così, in una retorica da scontro di civiltà, una risposta militare sproporzionata. Questo allineamento si è tradotto in azioni concrete: gli Stati Uniti hanno ripetutamente usato il loro veto al Consiglio di Sicurezza ONU, paralizzando ogni tentativo di cessate il fuoco, mentre altri alleati, come il Regno Unito, hanno offerto un sostegno duraturo. Anche misure presentate come critiche, come le sanzioni contro alcuni coloni estremisti o i tagli ai fondi all’UNRWA, si sono rivelate nella migliore delle ipotesi gesti isolati che, di fatto, scagionano il sistema statale israeliano nel suo complesso. Parallelamente, Israele è stato protetto da qualsiasi forma di responsabilità significativa, sia negli eventi sportivi e culturali che sul piano diplomatico, dove i riconoscimenti dello Stato di Palestina sono spesso giunti condizionati da clausole che ne minano la piena sovranità. Il risultato è un quadro di complicità strutturata che, sotto una parvenza di normalità diplomatica, ha permesso il perpetuarsi di una crisi umanitaria e di un’occupazione sempre più radicata.

Nonostante le risoluzioni ONU che dal 1976 invocano un embargo militare, il fiume di armi verso Israele non si è mai interrotto. Il paese risulta anzi tra i più dipendenti al mondo dalle importazioni belliche, con una quota sul commercio totale che supera di quattro volte quella degli Stati Uniti. Questa fornitura vitale è proseguita nonostante l’accumularsi di prove di genocidio, con Stati Uniti, Germania e Italia in prima linea. Solo rari casi, come Spagna e Slovenia, hanno invertito la rotta cancellando contratti. Gli Stati Uniti hanno anzi intensificato il loro sostegno dopo il 7 ottobre 2023, con visite senza precedenti di alti funzionari e un pacchetto di aiuti militari da 26,4 miliardi di dollari approvato proprio mentre Israele minacciava l’invasione di Rafah. Oltre 742 spedizioni di armi sono state autorizzate, spesso attraverso procedure d’emergenza che hanno scavalcato i normali controlli, accompagnate da un diretto supporto operativo con aerei, droni e forze speciali. Al suo fianco, la Germania, il secondo fornitore, ha giustificato le esportazioni, da fregate a siluri, come un “dovere storico” post-Olocausto, arrivando a concedere in soli due anni il 15% di tutte le licenze emesse in due decenni. Il Regno Unito, dal canto suo, ha garantito una cruciale linea di rifornimento da Cipro e condotto oltre 600 missioni di sorveglianza su Gaza, in una regia coordinata con le operazioni di terra israeliane. L’Italia si piazza sul podio del genocidio al terzo posto come paese esportatore verso Israele nel 2020-2024. Intanto, il conflitto è diventato un volano per l’industria militare israeliana: le esportazioni di armamenti sono cresciute del 18% durante il genocidio, con l’Europa come principale destinataria. Una macchina di morte che, testata sulla popolazione di Gaza, si è trasformata in un inquietante vantaggio commerciale, finanziando e normalizzando l’occupazione sotto gli occhi di una comunità internazionale complice.

Passando all’aspetto diplomatico il report sottolinea come dall’ottobre 2023, Israele abbia inasprito l’assedio su Gaza trasformando le restrizioni esistenti in un blocco totale, riducendo gli aiuti a meno di un terzo dei livelli precedenti. Questa strategia, culminata in una carestia dichiarata nella quale centinaia di persone sono morte per denutrizione, ha preso di mira deliberatamente il sistema umanitario. L’offensiva ha incluso il bombardamento di strutture UNRWA, campagne di diffamazione e la promozione di entità alternative. Quando Israele ha accusato senza prove l’UNRWA di complicità con Hamas, numerosi Stati hanno sospeso i finanziamenti, indebolendo ulteriormente la risposta umanitaria. Nel vuoto creatosi, è emersa una nuova struttura, la Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da USA e Israele, accusata di utilizzare gli aiuti per facilitare uno sfollamento forzato della popolazione verso l’Egitto, in quella che appare come l’attuazione di un piano di trasferimento di massa.

Infine la complicità economica visto che l’economia israeliana, con un commercio internazionale che rappresenta oltre la metà del suo PIL, rimane fortemente dipendente dalle relazioni economiche globali. Proprio questa continuità degli scambi commerciali, nonostante l’occupazione illegale e le violazioni dei diritti umani finisce di fatto per legittimare e sostenere finanziariamente il suo regime di apartheid. L’Unione Europea, in particolare, gioca un ruolo cruciale in questo dinamica, essendo il principale partner commerciale di Israele e assorbendo da sola quasi un terzo del suo volume d’affari globale.

La Relarice speciale «esorta anche i sindacati, gli avvocati, la società civile e i cittadini comuni a monitorare le azioni degli stati in risposta a queste raccomandazioni, e a continuare a premere istituzioni, governi e corporazioni per boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni, fino alla fine dell’occupazione illegale israeliana e dei relativi crimini».

Non vi è dubbio che dopo questo report arriveranno nuove e violente campagne d’odio verso Francesca Albanese, finanziate da Israele e ripetute allo sfinimento negli studi televisivi italiani da giornalisti come Molinari, Augias, Mieli, Battista o da politici come Renzi e Salvini. Se già altri esperti ONU avevano ricevuto critiche e attacchi per le loro valutazioni su Israele, Francesca Albanese paga anche il fatto di essere una donna autorevole, capace, che osa sfidare la narrazione dominante. Cosa c’è di più fuori posto di una donna che usa un linguaggio diretto e chiaro e che è diventata, involontariamente, leader del movimento per la Palestina? Gli attacchi che Albanese riceve seguono un copione machista purtroppo prevedibile e noto: la delegittimazione della sua competenza, tacciandola di essere “emotiva” e “ideologica”; gli insulti tipicamente sessisti di essere “antipatica” e “isterica”; un tono paternalistico che la dipinge come una “maestrina” presuntuosa; e infine, la messa in discussione della sua credibilità professionale con l’accusa infondata di essere “amica di Hamas” e “una finta avvocata”.

Eppure, nonostante tutto questo, Francesca Albanese prosegue il suo lavoro con grande determinazione, la sua forza non risiede solo nella solidità giuridica dei suoi report, ma in un mutamento di coscienza collettiva che sta crescendo lontano dal coro dei media mainstream. Mentre i talk show continuano a ospitare sempre gli stessi opinionisti per delegittimarla, nelle piazze, nelle università e tra l’associazionismo di base si consolida un sostegno importante. È lì, fuori dai palazzi, che le sue parole diventano bandiera di un movimento globale che non chiede più solo un cessate il fuoco, ma giustizia per il popolo palestinese. Ogni insulto paternalista, ogni tentativo di silenziarla, rivela sempre più chiaramente quanto sia scomoda e necessaria la verità che porta con sé.

 

A seguire il testo del report tradotto in italiano da La Città invisibile oppure scarica qui la versione originale

Il genocidio di Gaza: un crimine collettivo

Il genocidio in corso a Gaza è un crimine collettivo, sostenuto dalla complicità di influenti Stati terzi che hanno consentito le violazioni sistemiche e di lunga data del diritto internazionale da parte di Israele. Inquadrata da narrative coloniali che disumanizzano i palestinesi, questa atrocità trasmessa in diretta è stata facilitata dal supporto diretto, dagli aiuti materiali, dalla protezione diplomatica e, in alcuni casi, dalla partecipazione attiva degli Stati terzi. Ciò ha rivelato un baratro senza precedenti tra i popoli e i loro governi, tradendo la fiducia su cui poggiano la pace e la sicurezza globale. Il mondo si trova ora sul filo del rasoio tra il collasso dello stato di diritto internazionale e la speranza di un rinnovamento. Il rinnovamento è possibile solo se si affronta la complicità, si assumono le responsabilità e si sostiene la giustizia.

I. Introduzione

1. Senza la partecipazione diretta, l’aiuto e l’assistenza di altri Stati, la prolungata occupazione illegale israeliana del territorio palestinese, che ora è degenerata in un genocidio vero e proprio, non avrebbe potuto persistere. Il supporto militare, politico ed economico di alcuni Stati terzi e la mancanza di volontà di ritenere Israele responsabile hanno permesso a Israele di consolidare il suo regime di apartheid coloniale da insediamenti nel territorio palestinese occupato (oPt), con più colonie, demolizioni di case, restrizioni alla movimento e perdita e cancellazione della vita palestinese. Dall’ottobre 2023, Israele ha intensificato la sua violenza a un livello senza precedenti.

2. Alla luce di questa complicità, il presente rapporto dimostra che l’genocidio in corso dei palestinesi deve essere inteso come un crimine abilitato a livello internazionale. Molti Stati, principalmente occidentali, hanno facilitato, legittimato e infine normalizzato la campagna genocidaria perpetrata da Israele. Ritraendo i civili palestinesi come “scudi umani” e l’ampia offensiva a Gaza come una battaglia della civiltà contro la barbarie, essi hanno riprodotto le distorsioni israeliane del diritto internazionale e i tropi coloniali, cercando di giustificare la propria complicità nel genocidio.

3. Concentrandosi sull’aiuto e l’assistenza che gli Stati terzi hanno fornito all’occupazione israeliana illegale e al suo genocidio del popolo palestinese, il rapporto identifica quattro settori di supporto: diplomatico, militare, economico e “umanitario”. Ciascuno è indispensabile per le violazioni israeliane in corso del diritto internazionale. Le iniziative diplomatiche hanno normalizzato l’occupazione israeliana e non sono riuscite a ottenere un cessate il fuoco permanente. Gli aiuti militari su larga scala, la cooperazione e il trasferimento di armi, principalmente da e verso gli Stati Uniti e gli Stati europei, hanno consentito il dominio israeliano sul popolo palestinese. Ciò ha anche facilitato le azioni israeliane per smantellare gli aiuti umanitari e imporre condizioni di vita calcolate per provocare la distruzione dei palestinesi come gruppo. La cooperazione economica ha alimentato l’economia israeliana, che ha tratto profitto dall’occupazione illegale e dal genocidio.

4. Le misure di successo implementate contro il Sud Africa dell’apartheid, la Rhodesia, il Portogallo e altri regimi coloniali dimostrano che il diritto internazionale può essere fatto rispettare per garantire giustizia e autodeterminazione. Oggi, gli Stati terzi hanno lo stesso obbligo legale e morale di applicare queste e altre misure contro qualsiasi Stato che perpetui ancora violenza coloniale da insediamenti e apartheid. Il loro fallimento nel ritenere Israele responsabile dei suoi crimini internazionali di lunga data – nonostante gli ordini chiari delle corti internazionali – espone i palesi doppi standard della comunità internazionale.

II. Metodologia

5. Il rapporto è stato sviluppato attraverso una revisione di materiali delle Nazioni Unite, incluso il rapporto del Segretario Generale A/79/588 e 40 contributi di attori statali e non statali. A tutti i 63 Stati menzionati nel rapporto è stata data l’opportunità di commentare su errori o inesattezze fattuali; 18 Stati hanno inviato una risposta.

III. Quadro Giuridico

6. Il diritto internazionale impone una serie di obblighi a tutti gli Stati di rispettare, prevenire e porre fine a:

(a) Obblighi diretti che tutti gli Stati devono al popolo palestinese – in particolare gli obblighi di rispettare il loro diritto all’autodeterminazione e alla libertà dall’apartheid e dal genocidio – e allo Stato di Palestina, rispettando i principi di non interferenza, integrità territoriale, indipendenza politica e autodifesa.

(b) Obblighi *erga omnes* derivanti dalla grave violazione di norme imperative – l’obbligo di rispettare l’autodeterminazione del popolo, il divieto di genocidio, segregazione razziale, apartheid e acquisizione territoriale mediante la forza da parte di Israele, inclusi: (i) un obbligo positivo di porre fine, individualmente e cooperativamente, a qualsiasi situazione illegale attraverso mezzi legali; e doveri negativi di non (ii) riconoscere come legale la situazione derivante dalla loro violazione, o (iii) prestare aiuto o assistenza per mantenere quella situazione.

(c) Obblighi di diligenza per prevenire specifiche violazioni del diritto internazionale, inclusi gli obblighi di: (i) prevenire il genocidio (attivato quando sorge un “rischio serio”); (ii) garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario (attivato quando le violazioni sono “probabili o prevedibili”) e (iii) cooperare per prevenire crimini e attacchi a persone protette internazionalmente.

(d) Obblighi di astenersi dall’aiutare o assistere, o dal partecipare direttamente ad atti internazionalmente illeciti di altri Stati, inclusi aggressione, apartheid e genocidio.

7. Sebbene il diritto internazionale non prescriva le azioni specifiche che gli Stati terzi devono intraprendere per adempiere ai loro obblighi, certi obblighi sono valutati in base ai risultati. Dove questi obblighi sono doveri di condotta, la responsabilità dello Stato dipende dalle circostanze coinvolte, dalla gravità delle violazioni in questione, dal livello di influenza sullo Stato che viola e dai mezzi disponibili per esercitare tale influenza. Uno Stato viene meno al suo obbligo se non utilizza tutti i mezzi disponibili per adempierlo.

8. Alcune aree del diritto internazionale specificano i mezzi disponibili per gli Stati e l’*opinio juris* riguardo alle azioni attese, che sono rilevanti per valutare la conformità degli Stati terzi ai loro obblighi. Queste includono:

(a) *Misure forzose*: Gli Stati terzi possono, e in alcuni casi devono, usare la forza contro uno Stato in violazione dell’Articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite, in almeno tre circostanze: (i) ai sensi dell’Articolo 51 della Carta ONU, gli Stati terzi possono intervenire su richiesta di uno Stato che agisce in legittima difesa quando sottoposto a un atto di aggressione; (ii) in base a una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU ai sensi del Capitolo VII della Carta ONU; (iii) ai sensi della risoluzione “Uniting for Peace”.

(b) *Embargo sulle armi*: il Trattato sul commercio di armi vieta il trasferimento di armi e altri beni correlati quando è noto o avrebbe dovuto essere noto che i beni saranno utilizzati in crimini internazionali. Richiede inoltre valutazioni del rischio per prevenire trasferimenti laddove esistono rischi preponderanti per la pace e la sicurezza internazionale o di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. I divieti si applicano anche al transito e al trasbordo.

(c) *Embargo commerciali*: i trattati sotto l’Organizzazione Mondiale del Commercio consentono agli Stati di deviare dai principi commerciali fondamentali, come la Nazione più favorita, per adempiere ai loro obblighi della Carta ONU relativi alla pace e alla sicurezza internazionale, incluse le norme imperative. Gli accordi bilaterali di libero scambio e sugli investimenti con Israele di solito contengono clausole simili, e argomentazioni sui diritti umani sono state sostenute in arbitrati internazionali. Nella misura in cui gli accordi bilaterali violano norme imperative o ne sostengono la grave violazione, sono nulli e void.

(d) *Diniego del passaggio sicuro*: la Convenzione sul diritto del mare consente agli Stati di prevenire il “passaggio non innocente” quando il passaggio di una nave non è “conforme alle norme del diritto internazionale”, e rischia di rendere lo Stato complice di crimini internazionali, violazioni degli obblighi della Carta ONU o norme imperative.

(e) *Perseguimento e punizione*: ai sensi delle Convenzioni di Ginevra e del diritto internazionale consuetudinario, tutti gli Stati hanno l’obbligo di perseguire e punire il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e la tortura, indipendentemente dalla loro connessione con il crimine. Gli Stati terzi hanno anche obblighi di ritenere responsabili terze parti, incluse le corporazioni, per le violazioni dei diritti umani e altre violazioni del diritto internazionale nei loro tribunali domestici.

9. Un contesto di violazioni sostenute e intersecanti di norme imperative, e l’obbligo di prevenire il genocidio, moltiplicano l’imperativo di agire. Ciò può significare che le azioni che gli Stati terzi devono intraprendere per adempiere ai loro obblighi non sono più discrezionali, e che nel non intraprenderle, gli Stati non hanno adottato tutte le misure ragionevolmente disponibili e/o hanno aiutato e assistito in un atto internazionalmente illecito. Cioè, a meno che misure meno intrusive basate sulla valutazione di cui al paragrafo 8 non siano veramente sufficienti.

10. La condotta degli Stati e delle organizzazioni internazionali costituisce complicità quando le loro azioni aiutano e assistono in un modo che: (1) abilita o facilita materialmente o sostanzialmente la commissione dell’atto illecito; (2) sono compiute con piena conoscenza delle circostanze, inclusa l’imminente o attuale occorrenza dell’atto illecito e, ove rilevante, l’intento speciale del perpetratore.

11. La complicità statale è stabilita quando esiste un nesso tra le azioni dei due Stati in questione nella grave violazione di norme imperative. Tale complicità può coinvolgere la fornitura o la negazione di fondi, armi, carburante, intelligence, pressione o sanzioni diplomatiche o politiche, o l’implementazione di ordini e mandati di arresto. L’intenzione di uno Stato terzo di facilitare un atto illecito è ragionevolmente inferibile dalle conseguenze prevedibili delle azioni di quello Stato. Assistenza come la fornitura di fondi, armi, carburante e intelligence e altre azioni meno tangibili (riconoscimento diplomatico, sanzioni, mancata implementazione di obblighi e di ordini giudiziari) possono influenzare sostanzialmente gli Stati che commettono atti internazionalmente illeciti. La conoscenza delle politiche di uno Stato, anche attraverso relazioni ufficiali, può informare l’inferenza rilevante. Sebbene azioni individuali possano non costituire complicità di per sé, il loro effetto aggregato e cumulativo nel tempo, incluso quando combinato con le azioni di altri Stati, deve essere considerato parte della valutazione.

12. Quando la condotta degli Stati terzi è diretta, indispensabile e costitutiva (cioè, senza di essa, il risultato non si sarebbe verificato in tutto o in parte), si deve considerare se gli Stati siano andati oltre l’aiuto e/o l’assistenza per partecipare congiuntamente a un atto internazionalmente illecito. Come in un’impresa criminale comune nella responsabilità penale individuale, non è necessario stabilire che uno Stato compia l’atto illecito nella sua interezza, solo che il loro contributo sia un elemento costitutivo del crimine e attribuibile allo Stato. La responsabilità statale diretta per genocidio può sorgere quando (a) una condotta attribuibile a uno Stato è integrale alla commissione di uno o più atti genocidi, e (b) lo Stato ha formato l’intento genocida in base alla totalità della condotta a lui attribuibile.

13. Le violazioni israeliane nel territorio occupato sono state accertate per decenni. Nel 2004, nel suo Parere consultivo sul Muro, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha messo in guardia la comunità internazionale sui suoi obblighi di porre fine alle gravi violazioni delle norme imperative del diritto internazionale. Al 6 ottobre 2023, Israele aveva a lungo negato il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese attraverso l’occupazione, l’annessione e l’uso illegale della forza, mantenendo il controllo sulle vite palestinesi attraverso un sistema di apartheid razzialmente discriminatorio. Il blocco illegale di Gaza, aggravato da regolari attacchi militari che coinvolgono crimini di guerra e crimini contro l’umanità, aveva reso la Striscia di Gaza “inabitabile”, preparando il terreno per il genocidio.

14. Negli ultimi due anni, i crimini israeliani sono aumentati drammaticamente. Entro il 20 ottobre 2023, esperti di diritto internazionale, studiosi di genocidio e organizzazioni per i diritti umani avevano avvertito di un genocidio imminente. Il 26 gennaio 2024, la CIJ ha confermato il serio rischio di genocidio a Gaza, facendo sorgere per gli Stati gli obblighi di prevenirlo e di punire l’istigazione, la commissione o la complicità. Entro maggio 2024, la Corte aveva emesso altri due ordini di Misure Provvisorie e aveva fatto commenti giudiziari in *Nicaragua c. Germania*, il Procuratore della CPI aveva richiesto mandati di arresto per alti funzionari israeliani, e gli Stati terzi avevano “conoscenza attuale o costruttiva” dei crimini internazionali in corso che non erano riusciti a prevenire, innescando una responsabilità accentuata di agire.

15. Nel luglio 2024, 20 anni dopo il suo Parere consultivo sul Muro del 2004, la CIJ ha determinato l’illegalità della continuata presenza di Israele nell’intero oPt e l’obbligo di Israele di ritirarsi totalmente, incondizionatamente e il più rapidamente possibile. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha successivamente dichiarato che l’occupazione deve essere smantellata entro il 18 settembre 2025. Israele non lo ha fatto.

16. Il 16 settembre 2025, la Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite ha concluso che Israele sta commettendo genocidio nella Striscia di Gaza, ribadendo gli obblighi di tutti gli Stati di prevenire il genocidio, di cessare di commettere e/o di aiutare e assistere il genocidio e di punire coloro che perpetrano e/o istigano il genocidio.

17. Questi sviluppi confermano la gravità delle violazioni delle norme imperative coinvolte e i concomitanti obblighi legali per tutti gli Stati di agire, con due implicazioni per la valutazione della responsabilità degli Stati terzi:

(a) I doveri intersecanti devono essere valutati in modo olistico e creano un imperativo per tutti gli Stati di adottare misure, incluse quelle delineate nel paragrafo 8, al fine di adempiere ai loro obblighi.

(b) Secondo il diritto vigente, l’estensione delle azioni illegali di Israele rende qualsiasi distinzione tra Israele e l’oPt legalmente e praticamente impossibile. Secondo i test di diligenza delineati nel Parere consultivo del 2024, se Israele stesso non è disposto o non è in grado di distinguere tra il suo territorio e l’oPt, come è il caso, gli Stati terzi devono presumere l’indistinguibilità, il che richiede un boicottaggio completo di Israele.

18. Nel contesto di un’aggressione protratta, diniego dell’autodeterminazione ed efferati crimini internazionali, non ci può essere un ragionevole dubbio che gli Stati che mantengono relazioni con Israele ne siano a conoscenza. Decenni di negligenza da parte degli Stati terzi e di mancato rispetto dei loro obblighi hanno creato le condizioni per la loro complicità nei crimini israeliani in corso. Le sezioni seguenti analizzano olisticamente le violazioni degli Stati terzi, esaminando il legame tra le componenti intersecanti del genocidio e la condotta degli Stati.

IV. Componenti Intersecanti del Genocidio di Gaza

A. Genocidio Sotto l’Apparenza di Azioni Diplomatiche e Politiche

19. Il prolungato supporto politico e diplomatico di influenti Stati terzi ha permesso a Israele di avviare e sostenere la sua aggressione al popolo palestinese. Negli ultimi due anni, una complicità radicata, segnata da manipolazioni narrative e riproduzione di falsità israeliane, ha smorzato le richieste urgenti di azione e offuscato la rete di interessi politici, finanziari e militari in gioco. Il fallimento di lunga data nell’affrontare le eclatanti violazioni del diritto internazionale da parte di Israele – che minacciano la pace e la sicurezza internazionale – ha normalizzato e approfondito le relazioni con esso, radicando l’oppressione, il dominio e la cancellazione.

20. In seguito al 7 ottobre 2023, la maggior parte dei leader occidentali ha ripetuto pedissequamente le narrative israeliane, diffuse da media statali e corporativi, ripetendo affermazioni smentite e cancellando le distinzioni fondamentali tra combattenti e civili. Gli israeliani sono stati dipinti come “civili” e “ostaggi”, e i palestinesi come “terroristi di Hamas”, obiettivi “legittimi” o “collaterali”, “scudi umani” o “prigionieri” legalmente detenuti. Attingendo a una lunga storia del “selvaggio” a cui sono negate le protezioni del diritto internazionale, rivitalizzata dal discorso della Guerra al Terrore, gli Stati occidentali hanno contribuito a giustificare il genocidio contro i palestinesi. Il 9 ottobre 2023, immediatamente dopo che Israele ha annunciato un assedio più stretto su Gaza, i principali leader occidentali hanno espresso sostegno alla “legittima difesa” di Israele – ingiustificata ai sensi dell’articolo 51 della Carta ONU. Il Presidente Biden ha ripetutamente citato rapporti non verificati di “bambini decapitati”. Il leader dell’opposizione britannica Keir Starmer ha difeso il diritto di Israele di tagliare acqua e energia ai civili.

21. Questo ambiente ha alimentato una feroce aggressione israeliana. Anche in mezzo alle richieste urgenti di un cessate il fuoco, gli stati occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno sostenuto solo “corridoi”, “pause” e “tregue” umanitarie – eludendo un cessate il fuoco permanente e assicurando una continuazione della violenza. Gli Stati sono tornati a trattare la situazione come una crisi umanitaria da gestire, piuttosto che risolvere, chiedendo a Israele di porre fine alla sua occupazione illegale una volta per tutte, fornendo ulteriore margine all’assalto a Gaza.

22. Dopo l’ottobre 2023, gli Stati Uniti hanno usato il loro potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sette volte, controllando i negoziati per il cessate il fuoco e fornendo copertura diplomatica per il genocidio israeliano. Gli Stati Uniti non hanno agito da soli. Le astensioni, i ritardi, le bozze di risoluzione annacquate e una retorica semplicistica di “equilibrio” hanno rafforzato la protezione diplomatica e la narrativa politica di cui Israele aveva bisogno per continuare il genocidio. Il Regno Unito ha mantenuto l’allineamento con la posizione statunitense fino a novembre 2024. Un blocco di stati occidentali – Australia, Nuova Zelanda e Canada, a volte uniti da Regno Unito, Germania o Paesi Bassi – a volte è sembrato pronto a fare pressione su Israele, come nel dicembre 2023, quando le loro dichiarazioni hanno aggiunto slancio per un cessate il fuoco. Tuttavia, la loro introduzione del termine “cessate il fuoco sostenuto” ha prodotto una risoluzione del Consiglio di Sicurezza annacquata che ha ritardato l’azione. Nel febbraio 2024, hanno criticato l’invasione pianificata di Rafah mentre contemporaneamente ritiravano i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA). Tale diplomazia ha creato un’illusione di progresso mentre le azioni concrete sono state ripetutamente ostacolate.

23. Le sanzioni hanno svolto una funzione simile. Nel 2024, Australia, Canada, UE, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno sanzionato alcuni coloni e organizzazioni estremiste, e nel giugno 2025, i ministri israeliani Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich sono stati sanzionati da Australia, Canada, Norvegia e Regno Unito. Tuttavia, tali azioni isolate condonano effettivamente il sistema e le strutture statali israeliane nel loro complesso.

24. Gli stati arabi e musulmani hanno a lungo sostenuto la causa palestinese. Tre vertici congiunti arabo-islamici e diverse riunioni straordinarie sulla Palestina hanno generato alcuni sforzi collettivi, incluso il Piano Arabo. Tuttavia, queste azioni non sono state decisive, anche in mezzo all’aggressione israeliana contro sei stati arabi, riflettendo la complessità della geopolitica regionale. La normalizzazione attraverso gli Accordi di Abramo mediata dagli Stati Uniti ha anche spostato gli incentivi economici. Fonti aperte riportano che stati influenti nella regione hanno facilitato rotte terrestri verso Israele, bypassando il Mar Rosso. Mentre Qatar ed Egitto hanno cercato di mediare accordi di cessate il fuoco, il Qatar ospita la più grande base militare statunitense nella regione, e l’Egitto ha mantenuto significative relazioni di sicurezza ed economiche con Israele, inclusa la cooperazione energetica e la chiusura del valico di Rafah.

25. Alcuni stati non occidentali si sono rivolti alle corti internazionali per chiedere responsabilità e fare pressione su Israele affinché cessi le sue azioni. Mentre solo 13 stati hanno sostenuto il Sud Africa davanti alla CIJ, la maggior parte degli stati occidentali ha persistentemente negato il genocidio. Nessuno si è unito al Nicaragua contro la Germania alla CIJ, o ha invocato leggi domestiche contro corporazioni o individui complici. Solo sette hanno deferito la situazione alla CPI, molti hanno cercato di minare i suoi mandati di arresto, e almeno 37 stati sono stati non committal o critici, segnalando l’intenzione di eludere gli obblighi di arresto. Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni per paralizzare la Corte; il Regno Unito ha minacciato il suo finanziamento, mentre il Primo Ministro Netanyahu ha viaggiato liberamente nello spazio aereo europeo, visitando persino l’Ungheria, che si è ritirata dalla Corte nell’aprile 2025.

26. Israele è stato protetto dalla responsabilità sia nei tribunali che nei forum globali, con istituzioni che hanno impedito la sua meritata espulsione sia dagli eventi sportivi (ad es., Olimpiadi di Parigi, qualificazioni ai Mondiali FIFA, FIBA, Davis Cup) che culturali (Eurovision, Biennale di Venezia).

27. La sentenza pionieristica della CIJ sull’illegalità dell’occupazione deve ancora portare un cambiamento. Il 18 settembre 2024, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione ES-10/24, ribadendo la natura vincolante degli obblighi legali della Corte e formulando una roadmap per porre fine all’occupazione entro il 17 settembre 2025 attraverso misure diplomatiche, economiche e legali che gli stati devono ancora implementare.

28. La Conferenza per la Soluzione dei Due Stati saudita-francese del settembre 2025 ha portato dieci nuovi stati a riconoscere lo Stato di Palestina. Sebbene un passo importante, questi riconoscimenti tardivi sono finora rimasti simbolici, senza alcun effetto tangibile nell’affrontare il genocidio in corso. Complessivamente, 20 nuovi stati hanno emesso riconoscimenti dello Stato di Palestina dall’ottobre 2023, ma con condizioni restrittive (ad es., riguardanti la governance, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica e la smilitarizzazione) incompatibili con l’essenza stessa dell’autodeterminazione, riproducendo effettivamente forme di tutela coloniale.

29. Dall’ottobre 2023, solo Belize, Bolivia, Colombia e Nicaragua hanno sospeso le relazioni diplomatiche con Israele, e solo sei stati – Bahrain, Ciad, Cile, Honduras, Giordania, Turchia e Sud Africa – hanno declassato le loro relazioni con Israele.

30. Lo sforzo più notevole è venuto dall’iniziativa del Gruppo dell’Aia lanciata nel gennaio 2025. Guidata da Colombia e Sud Africa, 13 stati della Maggioranza Globale si sono impegnati a far rispettare sei misure concrete contro Israele. Altri ventuno stati si sono uniti alla terza riunione del Gruppo a New York a margine della 80a Sessione dell’Assemblea Generale. Nonostante gli sforzi di alcuni suoi membri, Israele detiene ancora le sue credenziali ONU.

31. Il 30 settembre 2025, molti stati, tra cui Egitto, Indonesia, Giordania, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Emirati Arabi Uniti, hanno appoggiato il “Piano Trump”, nonostante il suo silenzio sulla fine dell’occupazione, sulla garanzia di responsabilità, sulla fornitura di giustizia transitoria e la sua imposizione di un meccanismo temporaneo di governo straniero imperialista per Gaza che mina ulteriormente, piuttosto che realizza, l’autodeterminazione palestinese.

B. Legami Militari: fornire i mezzi di distruzione

32. Sebbene le risoluzioni ONU abbiano chiesto embarghi sulle armi a Israele dal 1976, molti stati hanno continuato a fornirgli supporto militare e trasferimenti di armi. Israele è sproporzionatamente dipendente dalle importazioni di armi, con la proporzione del loro commercio totale più del doppio della media OCSE, e oltre quattro volte maggiore di quella degli Stati Uniti. Questa fornitura internazionale è continuata, anche mentre le prove del genocidio si accumulavano, con Stati Uniti, Germania e Italia tra i maggiori fornitori. Solo pochi stati occidentali, in particolare Spagna e Slovenia, hanno cancellato contratti e imposto embarghi.

33. Gli Stati Uniti hanno sostenuto finanziariamente e militarmente Israele dalla sua creazione. Dopo la guerra del 1967, Israele è diventato il principale destinatario del Finanziamento Militare Estero (FMF) degli Stati Uniti. La partnership strategica sessantennale tra Stati Uniti e Israele è stata sostenuta da un impegno legislativo al “Vantaggio Militare Qualitativo” israeliano, quasi 30 anni di accordi che assicurano la cooperazione militare israelo-statunitense, un costante afflusso di aiuti militari ed economici a Israele e un accesso preferenziale alle vendite militari statunitensi. Il terzo MOU USA-Israele, efficace fino al 2028, garantisce 3,3 miliardi di dollari/anno in FMF più 500 milioni di dollari/anno per la difesa missilistica. Gli Stati Uniti hanno fornito armi a Israele attraverso vendite militari – gli Stati Uniti rappresentano due terzi delle importazioni annuali di armi israeliane – e attraverso l’accesso alla scorta di armi statunitense (WRSA-I) in Israele. Israele ha anche il permesso speciale di utilizzare l’FMF per acquistare armi di fabbricazione israeliana. Nel frattempo l’acquisto israeliano di caccia F-15, F-16 e F-35 e munizioni è supportato dall’accesso a fondi di approvvigionamento per sussidiarie israeliane negli Stati Uniti.

34. Il supporto politico, diplomatico, militare e strategico degli Stati Uniti a Israele è aumentato dopo il 7 ottobre 2023. Alti politici e funzionari militari statunitensi si sono impegnati in viaggi senza precedenti in Israele, incluso per discussioni operative sulla condotta militare israeliana a Gaza. Il 20 ottobre 2023, l’Amministrazione Biden ha annunciato che avrebbe richiesto ulteriori 14,3 miliardi di dollari per Israele. Nell’aprile 2024, questo è passato al Congresso come un pacchetto di 26,4 miliardi di dollari per la difesa israeliana proprio mentre Israele minacciava l’invasione di Rafah, precedentemente una (ma successivamente negata) “linea rossa” per il Presidente Biden. A Israele è stata in seguito esentata dal congelamento degli aiuti militari dell’Amministrazione Trump.

35. Dall’ottobre 2023, gli Stati Uniti hanno trasferito 742 partite di “armi e munizioni” e hanno approvato decine di miliardi in nuove vendite. Le Amministrazioni Biden e Trump hanno ridotto la trasparenza, accelerato i trasferimenti attraverso ripetute approvazioni di emergenza, facilitato l’accesso israeliano alla scorta di armi statunitense detenuta all’estero e autorizzato centinaia di vendite appena al di sotto dell’importo che richiede l’approvazione del Congresso. Gli Stati Uniti hanno dispiegato aerei militari, forze speciali e droni di sorveglianza in Israele, con la sorveglianza statunitense presumibilmente utilizzata per prendere di mira Hamas, incluso nel primo raid sull’ospedale Al Shifa.

36. Entro settembre 2024, gli Stati Uniti avevano presumibilmente fornito 57.000 proiettili di artiglieria, 36.000 colpi di munizioni per cannoni, 20.000 fucili M4A1, 13.981 missili anticarro e 8.700 bombe MK-82 da 500 libbre. Entro aprile 2025, Israele aveva 751 vendite attive del valore di 39,2 miliardi di dollari. Sia l’Amministrazione Biden che quella Trump hanno consentito questo flusso costante di armi, tranne che per una breve pausa nella consegna di bombe da 500lb e 2000lb alla vigilia dell’attacco israeliano a Rafah nel maggio 2024, durata fino a luglio 2024 per le bombe da 500lb e fino a gennaio 2025 per quelle da 2000lb.

37. La Germania è stata il secondo più grande esportatore di armi verso Israele durante il genocidio, con forniture che vanno dalle fregate ai siluri. I leader tedeschi hanno giustificato questo supporto in base ai suoi percepiti obblighi post-Olocausto verso Israele. Oltre a sospendere le valutazioni etiche e legali sull’occupazione israeliana, dall’ottobre 2023 al luglio 2025, la Germania ha emesso licenze di esportazione individuali per un valore di 489 milioni di euro – il 15 percento di tutte le licenze a Israele in 22 anni. Ciò non include alcuna arma trasferita sotto licenze collettive o su base governo-governo. Sebbene il Cancelliere Merz abbia temporaneamente sospeso le future approvazioni di esportazione nell’agosto 2025, 2,46 milioni di euro di esportazioni sono stati approvati un mese dopo.

38. Il Regno Unito ha anche svolto un ruolo chiave nella collaborazione militare con Israele, nonostante l’opposizione interna. Dalle sue basi a Cipro, il Regno Unito ha consentito una cruciale linea di rifornimento statunitense per Tel Aviv e ha volato oltre 600 missioni di sorveglianza su Gaza durante tutto il genocidio, condividendo intelligence con Israele. I numeri di volo e le durate, spesso coincidenti con le principali operazioni israeliane, suggeriscono una conoscenza dettagliata e una cooperazione nella distruzione di Gaza, che si estende oltre il “salvataggio degli ostaggi”.

39. Altri stati hanno fornito parti, componenti e armi a Israele attraverso un sistema opaco che oscura i trasferimenti, inclusi quelli a ‘doppio uso’ e i trasferimenti indiretti. Tra ottobre 2023 e ottobre 2025, 26 stati hanno inviato almeno 10 partite di “armi e munizioni” a Israele, i più frequenti essendo Cina (incluso Taiwan), India, Italia, Austria, Spagna, Repubblica Ceca, Romania e Francia. Aerei militari, veicoli terrestri, droni, cani e articoli a doppio uso come circuiti integrati sono più difficili da tracciare.

40. Gli stati si impegnano anche in trasferimenti indiretti fornendo componenti per armi utilizzate da Israele. Il programma del caccia stealth d’attacco F-35, chiave per l’assalto militare israeliano a Gaza, coinvolge 19 stati – Australia, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Corea del Sud, Romania, Singapore, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti – che forniscono componenti e parti a Israele. Diciassette di loro hanno ratificato il Trattato sul commercio di armi. Nonostante contenziosi nei Paesi Bassi, Canada, Australia, Danimarca e Regno Unito – tutti hanno difeso i loro ruoli, e alcune cancellazioni di esportazioni dirette – gli stati continuano a trasferire parti dell’F-35, pesantemente utilizzate nella distruzione genocidiaria di Gaza.

41. Gli stati utilizzano frequentemente due argomentazioni per giustificare il commercio di armi con Israele: si dice che tali armi siano o “difensive” o “non letali”. Il Trattato sul commercio di armi non riconosce nessuna delle due distinzioni, ma richiede una valutazione olistica di come tutte le armi, parti e componenti saranno utilizzate in ultima analisi. Dato che l’occupazione del territorio palestinese è un uso illecito della forza in corso in violazione della Carta ONU, nulla di ciò che Israele fa lì può essere inteso come “difensivo” in natura.

42. Gli stati hanno continuato a concedere licenze di esportazione per armi a Israele, a rivedere e parzialmente mantenere licenze nonostante riconoscano preoccupazioni (ad es., Regno Unito, Canada, Australia) e a permettere il trasferimento di armi attraverso i loro porti e aeroporti (ad es., Italia, Paesi Bassi, Irlanda, Francia, Marocco). L’Italia, il terzo più grande esportatore verso Israele nel 2020-2024, ha sostenuto di conformarsi agli obblighi legali di cessare queste esportazioni, mentre continua gli accordi esistenti e adotta un approccio hands-off al transito. Queste azioni, nonostante chiari obblighi e preoccupazioni crescenti, indicano un intento di facilitare i crimini israeliani.

43. Gli stati supportano anche l’esercito israeliano attraverso partnership militari e manovre di difesa congiunte. Dal 2015, l’Aeronautica israeliana ha partecipato all’esercitazione INIOCHOS, incluso nel 2025 insieme a Grecia, USA, Italia, Qatar, UAE, Francia, Spagna, Montenegro, India, Slovenia e Polonia. Nel 2024-2025, Israele ha partecipato con 27 nazioni alla più grande esercitazione globale, guidata da AFRICOM (Comando Africa degli Stati Uniti) e dalle Forze Armate Reali Marocchine. I soldati israeliani sono addestrati al UK Royal College of Defence Studies.

44. Inoltre, migliaia di cittadini da Stati Uniti, Russia, Francia, Ucraina e Regno Unito, tra gli altri, hanno prestato servizio nell’esercito israeliano dall’ottobre 2023. Pochi sono stati indagati, e nessuno perseguito per crimini a Gaza.

45. Gli stati terzi continuano anche ad acquistare armi e tecnologia militare israeliana. Oltre ad essere una componente centrale della sua economia – nel 2024 le esportazioni di armi rappresentavano il 23 percento delle esportazioni israeliane, la seconda quota più alta a livello globale – queste esportazioni migliorano anche la capacità manifatturiera di armi israeliana.

46. Un punto di vendita unico della tecnologia militare israeliana è che è testata sui palestinesi sotto occupazione e relative attività militari. Il genocidio in corso ha permesso a Israele di espandere la gamma di armamenti e sistemi di sorveglianza testati sulla popolazione di Gaza. Di conseguenza, il valore delle esportazioni di armi è aumentato del 18 percento durante il genocidio, con le esportazioni verso l’UE più che raddoppiate e pari al 54 percento delle esportazioni militari israeliane nel 2024. Altre destinazioni significative includono Asia e Pacifico (23 percento) e paesi arabi sotto gli Accordi di Abramo (12 percento).

C. Militarizzazione degli aiuti: creare le condizioni di vita per il genocidio

47. Alcuni stati terzi hanno facilitato il degrado delle condizioni di vita della popolazione di Gaza, anche attraverso i mezzi stessi della loro partecipazione alla fornitura di aiuti.

48. Già prima del 7 ottobre, il blocco illegale di Gaza imposto da Israele ed Egitto – con severe restrizioni al movimento di merci, persino fino al calcolo dell’apporto calorico – aveva reso l’80 percento della popolazione dipendente dagli aiuti, con 1,1 milioni che facevano affidamento sull’UNRWA per cibo e servizi di base. L’agenzia è il pilastro del supporto economico, sociale e umanitario per i palestinesi, specialmente a Gaza, il suo radicamento nella popolazione locale le consente di gestire oltre 400 siti per la distribuzione degli aiuti in mezzo al genocidio.

49. Dall’ottobre 2023, Israele ha trasformato le restrizioni esistenti in un blocco totale. Da ottobre 2023 a gennaio 2025, gli aiuti sono stati limitati a una media di 107 camion al giorno – meno di un terzo dei livelli pre-2023. Nel marzo 2025, Israele ha ulteriormente inasprito l’assedio. Entro agosto 2025, la carestia a Gaza è stata dichiarata dalla Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare e almeno 461 persone sono morte per cause legate alla malnutrizione.

50. In violazione dei suoi obblighi di garantire adeguati mezzi di sussistenza – come ribadito dalla CIJ – la campagna genocidiaria di Israele ha deliberatamente cercato di distruggere il sistema umanitario che sostiene la popolazione occupata. Lo ha fatto attraverso: (i) il bombardamento diretto di magazzini UNRWA, siti di distribuzione alimentare, scuole e cliniche, uccidendo oltre 370 operatori; (ii) campagne di diffamazione contro l’UNRWA, e (iii) la promozione di agenzie pseudo-umanitarie ad hoc.

51. Quando Israele ha affermato, senza prove, che il personale UNRWA era coinvolto negli eventi del 7 ottobre, 18 stati hanno immediatamente sospeso i finanziamenti, accettando acriticamente la narrativa israeliana. Nonostante indagini inconcludenti, il personale accusato è stato licenziato e la maggior parte dei donatori ha impiegato mesi per riprendere i contributi all’UNRWA. Gli Stati Uniti, il suo più grande donatore, hanno approvato una legge per vietare i finanziamenti statunitensi. Quando la Knesset israeliana ha compiuto il passo senza precedenti di mettere fuorilegge le operazioni UNRWA entro il 30 gennaio 2025, solo alcuni stati hanno agito richiedendo un Parere consultivo alla CIJ.

52. Il brutale attacco al sistema ONU è stato completato dal suo tentativo di sostituzione con un meccanismo di aiuto controllato da Israele-USA. La Gaza Humanitarian Foundation (GHF) – concepita già nel dicembre 2023, con supporto e finanziamento statunitense – ha utilizzato la distribuzione degli aiuti, attraverso siti gestiti dall’esercito con mercenari statunitensi, per facilitare lo sfollamento forzato dei palestinesi verso l’Egitto. Ciò sembrava anticipare il cosiddetto piano “Gaza Riviera”, che avrebbe portato allo sfollamento forzato palestinese.

53. Da marzo 2025 in poi, in mezzo alla carestia indotta dall’assedio totale e alla distruzione di 23 siti UNRWA in quattro mesi, 2.100 civili inermi sono stati uccisi e centinaia di migliaia sono stati feriti dalle forze israeliane e da contractor statunitensi alla GHF. Nonostante ciò, è stato solo dopo il “piano di pace” del Presidente Trump che la GHF è stata sciolta.

54. Invece di opporsi a questa catastrofe umanitaria creata dall’uomo, Belgio, Canada, Danimarca, Giordania e Regno Unito, tra gli altri, hanno paracadutato aiuti a Gaza – una risposta costosa, inadeguata e pericolosa. Pur pretendendo di agire per alleviare le carenze, ciò ha solo servito a fuorviare l’opinione pubblica internazionale mentre la carestia peggiorava. Le missioni di aiuto navali a Gaza, i tentativi di gruppi della società civile di rompere l’assedio sono stati illegalmente intercettati da Israele in acque internazionali – tra il silenzio e l’inazione degli stati terzi.

55. In diversi momenti cruciali, invece di aderire ai loro obblighi legali, gli stati terzi hanno assistito al deterioramento delle condizioni di vita, implicandoli nell’impatto devastante causato alla popolazione civile in grave bisogno.

D. Relazioni Economiche e Commerciali: il carburante e i profitti del genocidio

56. Israele è fortemente dipendente dal commercio internazionale e dalla cooperazione economica. Mantenere normali relazioni commerciali nonostante l’illegalità della sua occupazione e le violazioni sistematiche dei diritti umani e del diritto umanitario – ora degenerate in genocidio – legittima e sostiene il regime di apartheid israeliano. Nel 2024, il commercio internazionale di beni e servizi equivaleva al 54 percento del PIL israeliano (in calo dal 61 percento nel 2022). L’UE, il suo più grande partner commerciale, ha fornito quasi un terzo del commercio totale negli ultimi due anni.

57. Le importazioni al di là delle armi sono vitali per garantire i beni necessari a sostenere l’occupazione illegale e altre politiche e pratiche illecite israeliane. Molte importazioni israeliane sono beni a doppio uso, che possono essere utilizzati nella produzione di prodotti sia civili che militari. Nel 2024, questi beni rappresentavano il 31 percento delle importazioni israeliane di merci dall’Unione Europea.

58. Le esportazioni hanno fruttato a Israele 474 miliardi di dollari USA nel 2022-2024, alimentando l’economia e le casse fiscali e migliorando la sua capacità manifatturiera di armi attraverso l’esportazione di articoli a doppio uso. Nel 2023, i circuiti integrati sono diventati la principale esportazione israeliana, rappresentando il 16 percento delle esportazioni israeliane di merci (10 miliardi di dollari USA). Spesso commercializzati come tecnologie civili, questi articoli a doppio uso sono essenziali per i sistemi militari israeliani che sorvegliano, controllano e uccidono palestinesi, rafforzando una simbiosi economica militare-civile e il ruolo di Israele nella corsa globale alle tecnologie-armi. Le munizioni a guida di precisione, i droni e i sistemi di difesa missilistica si affidano tutti a tali circuiti specializzati per la navigazione, il radar e il controllo.

59. Il commercio israeliano è rafforzato da almeno 45 accordi di cooperazione economica, incluso con l’UE, gli USA e gli UAE (attuando gli Accordi di Abramo). Questi accordi rimuovono le barriere tariffarie e non tariffarie per beni e servizi a doppio uso e di difesa, mentre spesso non distinguono le trattative con l’oPt, riconoscendo implicitamente l’autorità israeliana sui coloni illegali e le loro imprese e sulle terre annesse.

60. La cooperazione economica si estende anche oltre il commercio. Dal 2014, il Programma Quadro di Ricerca e Innovazione della Commissione Europea (dal 2021, Orizzonte Europa) ha fornito 2,1 miliardi di euro in sovvenzioni a entità israeliane in scienza, tecnologia e innovazione, molte delle quali sviluppano tecnologie a doppio uso e militari. Il Consiglio Europeo per l’Innovazione del programma ha anche finanziato 34 aziende israeliane con 550 milioni di euro di equity e finanziamento misto dal 2021, rendendo Israele tra i maggiori beneficiari pro capite.

61. Dal 1981, la Banca Europea per gli Investimenti ha finanziato entità israeliane con 2,7 miliardi di euro, inclusi 760 milioni di euro in prestiti a Bank Leumi, elencata nel Database OHCHR. Altri accordi includono il BIRD USA-Israele e il BSF USA-Israele, l’accordo tra la Israeli Foreign Trade Risks Insurance Corporation e la UAE Etihad Credit Insurance e il Partenariato per l’Innovazione Cina-Israele.

62. Gli stati hanno in gran parte evitato azioni per adempiere ai loro obblighi legali. Nessun accordo commerciale o economico firmato dal 1967 è stato sospeso. Solo pochi stati hanno ridotto il commercio in mezzo al genocidio in corso, in particolare la Turchia, che ha annunciato la sospensione di tutto il commercio con Israele nel maggio 2024, risultando in una riduzione del 64 percento delle importazioni di origine turca e una quasi totale cessazione delle esportazioni nel gennaio-agosto 2025, sebbene alcuni commerci siano presumibilmente continuati indirettamente. Nel frattempo, altri paesi hanno aumentato il loro commercio con Israele durante il genocidio, inclusi Germania (+836 milioni di dollari USA), Polonia (+237 milioni di dollari USA), Grecia (+186 milioni di dollari USA), Italia (+117 milioni di dollari USA), Danimarca (+99 milioni di dollari USA), Francia (+75 milioni di dollari USA) e Serbia (+56 milioni di dollari USA), così come paesi arabi, inclusi Emirati Arabi Uniti (+237 milioni di dollari USA), Egitto (+199 milioni di dollari USA), Giordania (+41 milioni di dollari USA) e Marocco (+6 milioni di dollari USA). Ciò ha contrastato il declino commerciale che Israele avrebbe altrimenti affrontato (–6 percento).

63. L’obbligo degli stati terzi di agire contro le violazioni del diritto internazionale è spesso incorporato nei trattati. Ad esempio, l’Accordo di Libero Scambio Turchia-Israele del 1996 condiziona la cooperazione al rispetto della politica pubblica, moralità, pace internazionale e sicurezza. Allo stesso modo, l’Accordo di Associazione UE-Israele fa dei diritti umani e dei principi democratici una “clausola elementi essenziali”. Tuttavia, questi principi rimangono irrealizzati. Un documento interno dell’UE del 2024, trapelato nell’agosto 2025, mostra come l’UE fosse determinata a preservare il business-as-usual nonostante le prove delle violazioni israeliane dei termini dell’accordo di fronte all’occupazione illegale e al genocidio. La proposta della Commissione Europea di cancellare le preferenze commerciali fondamentali sul 37 percento delle esportazioni israeliane verso l’UE attende ancora l’approvazione.

64. Oltre alla sospensione dell’accordo commerciale con Israele, gli stati devono anche sospendere tutto il commercio con Israele in prodotti a doppio uso, come l’UE ha fatto con la Russia in seguito alla sua invasione dell’Ucraina. Nel caso dell’UE, questo rappresentava il 38 percento di tutto il commercio UE-Israele (17,5 miliardi di dollari USA) nel 2024, in base alla definizione UE di doppio uso. Il più grande commercio di doppio uso è in circuiti integrati con l’Irlanda, che è aumentato da 2,2 miliardi di dollari USA nel 2022 a 3,2 miliardi di dollari USA nel 2024.

65. Il commercio energetico è stato spesso soggetto a embarghi mirati a portare i paesi in linea con i loro obblighi legali internazionali: esempi includono il Sud Africa dell’apartheid e, attualmente, Russia e Iran. Nel caso di Israele, solo la Colombia, che ha bandito le esportazioni di carbone a Israele nel 2024, ha agito. Russia e Stati Uniti erano i principali fornitori di prodotti petroliferi raffinati a Israele, mentre Azerbaijan, Kazakistan, Brasile e Sud Africa hanno continuato a fornire a Israele materie prime essenziali. Paesi come Marocco, Italia, Francia e Turchia hanno continuato a fornire porti chiave per prodotti, incluso petrolio e gas. L’Unione Europea e l’Egitto hanno continuato a importare gas da Israele attraverso il gasdotto del Mediterraneo orientale, che passa illegalmente attraverso il mare adiacente alla Striscia di Gaza, violando i diritti sovrani palestinesi. Nell’agosto 2025, mentre la fame stringeva Gaza, l’Egitto ha ampliato la sua partnership con Israele attraverso un accordo sul gas naturale da 35 miliardi di dollari USA – il più grande accordo di esportazione nella storia israeliana.

66. Il commercio e la fornitura di materiali e armi a Israele si affidano alle infrastrutture di trasporto degli stati terzi. I porti noti per aver facilitato il transito verso Israele di parti dell’F-35, armi, carburante per jet, petrolio e/o altri materiali includono Turchia, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Grecia, Marocco e USA. Aeroporti in Irlanda, Belgio e Stati Uniti supportano anche i trasferimenti. Molti porti facilitano anche le esportazioni di gas israeliano, incluso attraverso il Gasdotto EMG verso l’Egitto. Lavoratori portuali in molteplici paesi hanno bloccato il commercio illecito in Francia, Belgio, Italia, Marocco, Svezia, Spagna, Gibilterra, Cipro, Malta, Grecia, Creta e Stati Uniti. In risposta, navi e aerei spesso disabilitano i transponder per nascondere le rotte: porti (ad es., Marocco) hanno reindirizzato le spedizioni e alcune consegne passano attraverso trader di stati terzi. Belgio, Spagna e altri hanno lavorato per facilitare questo transito.

V. Conclusione

67. Il genocidio a Gaza non è stato commesso in isolamento, ma come parte di un sistema di complicità globale. Invece di garantire che Israele rispetti i diritti umani fondamentali e l’autodeterminazione del popolo palestinese, potenti stati terzi – perpetuando pratiche coloniali e capitaliste razziali che avrebbero dovuto essere da tempo relegate alla storia – hanno permesso che pratiche violente diventassero una realtà quotidiana. Anche quando la violenza genocidiaria è diventata visibile, gli stati, per lo più occidentali, hanno fornito, e continuano a fornire, a Israele supporto militare, diplomatico, economico e ideologico, anche mentre weaponizzava la carestia e gli aiuti umanitari. Gli orrori degli ultimi due anni non sono un’aberrazione, ma il culmine di una lunga storia di complicità.

68. Gli atti, le omissioni e il discorso degli stati terzi a sostegno di uno stato di apartheid genocidiario sono tali che essi potrebbero e dovrebbero essere ritenuti responsabili per aver aiutato, assistito o partecipato congiuntamente ad atti internazionalmente illeciti, in un contesto di violazioni sistematiche di norme imperative ed *erga omnes*. A questo punto critico, è imperativo che gli stati terzi sospendano immediatamente e rivedano tutte le relazioni militari, diplomatiche ed economiche con Israele, poiché qualsiasi tale coinvolgimento potrebbe rappresentare mezzi per aiutare/assistere/partecipare direttamente ad atti illeciti, inclusi crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.

69. Molti stati terzi hanno operato con la stessa impunità che hanno concesso a Israele. Il loro disprezzo per il diritto internazionale mina le fondamenta dell’ordine multilaterale faticosamente costruito in otto decenni da stati e popoli all’interno delle Nazioni Unite. Questo rimarrà nella storia come un’offesa non solo alla giustizia, ma all’idea stessa della nostra comune umanità. Sebbene la giustizia debba coinvolgere processi penali – sia in corti internazionali che domestiche – la responsabilità si estende oltre i procedimenti giudiziari per includere riparazioni: restituzione, compensazione, riabilitazione, soddisfazione e garanzie di non ripetizione, da parte di Israele e degli stati terzi che hanno sostenuto i suoi crimini. Le strutture di potere che hanno consentito questi crimini efferati devono essere smantellate, e il sistema di giustizia internazionale mostra la strada per farlo.

70. Il mondo sta guardando Gaza e l’intera Palestina. Gli stati devono assumersi le loro responsabilità. Solo adempiendo al diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, così sfacciatamente violato dal genocidio in corso, le strutture coercitive globali durature possono essere smantellate. Nessuno stato può credibilmente affermare di aderire al diritto internazionale mentre arma, supporta o protegge un regime genocidiario. Tutto il supporto militare e politico deve essere sospeso; la diplomazia dovrebbe servire a prevenire i crimini piuttosto che a giustificarli. La complicità nel genocidio deve finire.

VI. Raccomandazioni

71. Richiamando le sue precedenti raccomandazioni, la Relatrice Speciale ricorda a tutti gli stati il loro obbligo legale di non partecipare o essere complici delle violazioni israeliane, e invece di prevenire e affrontare le gravi violazioni del diritto internazionale, in particolare come stabilito nella Carta ONU e nella Convenzione sul Genocidio.

72. Data l’emergenza duratura non affrontata dalle attuali discussioni e piani di “pace”, la Relatrice Speciale esorta gli stati a non causare ulteriori danni al popolo palestinese e a:

(a) Esercitare pressioni per un cessate il fuoco completo e permanente e il pieno ritiro delle truppe israeliane;

(b) Intraprendere passi immediati per porre fine all’assedio a Gaza, incluso dispiegare convogli navali e terrestri per garantire accesso umanitario sicuro e alloggi mobili prima dell’inverno;

(c) Sostenere la riapertura dell’aeroporto e del porto internazionale di Gaza per facilitare la consegna degli aiuti.

73. Oltre l’emergenza, gli stati devono riconoscere l’autodeterminazione palestinese e la giustizia come essenziali per una pace e sicurezza durature, e quindi:

(a) Sospendere tutte le relazioni militari, commerciali e diplomatiche con Israele;

(b) Indagare e perseguire tutti i funzionari, corporazioni e individui coinvolti o che facilitano il genocidio, l’istigazione, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario;

(c) Garantire riparazioni, inclusa la piena ricostruzione e il ritorno;

(d) Cooperare pienamente con la Corte Penale Internazionale e la Corte Internazionale di Giustizia;

(e) Riaffermare e rafforzare il sostegno all’UNRWA e al sistema ONU nel suo complesso;

(f) Sospendere Israele dalle Nazioni Unite ai sensi dell’Articolo 6 della Carta ONU;

(g) Agire ai sensi di “Uniting for Peace”, in linea con la risoluzione 377(V) dell’Assemblea Generale, per garantire che Israele smantelli la sua occupazione.

74. La Relatrice Speciale esorta anche i sindacati, gli avvocati, la società civile e i cittadini comuni a monitorare le azioni degli stati in risposta a queste raccomandazioni, e a continuare a premere istituzioni, governi e corporazioni per boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni, fino alla fine dell’occupazione illegale israeliana e dei relativi crimini.

 

 

NOTE

1 A/HRC/55/73, paras 55-92.
2 Neve Gordon and Nicola Perugini, Human Shields: A History of People in the Line of Fire (University of California Press, 2020); https://jewishcurrents.org/human-shields-gaza-israel-a-legal- justification-for-genocide https://bidenwhitehouse.archives.gov/briefing-room/speeches- remarks/2023/10/20/remarks-by-president-biden-on-the-unites-states-response-to-hamass-terrorist- attacks-against-israel-and-russias-ongoing-brutal-war-against-ukraine/.
3 Ardi Imseis, The United Nations and the Question of Palestine, Rule by Law and the Structure of International Legal Subalternity (Cambridge University Press, 2023).
4 A/77/356, paras. 15–32.
5 Convention on the Suppression and Punishment of the Crime of Apartheid, Article 1; Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination (CERD) Article 3; Legal Consequences Arising from the Policies and Practices of Israel in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, Advisory Opinion, 19 July 2024, I.C.J Reports 2024, para. 229.
6 Genocide Convention, Article I.
7 UN Charter, Articles 2(4), 2(7), and 51; and https://opiniojuris.org/2025/09/24/too-little-too-late-on- the-meaning-and-consequences-of-the-recognition-of-the-state-of-palestine/.
8 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Article 40.
9 https://alhaqeurope.org/wp-content/uploads/2025/09/Wilde-Palestine-AO-OPT-Al-Haq-Europe-
Opinion.pdf, pp. 43-45.
10 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Article 41; and Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion, 9 July 2004, I.C.J Reports 2004, para. 159.
11 Genocide Convention, Article I; Reservations to the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide, Advisory Opinion,28 May 1951, I.C.J. Reports 1951, p. 23; and Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgement, I.C.J Reports 2007, para. 431.
12 Common Article 1 to the Geneva Conventions; International Committee of the Red Cross on customary international humanitarian law, Rule 144; Legal Consequences Arising from the Policies and Practices of Israel in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, Advisory Opinion, 19 July 2024, I.C.J Reports 2024, para 279; and Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion, 9 July 2004, I.C.J. Reports 2004, para. 159.
13 Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America), Merits, Judgment, I.C.J. Reports 1986, p 130, para. 256.
14 Convention on the Prevention and Punishment of Crimes against Internationally Protected Persons, including Diplomatic Agents (1973), Article 4; and A/RES/37/123.
15 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Article 16; and Draft articles on the responsibility of international organizations Article 14.
16 Ibid, Article 47; and ibid., Article 48.
17 A/Res/3314(XXIX).
18 Apartheid Convention, Articles III, IV.
19 Genocide Convention, Article III(e).
20 Obligations of States in respect of Climate Change, Advisory Opinion, 23 July 2025, I.C.J Reports 2025, para 137, 247.
21 Ibid, para 283; International Tribunal for the Law of the Sea, Request for an Advisory Opinion submitted by the Commission of Small Island States on Climate Change and International Law, ITLOS Case No. 31, Advisory Opinion, 21 May 2024, para 239; and “50. The obligation of Third States to prevent genocide” (Advisory Committee on Issues of Public International Law, 2025), p. 7.
22 Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgement, I.C.J Reports 2007, para. 430; and International Committee of the Red Cross on Updated Commentary on the First Geneva Convention (2016) Article 1, paras. 164-168.
23 Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgement, I.C.J Reports 2007, para. 431.
24 Obligations of States in respect of Climate Change, Advisory Opinion, 23 July 2025, I.C.J Reports 2025, para 208; Ibid (Bosnia v Serbia), paras. 430- 431; ICRC on Updated Commentary on the First Geneva Convention (2016) Article 1, para 165.
25 A/RES/3314 (XXIX); https://verfassungsblog.de/a-seismic-change/; Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America), Merits, Judgment, I.C.J. Reports 1986, para. 191.
26 A/RES/377(V); https://mondoweiss.net/2025/08/how-the-un-could-act-today-to-stop-the-genocide-in- palestine/
27 Arms Trade Treaty (ATT) Article 6; and https://www.thearmstradetreaty.org/hyper- images/file/ATT_CSP10_WGETI_Voluntary%20Guide%20to%20Implementing%20Articles%206% 20&%207%20of%20the%20ATT_EN/ATT_CSP10_WGETI_Voluntary%20Guide%20to%20Imple menting%20Articles%206%20&%207%20of%20the%20ATT_EN.pdf, pp 18.
28 Arms Trade Treaty (ATT) Article 7.
29 Ibid. Article 2.
30 Common Article XXI(c) of General Agreement on Trades and Tariffs (GATT) 1947 and General Agreement on Trades and Tariffs (GATT) 1994; General Agreement on Trade in Service (GATS) Article XIV bis(1)(c); and www.wto.org/english/res_e/booksp_e/gatt_ai_e/art21_e.pdf.
31 USA-Israel FTA (1985), Article 7; Canada-Israel FTA (1997), Article 20.1; Mercosur-Israel FTA
(2009-10), Article 1; EU-Israel Association Agreement (2000), Articles 27, 76.
32 Israel-UAE BIT (2020), Article 14.4; Israel-Japan BIT (2017), Article 15.2; Guatemala-Israel BIT
(2006), Article 7.1; available at https://investmentpolicy.unctad.org/international-investment- agreements/countries/102/israel; and www.law4palestine.org/wp- content/uploads/2025/04/L4P_Third-State-Economic-Responsibility-Booklet-PDF.pdf, pp. 34-38
33 Federica Violi, “Navigating corporate accountability in international economic law: a critical overview”, in Handbook of Accountability Studies: Politics, Law, Business, Work, Ioannis Papadopoulos and others, eds. (Elgar Publishing, forthcoming 2026).
34 Vienna Convention on the Law of Treaties, Article 53; and A/77/10 (2022) Conclusion 10, p.13.
35 Convention on the Law of the Sea, Article 19(1), with Article 17; https://bdsmovement.net/sites/default/files/2025-03/ASCOMARE percent20Legal percent20Opinion percent20_ percent20Innocent percent20Passage percent20and percent20Due percent20Diligence.pdf, para. 44.
36 Convention on the Law of the Sea, Articles 2(1) and 19(1).
37 Geneva Convention I, Article 49; and Geneva Convention IV, Articles 146-148.
38 Legal Consequences Arising from the Policies and Practices of Israel in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, Advisory Opinion, 19 July 2024, I.C.J Reports 2024, para. 278, United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights, Principles 1, 2 and 25; and A/RES/ES-10/24, Article 5; https://www.ohchr.org/sites/default/files/documents/hrbodies/hrcouncil/coiopt/2024-10-18-COI- position-paper_co-israel.pdf, paras. 30-31, 33.
39 www.justsecurity.org/120757/sanctions-against-israel-an-international-law-perspective/; https://bdsmovement.net/sites/default/files/2025-03/ASCOMARE percent20Legal percent20Opinion percent20_ percent20Innocent percent20Passage percent20and percent20Due percent20Diligence.pdf, paras. 66, 86-88; www.law4palestine.org/wp-content/uploads/2025/04/L4P_Third-State-Economic-
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40 https://legal.un.org/ilc/texts/instruments/english/commentaries/9_6_2001.pdf, pp. 66, para 5; Vladyslav Lanovoy, “Responsibility for Complicity in an Internationally Wrongful Act: Revisiting a Structural Norm” (2011) Paper Presented at the SHARES Conference “Foundations of Shared Responsibility in International Law”, 17 and 18 November 2011, Amsterdam, pp. 16-20 ; Phoebe Okowa, State Responsibility for Transboundary Air Pollution in International Law, (Oxford, Oxford University Press, 2001), p. 188.
41 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Article 16; Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgement, 6 February 2007, I.C.J Reports 2007, paras. 421, 432, 436, see also Declaration of Judge Bennouna, p. 361; Marko Milanović, “State Responsibility for Genocide: A Follow-Up”, in European Journal of International Law (2007), vol. 18(4), pp. 669-694, p. 687.
42 Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgement, 26 February 2007, I.C.J Reports 2007, para. 420; Legal Consequences Arising from the Policies and Practices of Israel in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, Advisory Opinion, I.C.J Reports 2024, 19 July 2024, para. 279; Obligations of States in respect of Climate Change, Advisory Opinion, 23 July 2025, I.C.J Reports 2025.
43 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Articles 16-18. www.icc- cpi.int/news/situation-state-palestine-icc-pre-trial-chamber-i-rejects-state-israels-challenges.
44 Miles Jackson, Complicity in International Law (Oxford, Oxford University Press, 2015) p. 160; Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgement, 6 February 2007, I.C.J Reports 2007, see Declaration of Judge Bennouna, pp. 361-363; and Vladyslav Lanovoy, “Responsibility for Complicity in an Internationally Wrongful Act: Revisiting a Structural Norm” (2011) Paper Presented at the SHARES Conference “Foundations of Shared Responsibility in International Law”, 17 and 18 November 2011, Amsterdam, pp. 24.
45 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Article 15.
46 Ibid.
47 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts (ARSIWA), Article 47; International Law Commission, ARSIWA Commentary to Part One, Chapter IV, p. 64, para 1–3; International Law Commission, ARSIWA Commentary to Article 47, p. 124, para 2; and Draft articles on the responsibility of international organizations, Article 48.
48 International Criminal Tribunal for Yugoslavia, Prosecutor v Krstić, Case No. IT-98-33-T, 2 August 2001, para 642.
49 Christian Dominicé, “Chapter 20: Attribution of Conduct to Multiple States and the Implication of a State in the Act of Another State”, in James Crawford (ed.) et al., The Law of International Responsibility The Law of International Responsibility (Oxford, Oxford University Press, 2010), pp. 282-283.
50 Genocide Convention, Article III, Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Articles 2, 15, A/79/384, paras. 76 and 77.
51 Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion, 9 July 2004, I.C.J. Reports 2004; A/HRC/50/21.
52 Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion, 9 July 2004, I.C.J. Reports 2004, paras. 142 and 159.
53 A/RES/2535 (XXIV)A-C; A/RES/2649 (XXV); A/RES/3236 (XXIX); A/RES/43/177; A/RES/48/94;
S/RES/2334; A/77/356; and A/RES/78/192.
54 S/RES/478; A/RES/76/12; A/74/507; and https://badil.org/phocadownloadpap/badil- new/publications/research/in-focus/EtzionBloc-IsraeliAnnexation.pdf.
55 A/HRC/49/87, para. 52.
56 A/68/502, paras. 7-16; A/HRC/25/40, paras. 24-30; A/HRC/40/CRP.2, paras 150-194; S/RES/1860;
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57 A/HRC/12/48, para. 1332-1335; A/HRC/40/CRP.2.
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59 A/RES/37/123(D); Martin Shaw, Palestine in an International Historical Prespective on Genocide, vol. 9, No. 1, Holy Land Studies (2010), pp. 1-24; and Haider Eid, Banging on the Walls of the Tank: Dispatches from Gaza (Toronto, Between the Lines, 2025) pp 61-65.
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63 A/HRC/60/CRP.3, para 249.
64 Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide in the Gaza Strip (South Africa v. Israel), Provisional Measures, Order, 26 January 2024, I.C.J Reports 2024, p.30, para. 86; and Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide in the Gaza Strip (South Africa v. Israel), Request for the Modification of the Order of 28 March 2024, Order, 24 May 2024, I.C.J Reports 2024, para. 57.
65 Alleged Breaches of Certain International Obligations in respect of the Occupied Palestinian Territory (Nicaragua v. Germany), Order, 30 April 2024, I.C.J Reports 2024, para. 24.
66 www.icc-cpi.int/news/situation-state-palestine-icc-pre-trial-chamber-i-rejects-state-israels-challenges.
67 Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, Article 16; Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Serbia and Montenegro), Judgement, 6 February 2007, I.C.J Reports 2007, see Declaration of Judge Bennouna, p. 361; Marko Milanović, “State Responsibility for Genocide: A Follow-Up”, in European Journal of International Law (2007), vol. 18(4), pp. 669-694, p. 687
68 Legal Consequences Arising from the Policies and Practices of Israel in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, Advisory Opinion, 19 July 2024, I.C.J Reports 2024, paras. 267- 272 and 285.
69 A/RES/ES-10/24.
70 A/HRC/60/CRP.3, paras. 246-250.
71 UNSC 2334, para. 5; ICJ Advisory Opinion 2024.
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79 This includes S/2023/772 (16 October 2023).
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