Quanto sta avvenendo in Palestina, Gaza e Cisgiordania, è qualcosa a cui mai potevamo pensare di assistere, praticamente in diretta. Crimini di guerra e crimini contro l’umanità vengono commessi su scala mai vista. Non c’è rifugio, non c’è luogo sicuro. I palestinesi vengono bruciati vivi nelle tende. Vengono attirati nei “ luoghi sicuri” e poi bombardati. Vengono lasciati morire di fame, privati di cibo, acqua ed elettricità, condannando così a morte i pazienti degli ospedali.
Gaza è trasformata in una zona di morte, Gaza è annientata. Un genocidio visibile, rai ed affini a parte, a chiunque abbia un minimo di interesse nel volersi fare un proprio punto di vista sugli avvenimenti in corso, e nel vedere le immagini che scorrono sul televisore, o meglio sul pc, i sentimenti che si accavallano sono commozione e frustrazione. Sul primo non credo sia necessario dire chissà cosa, ognuno fa i conti con i propri sentimenti, ma la frustrazione è dovuta semplicemente al fatto che stiamo facendo tanto per essere solidali con i palestinesi, ma siamo consapevoli che ancora non facciamo quanto dovremmo.
Il libro Le anime invincibili di Gaza, prefazione di Moni Ovadia compresa, lo considero un ulteriore contributo nella direzione di una presa di coscienza, per capire da che parte stare. Hanin Soufan ci porta all’interno di quello che è divenuto un vero e proprio deserto, ci offre una luce nel buio del genocidio, una vera e propria inchiesta sul campo.
Il primo contributo riportato si riferisce a coloro i quali con il proprio incessante lavoro sono sotto attacco continuo, da parte delle forze d’occupazione: i giornalisti, che sono odiati da Israele in quanto testimoniano cosa significa raccontare i diritti di un popolo oppresso, una verità che è immortale. Wael Al-Dahdouh che lavora per Al Jazeera ha già passato in carcere 7 anni in occasione della prima Intifada. Un lavoro fatto come fosse una missione, perché il mondo ha bisogno di sapere quanto sta succedendo. Quanto descritto è sotto gli occhi di tutti: nessuna zona definibile sicura; bombardamenti ovunque anche le ambulanze che portano i feriti da parte di quello che in occidente viene definito l’unica democrazia del Medio Oriente, con quello che è ritenuto l’ esercito ritenuto “morale”.
Passando alla seconda testimonianza, che dire? Emerge il ruolo delle donne, delle madri che fanno figli, molti figli, come atto di resistenza, delle mogli con i mariti che lavorano nelle colonie israeliane, con le difficoltà, e già definirle così è attenuare cosa vuol dire “difficoltà”, che Gaza subisce per il blocco economico in corso ben prima del 7 ottobre, senza cibo, senza acqua, senza medicine. Dal ’73 c’è uno slogan che ritengo del tutto attuale: “Potremo morire tutti, ma se resterà una donna incinta essa darà alla luce un figlio che libererà la Palestina”.
Leggere il terzo contributo, con Ahmad testimone dell’orrore, è come vedere quanto quotidianamente i palestinesi subiscono: non solo i bombardamenti, ma le urla strazianti, i pianti inconsolabili. Gaza: un assedio ininterrotto di massacri, che porta inevitabilmente al genocidio. Gaza meglio morire che “vivere “ nell’inferno. Gli occupanti distruggono tutto perché non è la loro terra.
Motal Azaiza, nella quarta testimonianza, ci parla di una Gaza sotto assedio, dimenticata da tutti, dove chi vive è rinchiuso in una gabbia e ciò che è concesso è dato dall’occupazione con il contagocce. Motal si è posto un compito, un compito che l’essere giornalista/testimone impone: portare avanti un’opera di sensibilizzazione, far emergere voci, le voci di chi non ha voce, far emergere la forza e la sofferenza di un popolo.
Quindi con Khaled Nebhan, nel contributo seguente, è la speranza, quella speranza che non si piega, ad essere valorizzata, la speranza che vive anche nel campo profughi: un vero e proprio labirinto di sogni, una battaglia l’accesso all’acqua, mangiare carne un lusso, con le giornate che trascorrono lentamente e nonostante tutto questo ciò che conta è che la miseria non divide, ma unisce. Una frase su tutte deve essere da riferimento: “ Non usciremo da qui, accada quel che accada”.
Incontrando Nadine, nel sesto, è il ruolo di unità nella resistenza all’oppressione delle comunità religiose; la solidarietà nella lotta che unisce al di là dei riferimenti religiosi, nel sogno di una terra libera dall’oppressione. Vangelo e Corano …. uniti nella lotta. A dispetto dei bombardamenti è la solidarietà che vince.
Con Mohammad Abu Salimah, dopo aver visto il ruolo dei giornalisti e dell’informazione, conosciamo il coraggio di un medico sotto assedio: le sfide continue dovute all’imperativo categorico autoimposto del dover salvare vite; l’assenza di medicinali, di carburante, di elettricità, e la lotta quotidiana per la sopravvivenza è la normalità. L’ospedale un luogo di possibile guarigione diviene rifugio per migliaia di sfollati e poi luogo di morte. L’assurdità raggiunta dal governo israeliano nel dichiarare che le autoambulanze e gli ospedali sono un rifugio di Hamas. Ma una cosa su tutto: il popolo Gaza non si piega anche se Israele non rispetta la vita e nemmeno la morte. Avvilire, umiliare, distruggere psicologicamente in questi comportamenti si può riassumere il comportamento degli occupanti. Infine l’atto di accusa, dovuto, verso una comunità internazionale, paesi arabi compresi, complice e che è brava solo ad usare parole di circostanza.
Giungiamo all’ottavo contributo, con Israa Jaabis: è l’istinto alla sopravvivenza più forte della disperazione che attrae la nostra attenzione, quell’istinto che si contrappone a quei soldati, occupanti, che non hanno alcuna sensibilità umana. Una insensibilità che si concretizza nella descrizione dei diritti umani negati in carcere. Una parola ci fa capire il modo di porsi rispetto alla resistenza ed al 7 ottobre: la resistenza ha dato un duro colpo all’occupazione.
Ci avviamo alla conclusione, con il nono contributo, nel quale ci addentriamo ad esaminare cosa significa la detenzione amministrativa, le torture di ogni tipo alle quali associazioni come Addameer dedicano il loro impegno, cosa significa essere la voce di chi non può parlare e quando sei fuori dal carcere non abbandonare mai chi vi resta e l’idea di una Palestina libera deve essere con animo più determinato che mai.
Arriviamo all’ultima parte, sempre con il carcere sotto la lente d’osservazione, vero e proprio luogo di tortura e di sfogo per le guardie, che sono esclusivamente capaci di essere vendicative in particolare quando si sentono messe in difficoltà. Per finire ritengo fondamentale riportare questa frase che dà senso a queste 124 pagine: “Gaza è libera, è il resto del mondo che è sotto occupazione”.
Hanin A. Soufan, Le anime invincibili di Gaza. Dieci squarci di luce nell’ombra del genocidio, Editori della luce, 2024, pp 125, euro 15

Edoardo Todaro

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