Beni culturali: un ministero riformato o deformato?

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crollopompeiLa legge Franceschini dovrebbe essere uno dei primi passi sulla via della tanto invocata riforma del pubblico impiego, di cui interessa un settore sicuramente molto significativo per un paese come il nostro, quello della cultura. Tuttavia, come una gatta frettolosa, ha fatto i gattini, ma li ha fatti ciechi. Se vogliamo consolarci con il renziano pensiero che sia comunque meglio fare che non fare, stiamocene contenti; ma se invece ci rendiamo conto di quanto talvolta sia pernicioso fare senza aver prima le idee chiare o, peggio, avendo delle idee chiare che non vanno nell’interesse comune, allora l’entusiasmo si smorza.

Dell’argomento si è parlato troppo poco e soprattutto troppo tardi. Il testo della legge è uscito svelto svelto, durante l’estate, stagione nella quale si pensa che la gente sia distratta e assopita dal caldo. Miseri espedienti. Tomaso Montanari non era in vacanza, tuttavia le Soprintendenze non gli stanno simpatiche perciò in un primo momento ha privilegiato i lati positivi della legge. Appena però ha letto il decreto Sblocca Italia ha fatto due più due e non gli è venuto quattro. Gli è venuto molto di più, una quantità di soldi indicibile per i palazzinari e gli affaristi del mattone. Del resto ora sta cominciando a interessarsene anche Cantone, segno che non si tratta di fissazioni dei soliti “gufi”: di fatto la strada agli abusi e agli scempi è stata spianata per quanto si poteva e l’allarme fra chi mira invece alla salvaguardia dell’ambiente deve farsi sentire con voce sollecita e determinata.

Si obbietta che alle Soprintendenze resta la facoltà di controllo sull’edificabile, ma la loro forza viene falcidiata nella quantità e nella qualità delle competenze, essendo prevista solo una Soprintendenza mista per regione. Da ciò consegue anche un altro problema: non esisteranno più storici dell’arte nel ruolo di Soprintendente, nemmeno in una città che ha un patrimonio di oggetti d’arte come quello di Firenze, dato che le soprintendenze miste sono di norma affidate ad architetti, in considerazione delle loro competenze ambientali. Neppure i musei maggiori saranno guidati da uno storico dell’arte, perché la legge Franceschini prevede che si faccia per essi un bando internazionale rivolto a persone che abbiano una ‘provata esperienza di gestione museale’. Tutto qui. Ma siccome alla direzione di musei, soprattutto nel campo del contemporaneo, ci sono anche diversi managers, ecco come il Ministro del mio ex Ministero può dire che non sono previsti managers e poi nominare un manager…abracadabra il gioco è fatto! E ai giovani che stanno studiando storia dell’arte chi lo va a raccontare che stanno studiando una materia fuori dal mercato? Peggio per loro che non sono alla Bocconi.

Tuttavia l’aspetto più preoccupante della legge Franceschini sta nell’aver ritagliato una serie di deliziosi filetti dal bue intero. Parlo dei musei che qualche rigo sopra ho chiamato sbrigativamente “maggiori”, ma che devono più correttamente essere definiti come quelli che fanno maggior cassa. A Firenze gli Uffizi, l’Accademia e il Bargello. Essi andranno sotto la diretta giurisdizione del Ministero e per essi, appunto, verrà fatto un bando internazionale, passando sotto silenzio il fatto che i musei italiani hanno una peculiarità che i musei di altre parti del mondo non hanno: rappresentano il territorio e ad esso sono indissolubilmente legati da vincoli di storia, di tradizione, di sensibilità religiosa ed estetica. Abbiamo letto che i grandi musei italiani devono diventare come la National Gallery di Londra. Ma chi l’ha detto ha idea di cosa è la National Gallery di Londra? Ha idea che è un manuale di storia dell’arte italiana e non londinese? Ha idea che la sua collezione non è in alcun modo legata al territorio dove – casualmente – è collocata?

La decisione di staccare i musei più redditizi dalle Soprintendenze cui ora competono non fa un buon servizio a nessuno: mi domando che fine faranno il territorio e i musei considerati con stoltezza “minori”, che oggi vivono in gran parte grazie agli introiti di quelli più ricchi. Basti pensare al lavoro che sul territorio e per il territorio sta facendo la Galleria degli Uffizi. Mi domando anche se questa operazione finirà davvero per dare più autonomia almeno ai musei che ne saranno coinvolti. Per la mia lunghissima esperienza nell’amministrazione tendo a ritenere vero il contrario: le nomine fatte direttamente dal Ministro sono state sempre (almeno fino ad oggi) più vincolate ai voleri della politica di quanto non lo fossero quelle a cui si era giunti con le vecchie procedure. In poche parole i Soprintendenti sono sempre stati meno “liberi” dei direttori, in quanto rientranti nel così detto spoil system e quindi rimovibili in tempo reale per semplice decisione del Ministro. Allora, se per autonomia si intende quella finanziaria sono d’accordo, ma se si intende quella di indirizzo programmatico, di pensiero e di espressione, temo molto che i nuovi managers avranno mille bavagli in più di quanto abbiano avuto i vecchi direttori. Mi domando, infine, come si intenda attuare il distacco dei musei prescelti a costo zero, dato che ora gli uffici amministrativi e tecnici sono in comune per tutta la Soprintendenza e a riforma attuata si presume che ogni museo dovrà avere i suoi.

Con ciò non voglio dire che sia privo di pecche il sistema con cui ora operano i direttori dei grandi musei italiani, sistema che si basa essenzialmente su criteri di anzianità e che blocca la nomina vita professional durante. Lo dico io che sono stata tenuta 31 anni nello stesso museo: non va bene né per il museo, che ha bisogno ogni tanto di cambiare prospettive e di provare esperienze diverse e non va bene per la persona che ha bisogno di stimoli nuovi. Il direttore di un museo, così come tutto il pubblico impiego, deve essere sottoposto a periodica valutazione e collocato secondo le proprie individuali capacità lavorative. Non è più accettabile che certe direzioni di primaria importanza siano affidate a personale del tutto inadatto a sostenere quel tipo di responsabilità solo perché è entrato (magari per vie traverse) in Soprintendenza da molti anni. Da questo e da una vera e non fittiziamente sbandierata semplificazione dei processi normativi e burocratici deve partire la riforma del Pubblico impiego, atto che rarissimi politici in carriera intendono realmente fare, non tanto perché è impopolare, quanto perché far funzionare il pubblico risulta per loro di scarso interesse. Troppo meglio delegare al privato.

Riassumendo in un giudizio sintetico, questa riforma si pone sulla linea ormai consolidata dal nostro governo di disprezzare le competenze e stimolare ogni possibilità di facile guadagno da parte dei poteri forti, anche a scapito del rispetto dovuto ai valori fondanti della nostra Costituzione, come la cultura o la salute. Si dimostri il contrario. Con i fatti.

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Franca Falletti

Franca Falletti è nata e vissuta a Firenze. Laureata in Storia dell’Arte medioevale e moderna presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze con Roberto Salvini e Ugo Procacci e perfezionata nella stessa materia e presso la medesima facoltà, ha inizialmente svolto attività di libera professione collaborando con studiosi e Istituzioni nel campo della ricerca, della catalogazione e della didattica. Dal giugno 1980 funzionario direttivo della Soprintendenza per i beni artistici e storici delle province di Firenze, Pistoia e Prato, dal dicembre del 1981 è stata vicedirettrice della Galleria dell’Accademia e dal marzo 1992 Direttrice del medesimo museo fino al 28 febbraio 2013.

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