Napoli chiama dal Primo Festival Nazionale ex OPG Je so’ pazzo

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E’ sabato pomeriggio e a Napoli il Primo Festival Nazionale dell’Ex OPG Je so’ pazzo è a metà del suo cammino.

Non vivere su questa terra come un inquilino,
o come un villeggiante stagionale.
Ricorda:
in questo mondo devi vivere saldo,
vivere
come nella casa paterna.

Con la lettura di questi versi di Nazim Hikmet si conclude l’intervento dell’attivista No TAV Donatella Dosio. Un intervento che lascia le centinaia di persone in assemblea con il fiato sospeso e gli occhi lucidi per la commozione.

dscn3005Ma occorre fare un passo indietro e partire dall’ambizioso progetto che c’è dietro a questi tre giorni di incontri, assemblee, scambi tra diverse realtà, musica e divertimento, in un ex ospedale psichiatrico giudiziario abbandonato in cui un anno e mezzo fa è iniziata l’avventura del centro sociale Je so’ pazzo.

Nel corso di questi diciotto mesi di attività, prende forma un progetto strutturato e gli attivisti pensano che sia utile farlo conoscere e mettersi in contatto con le realtà presenti sul territorio italiano, a cui mancano legami per crescere insieme, fino all’idea di organizzare un Festival per scambiare esperienze e pratiche e anche far conoscere una Napoli diversa da quella che fa parte dell’immaginario comune.

Ma la partenza è subito in salita: a poche ore dall’inizio dell’evento si diffonde la notizia dell’arresto, in Turchia, di Alp Altinörs, vicepresidente dell’HDP, il Partito dei popoli, maggiore partito di opposizione al governo sempre più autoritario di Erdogan. Alp era uno dei relatori dell’assemblea del sabato pomeriggio, dove avrebbe incontrato il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Aveva preparato, proprio per l’occasione, un dossier (sequestrato dalla polizia durante il suo arresto) in cui denunciava le violenze del governo turco nel sud est del paese.

E così su quello che doveva essere un momento di confronto e lotta, ma anche di festa, è calata l’ombra della repressione a cui però si è velocemente risposto, organizzandodscn2921 un un presidio sotto la Prefettura di Napoli, per il giorno seguente, sabato, in sostegno di Alp e di tutti i prigionieri politici.

Il festival si apre il venerdì pomeriggio, gli attivisti dell’Ex OPG organizzano delle visite guidate nella enorme struttura, per mostrare il lavoro che hanno fatto, ma anche per aprire le celle e farne uscire il dolore e le ingiustizie che si sono perpetrate per anni in quelle mura.

Fino al 2007, infatti, la struttura è stata un Ospedale Psichiatrico Giudiziario in cui venivano internate persone che avevano commesso reato e giudicate psichicamente instabili, ma anche chi in carcere dava segni di squilibrio e veniva spedito nell’ospedale psichiatrico. Una volta in un OPG, l’internato non è più legato alla pena giudiziaria per cui è stato recluso, ma entra in un meccanismo parallelo che lo tiene prigioniero fin quando gli esami medici non lo considerano guarito. E qui si apre una contraddizione: mentre i manicomi, dopo la legge Basaglia, scompaiono, gli OPG proliferano, diventando – negli anni – di volta in volta, non solo luoghi di detenzione, ma molto spesso luoghi di punizione (negli anni Ottanta furono molti i prigionieri politici internati) o, al contrario, luoghi dove è stata riorganizzata la camorra (all’OPG di Napoli due direttori – di cui uno suicida proprio lì – sono stati incriminati per legami con la camorra e Cutolo è evaso dall’OPG di Aversa).

Nel nostro giro ci accompagna Vladimir, che ci racconta quanto per gli attivisti sia importante non solo il recupero degli spazi, ma insieme ad esso il recupero della memoria: l’ex parlatorio, il luogo dove gli internati avevano il loro contatto con l’esterno, è stato trasformato in una biblioteca, mentre l’ex spaccio è diventato un bar. Colpiscono molto le ex ore d’aria, enormi celle a cielo aperto, che in un angolo hanno una latrina, anch’essa aperta e sono circondate da mura e grate, sono state trasformate in ore di libertà, i luoghi dove si sono tenuti la maggior parte degli eventi del festival.

dscn2978Gli spazi dell’Ex OPG si trasformano in progetti: c’è un asilo condiviso, una squadra di calcio popolare, la palestra popolare, corsi di italiano per stranieri, doposcuola e molti altri corsi (fotografia, disegno…), funziona – inoltre – una Camera del lavoro, in cui si da sostegno ai lavoratori in difficoltà.

L’importante, però, è non scadere nel semplice volontariato, ma creare un progetto più ampio: partire dal colmare un vuoto sociale di cui Napoli sicuramente soffre, ma nello stesso tempo, attraverso questo, condurre delle battaglie sociali, creare una comunità, mantenere viva la memoria.

Il senso del festival è proprio questo: uno scambio culturale, legare diverse realtà nazionali che hanno un obiettivo comune, e capire come e se si può fare un pezzo di cammino insieme, capire se si possono prendere le buone pratiche di altri e applicarle alle proprie realtà. Crescere insieme, migliorarsi. Creare un’alternativa politica e sociale al pensiero unico predominante.

Da subito si respira un’aria positiva: gli attivisti sono arrivati da tutta Italia, alcuni si conoscono già, altri no, ma c’è subito una curiosità che spinge a parlare con tutti: conoscersi, di fare rete, confrontarsi.

In breve tempo si sentono parlare dialetti di tutta Italia e io, che arrivo da Firenze, ma sono napoletana, sorrido, quando in fila in attesa per la cena (panino salsiccia e melanzane) il primo giorno, mi trovo a spiegare a molti che nelle melanzane a funghetto (piatto tipico della tradizione napoletana che consiste in melanzane fritte e ripassate in pentola con pomodoro e basilico) i funghi, no, non c’entrano proprio niente.

Del resto che uno degli intenti del festival sia proporre una Napoli diversa da quella che molto spesso fa parte dell’immagine collettiva è chiaro: la scelta degli artisti che hanno suonato la sera: Peppe Servillo & i Solis String Quarter, Pietra Montecorvino e gli Slivovitz con la partecipazione straordinaria di Eugenio Bennato esprimono un legame ‘tradito’ con la musica napoletana conosciuta in tutto in mondo, ne mostrano l’evoluzione, la rielaborazione che la mantiene in vita rendendola nuova.

Anche la retrospettiva dedicata ad una Napoli del cinema poco conosciuta o che mostra il suo lato ‘alternativo’, lontano dalle tarantelle canzoni sole e mandolino con cui si coprono i suoi secolari problemi, serve proprio a renderne una nuova, alternativa fotografia.

La voglia di riscatto, all’Ex OPG passa anche dalla volontà di restituire una visione di Napoli fuori dagli schemi conosciuti, una città che si impegna e che vuole emergere neldscn2962 suo lato vitale, costruttivo, fantasioso.

I ragazzi dell’ex OPG sono bravi nell’organizzazione degli eventi, precisa perché ognuno ha un suo ruolo definito. Ma soprattutto non si ha mai l’impressione che qualcuno sia il leader. Tutto avviene in un’orizzontalità importante per chi vuole ricomporre un movimento unitario in una sinistra italiana distrutta dal leaderismo prima di tutto.

Durante la prima assemblea si discute dell’importanza di lavorare al No alla riforma costituzionale proposta dal governo. Federica, che modera gli interventi, ricorda come sia importante e come sia invece sempre più svilito il concetto di democrazia partecipativa e la reintroduzione del concetto del popolo nelle scelte elettorali.

I relatori dell’assemblea sono l’avvocata Anna Falcone e il professore Giuseppe Aragno che illustrano l’importanza di comprendere e diffondere le motivazioni del no ad una modifica costituzionale proposta da un governo che si trova in maggioranza grazie ad una legge giudicata incostituzionale da una sentenza del 2014 della Corte Costituzionale.
Il secondo giorno è molto denso: si inizia la mattina con quattro tavoli di lavoro, dove gli attivisti si confrontano su temi attuali, sulle proprie esperienze individuali e prendono contatto tra le diverse realtà.

I tavoli sono divisi in Lavoro e lotte sindacali; Migranti, comunità e pratiche antirazziste, Mutualismo e intervento politico; Scuola Università formazione e cultura.
Il senso di questi tavoli è rendere operativa e concreta la voglia di attivarsi per migliorare la società.

dscn2970Per mia formazione, scelgo il tavolo sul lavoro. Da subito, a fianco alla consapevolezza della disgregazione della classe lavoratrice, del duro colpo inferto dal Jobs Act, si sente anche la voglia di mobilitarsi. Ci si domanda se questo autunno sarà un altro autunno di lotta mancato o si riuscirà, sulla scia magari della opposizione alla Loi du travail francese, a costruire una protesta anche in Italia, a mettere le basi per un autunno che sia caldo, di mobilitazione e lotte. Interessante è l’intervento del Coordinamento dei lavoratori livornesi, che tentano approcci concreti e realistici, unendo esperienze contro i modelli sindacali spesso inefficaci.

Dopo il presidio di fronte alla Prefettura di Napoli, ci ritroviamo di nuovo nell’ex ora d’aria, per l’assemblea in cui prenderanno parola il sindaco De Magistris, un’esponente del Koe greco, un attivista turco che sostituisce Alp e Nicoletta Dosio del movimento Notav.

Apre l’assemblea Gianpiero, che prima di passare la parola ai relatori sottolinea che la sinistra deve capire che non è più il momento di parlare ma di agire, perché le chiacchiere ci dividono ma le pratiche ci uniscono. E conclude il suo discorso facendo tre appelli: ai compagni stranieri, affinché si intensifichino gli scambi; ai compagni italiani affinché sia chiaro che ci sono i numeri per un esercito, ma bisogna organizzarsi e infine ai napoletani affinché proprio da Napoli parta il processo di rivoluzione politica e culturale del paese.

Quando i relatori prendono parola, si definiscono nitidamente i fili che legano lotte tanto diverse tra loro, per geografia e per cultura: l’HDP – il maggiore partito di opposizione al AKP, partito di Erdogan – nasce a seguito delle manifestazioni di Gezi Park del 2013, quando si sentì l’esigenza di riempire il vuoto di opposizione democratica presente in Turchia. La manifestazione che poi investirà tutto il paese era scaturita da un sit in di protesta per l’abbattimento degli alberi di Gezi Park per costruire un centro commerciale. Quando la protesta fu soffocata con la forza, al popolo fu chiaro che non è democrazia se non si può decidere neanche di cinquanta alberi in un parco.
L’uso spropositato della forza da parte dello Stato turco nei fatti di Gezi Park, ricorda’[…] la criminalizzazione della protesta con pratiche amministrative, legislative, giudiziarie, di polizia, che includono anche la persecuzione penale sproporzionata e la imposizione di multe eccessive e reiterate, l’uso sproporzionato della forza […]’ (dalla sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli dell’8 novembre 2015) inflitta al Movimento No Tav da parte dello Stato italiano.

Lo stesso uso spropositato della forza da parte dello stato, infatti, lo hanno avuto gli attivisti del No TAV, sanzionati, multati, denunciati (ricordiamo, tra tutti, la denuncia per istigazione a delinquere allo scrittore napoletano Erri De Luca – poi assolto – perché aveva sostenuto che la TAV va sabotata). Nicoletta già dalle prime parole conquista l’assemblea con la sua pacatezza. L’informazione di regime, quella che supporta il partito trasversale degli affari, cerca di far passare gli attivisti No TAV come dei violenti, invece colpisce la serenità di Nicoletta, che parla di diritto alla resistenza e alla lotta e denuncia le misure cautelari che sono utilizzate come strumento punitivo, anche contro la sua persona.

Nicoletta infatti ha deciso di rifiutare le misure restrittive che il Tribunale di Torino ha disposto nei suoi confronti: l’obbligo di firma e l’obbligo di non lasciare il suo comune di residenza e di non lasciare la sua residenza dalle 18 alle 8. Anche il Tribunale Permanente dei Popoli che nel 2015 si è espresso sulla Val di Susa, mette in rilevo la fratellanza – e la sororanza sottolinea Nicoletta, perché il Movimento è pieno di donne che con passione hanno impegnato trent’anni della loro vita per questa causa – e dichiara che in Val di Susa si sono violati i diritti fondamentali degli abitanti e delle comunità locali.

L’assemblea di sabato senza dubbio rappresenta il cuore del senso del festival: il sindaco di una città che viene considerata un’anomalia, che si ribella e non si piega a commissariamenti e pugni di ferro del governo centrale, insieme agli attivisti turchi e greci, ai No TAV. A cercare il legame che tiene unite e dia forza a tutte le lotte.
Il senso è proprio quello di ritrovare fiducia nelle lotte, e non abbassare mai la guardia.

Lo spettacolo teatrale di sabato sera, fatto di immagini, musica e danza, è una rivisitazione dell’Abicì della Guerra di Brecht, che chiama in causa le responsabilità popolari di fronte alla carneficina della guerra mondiale e si conclude proprio ricordando che non si può mai abbassare l’attenzione, perché è sempre pronto un imbianchino a generare nuovi mostri.

Il festival si conclude la domenica mattina, con l’ultima assemblea plenaria nell’ormai nota ex ora d’aria, adesso ora di libertà: le suggestioni sono tante, le promesse e il lavoro da fare ancora di più, ci salutiamo e sappiamo che bisogna smetterla di rimanere divisi, parcellizzati, e che dobbiamo mostrare fiducia nelle nostre energie e visualizzare i nostri obiettivi comuni.

Anche le difficoltà sono tante, la strada da fare è lunga e siamo tutti consapevoli che faremmo un errore a pensare che le varie esperienze positive possano trasformarsi in modelli sclerotizzati da ripetere in qualunque realtà. Tuttavia la voglia di essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo è tanta e si è respirata durante tutto il festival. Andiamo per passi e partiamo da qui, con la promessa di rincontrarci presto, continuando il confronto e creando nuovi orizzonti di lotta.

*Erica Massa

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