Lieto di inaugurare una rubrica dedicata a quelli che impropriamente si definiscono mezzi di trasporto perché si sono trasformati da mezzi in fini, come sa chi segue le vicende di ferrovie, tramvie e aeroporti, comincerò con il resoconto di una assemblea improvvisata che ha avuto luogo in un’aula tutt’altro che sordida e grigia: un autobus blu.
Scrivo a braccio senza riguardare i regolamenti e i codicilli fatti approvare dal sindaco Stan Laurel e dall’ex-sindaco Oliver Hardy, perciò potrò sbagliare nel riferire le giustificazioni, non nel descrivere i misfatti.
Perso un treno, prendo la Copit per venire a Firenze, a Pistoia farà cento frenate, ad ogni fermata sale gente con la spesa che saluta l’autista e scende a quella dopo. Meglio così, circolano meno automobili.
Sempre pronto a imparare dal mio prossimo, arrivato a Firenze faccio la stessa cosa: scendo alle Piagge e vado a fare la spesa nell’unico supermercato che posso raggiungere senza allontanarmi troppo dalla strada maestra. Di ritorno con il sacchetto pieno mi piazzo alla fermata e saluto l’arrivo del blubus agitando sguaiatamente le braccia, per evitare che passi senza vedermi.
L’autista inchioda ma non apre. Gesticolo con rinnovata energia energia e finalmente il conducente apre dicendo: “Non si può salire, si può solo scendere, è il nuovo regolamento”. “Ma io ho il biglietto!” Occhiuto, controlla che il timbro sia stampigliato in maniera regolare in un orario plausibile e non trovando niente da obiettare me lo restituisce con sufficienza: “Il biglietto è ok ma vale per una corsa sola”.
“Anche in caso di coincidenze, malore, sovraffollamento e ritardo? E se mi scappa la pipì? Suvvia, faccia l’autista in servizio, non faccia il controllore in congedo”.
Mi metto a sedere e assumendomi il rischio della multa. Mi rendo conto di essere strafottente ma è solo così che la sinistra può smuovere qualcosa in un mondo che va a destra. Infatti la discussione decolla e coinvolge tutto l’autobus, con i pro i contro e i distinguo. Alla fine di una corsa partecipata e animata noi, il popolo, ci troviamo in mano gli elementi per una decisione equa e prudente, che non voglio anticipare.
Gli elementi sono questi.
Fino a qualche anno fa, cioè prima della privatizzazione dei trasporti pubblici toscani (l’oscura vicenda che ha fatto da palestra per la rottamazione dei diritti in tutta Italia), con lo stesso biglietto si saliva sui bus blu e su quelli arancioni e si poteva saltare come gibboni da una fermata all’altra. In questa situazione c’era qualche rallentamento in arrivo per gli autobus che collegavano due città, ma in definitiva nessuno ci rimetteva.
Con la privatizzazione i biglietti sono stati distinti e le fermate blu soppresse, ma solo per chi sale da san Donnino a Firenze, dove i bus blu devono obbligatoriamente cedere la clientela in ingresso a quelli arancioni di un’altra compagnia.
Questo, sia chiaro, è un regolamento ad hoc che vale solo per Firenze e che si applica non solo a chi scende per cambiare mezzo, ma anche a chi ha un biglietto immacolato da spendere per portarsi dalla periferia al centro. Da ridere!
Sappiamo tutti che leggi ad lineam, come quelle ad personam, hanno una base giuridica così argillosa che il primo impatto con i giudici le fa crollare miseramente. Inoltre, non ha senso agevolare l’ingresso a Firenze e rallentare quello nel comprensorio pistoiese, un territorio che ha la metà di estensione ma il doppio di complessità: le piste da sci, i vivai, le grandi industrie in declino…Perciò non si può dire: san Donnino sì, Quarrata no, Firenze Bluebus e Pistoia Blues. E’ una logica di inciuci tra aziende per il tasporto locale e partiti che sono ormai stati rilevati dalle multinazionali.
Chi ne fa le spese?
Anzitutto i lavoratori. Ce lo spiegava l’autista a cui va tutta la mia stima per il rischi che si è assunto facendomi salire e per come ha tenuto botta alle critiche: diceva che se mentre sui fermava per me malauguratamente veniva tamponato, nessuno gli ripagava i danni perché il regolamennto dice così e i sindacati non hanno avuto lungimiranza e la forza di dire di no. Poi ci rimette anche chi volesse fare una cosa che dove vivono i renzisti non si usa più, il passeggero.
Come se ne esce? In due mosse da calibrare bene senza aspettare troppo.
PRIMO, stipulare subito una convenzione tra gestori per arrivare al biglietto unico autoferrotramviario, ordinario da una corsa. Con quello si prenderanno tutti i mezzi necessari per portarsi da A a B, treni tram, bus blu, bus arancioni rossi verdi e gialli. Se ci saròà bisogno di cambiare si cambierà ma almeno si pagherà una volta sola.
Gli uffici tecnici del comune saranno già pronti a obiettare che non si può fare perché c’è l’antitrust. Non è vero: se la polizia del mercato aveva tutto questo potere avrebbe etichettato come “un racket” il comportamento di Ataf e Blubus che si spartiscono le zone facendo pagare due biglietti per giungere a destinazione.
SECONDO, nel lungo periodo arrivare ad abolire il pagamento del biglietto nei trasporti, che oltre che essere iniquo perché fa pagare di nuovo un servizio già pagato con le tasse, è antieconomico perché i soldi che risparmiavo nel biglietto li spendevo al supermercato o in qualche negozio tra i tanti che lamentano di essere stati messi in ginocchio dalla crisi.
*Massimo De Micco
Massimo De Micco
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