Trattati di ”libero commercio” e altre catastrofi: il 15 mobilitazione europea

I trattati di libero mercato da qualche anno sono usciti dal cono d’ombra dei temi per ”addetti ai lavori” per divenire oggetto di incontri, polemiche pubbliche e mobilitazioni di piazza. Con la ultima campagna elettorale statunitense sono diventati anche centrali nel dibattito mainstream: oggi tutti parlando di ritorno al protezionismo, dazi e fine della globalizzazione. Mentre il TPP (il trattato del Pacifico) viene affossato da Trump e il TTIP (il trattato USA – Unione europea) è in stallo, il 15 febbraio è previsto il voto del Parlamento europeo sul CETA, un accordo di cui si è parlato pochissimo. [Clicca qui per la mobilitazione]

Il trattato venne messo in cantiere già nel 2004, in occasione di un vertice Canada-UE. Dopo una pausa di qualche anno uno studio di area governativa venne diffuso nel 2008 e nell’anno successivo vennero avviate le negoziazioni che si conclusero con la presentazione di un testo condiviso il 25 settembre 2014.

Il processo di ratifica è stato segnato dal dibattito se si tratti o meno di un accordo misto, cioè se abbia contenuti che esulino dalla mera politica commerciale o meno. Non è una differenza do poco conto dato che nell’ultimo caso si tratterebbe di una competenza esclusiva della Commissione europea e non si richiederebbe l’adesione dei parlamenti nazionali. Nonostante le insistenze del governo italiano, che ha fatto pressioni in senso contrario, a luglio 2016 è stato stabilito che si tratta di un accordo misto e che i vari parlamenti dovranno approvarlo.

Ad ottobre 2016 il CETA è stato firmato da tutti i governi; per poterlo fare entrare in vigore senza rischiare la contrarietà dei parlamenti essi hanno anche approvato una applicazione provvisoria, nel corso dello stesso mese, che richiede semplicemente la ratifica del Parlamento europeo. Da molti è stata vista come una astuta mossa per aggirare la difficoltosa prova dei parlamenti locali: il periodo ”sperimentale” di attuazione provvisoria non ha alcun termine, quindi il risultato sarebbe identico senza le ”scomodità” dell’iter corretto. Ma l’operazione è stata assai più difficoltosa del previsto per l’opposizione del parlamento della Vallonia che ha costretto il governo belga ad esigere condizioni rigorose.

Il testo del CETA è di circa 1600 pagine, disponibile solo in inglese (anche se ne è stata promessa la traduzione nelle altre lingue). A differenza del TTIP o del TiSA non abbiamo a che fare con un nebuloso ed opaco processo negoziale che si cerca di decifrare dall’esterno sulla base delle bozze fuoriuscite di straforo, ma si può considerare il testo finale nella sua totalità, anche valutando come le varie disposizioni operino congiuntamente. Come suggerisce il nome stesso (coomprensive significa “generale”) e nella miglior tradizione del free market abbraccia vari aspetti importanti:

  • la cooperazione normativa: crea organismi col potere di esaminare le nuove norme affinché non creino ostacoli al commercio;
  • i servizi: crea possibilità di interventi del privato;
  • arbitrato per le controversie Stato-investitore: conferisce la possibilità di citare uno Stato per leggi che contrastino con qualche forma di profitto;
  • possibilità di ulteriori modificazioni del trattato stesso al di fuori di ogni processo democratico;
  • agricoltura: espone i coltivatori europei ad una concorrenza delle aziende agroindustriali canadesi, colpendo e minando il principio di precauzione.

La cooperazione normativa[2] avviene nell’ambito di una istituzione nominata da Canada e UE, il Forum di Cooperazione regolativa, senza la partecipazione degli Stati europei (e men che meno dei parlamenti), senza regole chiare (che verranno stabilite dopo), sotto la presidenza di un esponente per ciascuna parte e con la partecipazione di rappresentati canadesi e europei. L’accenno alla possibilità di convocare osservatori non meglio specificati[3] fa pensare ad una probabile presenza di lobbisti o comunque rappresentanti di aziende private. Essa consiste nel confronto e nella discussione di leggi e misure normative che possono impattare sul commercio, anche se solo in fase di approvazione e anche solo emendamenti, scambio di informazioni (anche non pubbliche![4]).

In materia dei servizi le clausole del CETA congelano come irreversibili tanto le liberalizzazioni/ privatizzazioni passate che future; sanciscono la necessità che i mercati di servizi siano accessibili agli operatori della controparte, salvo quelli preliminarmente esclusi dai governi in sede di trattative. Liste che poi sono immodificabili, secondo la logica ”o lo segni o lo perdi”. In pratica tutto quello che non viene escluso in questa fase è soggetto a pressioni per essere messo sul mercato.

L’arbitrato per le controversie Stato-investitore (ISDS) viene introdotto con l’acronimo ICS come istituto ”migliorato”. In effetti è più limitativo sulla scelta dei giudici e prescrive la trasparenza sia per essi che per lo stesso procedimento – rispetto al quale ci sono dei limiti per le possibilità dell’investitore (l’azienda che ”accusa”). In realtà dà sempre la possibilità a soggetti privati di fare causa agli Stati in caso di leggi presunte inique o che comportino una qualche forma di esproprio. Sono principi assai vaghi che possono essere usati per minare qualsiasi norma che colpisca una qualche forma di profitto. Inoltre le migliorie (per poche che siano) sarebbero in vigore dopo che un organo bilaterale, il CETA Joint Committee, dà un assetto giuridico al foro arbitrale. Se non lo fa (e non sono previsti scadenze) le imprese possono sempre usare il ”normale” arbitrato ISDS. Va detto che in Canada ci sono circa 40mila succursali di multinazionali Usa, per cui è ragionevole pensare che se non ci fosse un accordo fra UE-USA le aziende statunitensi potrebbero attaccare i governi europei tramite le controllate canadesi.

Il trattato può modificare se stesso. Una commissione congiunta, chiamata CETA Joint Committee[5] può dare interpretazioni vincolanti su parti della massima importanza (capitolo sugli investimenti) ed emendare gli allegati e protocolli del trattato, spesso liste di prodotti o specificazioni tecniche, in cui poche parole cambiate possono comportare radicali conseguenze (se un tal prodotto alimentare doc è tale per esempio); tali decisioni sono vincolanti e soggette ad alcun controllo. La composizione dell’organo è assai vaga, salvo il fatto di essere presieduta congiuntamente dai massimi rappresentanti di UE e Canada per il commercio si sa solo che verrà composta da rappresentanti canadesi ed europei (quanti? In che misura? Nominati da chi? E come decidono?[6]).

L’agricoltura europea verrebbe posta a confronto con le aziende canadesi, assai più grandi, e radicate in un contesto di standard inferiori sulla sicurezza alimentare e massiccio uso di OGM oltre che di sostanze vietate sul suolo europeo (la ractopamina, il famoso “ormone della crescita”); in passato il Canada ha attaccato (con successo) tali proibizioni facendo leva sulle “norme sanitarie e fitosanitarie” dell’Organizzazione Mondiale per il commercio, che sono citate esplicitamente nel testo del CETA[7]. In esse si consentivano misure di difesa della salute umana, di piante ed animale da malattie e parassiti solo nella misura in cui si possa produrre una base scientifica consensuale della loro necessarietà (altrimenti sono irregolari), per cui ciò può tradursi nella leva capace di forzare l’adozione di sostanze e pratiche proibite anche in UE, favorendo i colossi biotecnologici – non solo canadesi chiaramente.

Esistono degli studi d’impatto per capire quali vantaggi comporti l’entrava in vigore dell’accordo. La Commissione ne ha pagato uno che, usando una metodologia che normalmente eslta i vantaggi e smorza le previsioni negative, prevede comunque 167mila persone che perdono il lavoro, a fronte di un aumento del PIL europeo dello 0,08 titali nell’arco di 7 anni; un altro studio, sempre patrocinato dai promotori del CETA indica invece come probabile un aumento del PIL canadese dello 0,18-0,36% e di quello europeo dello 0,02-0,03%. Si tratta di aumenti così lievi che spalmati negli anni previsti sono simili ad un errore statistico. Del resto questo modello prevede che le cose tornino a posto con fluida scioltezza, per esempio chi perde il lavoro in un settore che va in crisi si trasferisce presto e bene in uno in espansione. Uno studio indipendente invece prende in considerazione i costi di transizione che in merito ai disoccupati creati porterebbe sotto pressione il welfare pubblico e, diminuendo la domanda interna (il disoccupato spende di meno), porterebbe a una rilevante diminuzione dei salari.

Il 15 febbraio se la votazione del Parlamento europeo è favorevole, tutto ciò diventerà realtà, sia pur depotenziata dalle condizioni ottenute dai valloni presso il governo belga. Il giudizio della campagna Stop TTIP è netto: il testo di tale accordo è irricevibile e si fa appello a tutte le persone che hanno a cuore democrazia e diritti per fare pressioni sui parlamentari europei per bloccarlo. Tutte le indicazioni in merito sono sul sito della campagna:

*Matteo Bortolon

Info: https://stop-ttip-italia.net


Note

[1] http://www.reuters.com/article/us-eu-usa-ttip-idUSKCN11N0H6
[2] CETA, testo consolidato, titolo 21.
[3] CETA, testo consolidato, art. 21.6 c. 3: ”The Parties may together invite other [?] interested parties to participate in the meetings”.
[4] CETA, testo consolidato, art. 21.4, lettera c.
[5] CETA, testo consolidato, art. 26.1 e sgg.
[6] CETA, testo consolidato, art. 26.1, c. 1.
[7] CETA, testo consolidato, art. 5.4.