L’appeso

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Un’immagine presa al volo lungo i binari della tramvia in costruzione mostra un uomo appeso a un albero che a sua volta viene sollevato in aria da un cingolato. Piantato con le scarpe antinfortunistiche sulle radici dell’alberello scaricato dal vivaio, dondola con lui in balia del macchinario. Il titolo potrebbe essere: “Uomo e natura appesi a un filo”.

Il filo è un robusto cavo che trasporta i fusti da piantare nella banchina, certamente non si spezza, ma può ben simboleggiare il pianeta che regge l’anima con i denti, o il capitalismo che si strangola da solo. L’uomo è ridicolo in quella posizione e appena l’ho visto mi sono messo a ridere. Lui non ride, se molla la presa si spezza il collo.

Il collega che guida il cingolato ha più paura di lui, procede piano e quella scena da film muto invece che esaurirsi in due giri di manovella dura un’eternità, il tempo di smettere di ridere e di cominciare a pensare. Quando finalmente l’alberello cala nella fossa e l’operaio con lui, arrivo a questa conclusione: quell’uomo è un mio nemico.

Se andiamo a vedere chi era l’uomo che dondolava sugli alberi, scopriamo che è un operaio che lavora per una ditta appaltatrice di una grande opera che è già costata più del doppio pattuito e deve ancora essere finita.

Questa grande opera sta paralizzando una città intera, senza esagerazione.

Per realizzare questo intrallazzo sono stati segati viali e viali di alberi belli e sani, che al momento vengono rimpiazzati da alberelli poco più che natalizi, impotenti a fare ombra e a sostenere nidi e uccelli.

Quell’uomo, dunque, non è un eroe del lavoro ma il galoppino di gente senza scrupoli. Se, come diceva Sciascia, la mafia è un capitalismo che non produce e il capitalismo è una mafia che produce, la sua attività rientra più nel primo settore che nel secondo.

Ciò nonostante lo sento compagno e ha diritto come me e più di me a un minimo di considerazione.
Come me perchè lavora, non è lui che comanda nella ditta e nella società non è lui che decide, nonostante il diritto di voto o forse proprio in forza di questo.

Più di me perché lavora in un orario in cui io esco solo se costretto a fare colazione al bar, perché indossa una tuta colorata da recluso o da forzato e infatti è un recluso del capitale e un forzato del salario, e perché non deve aver avuto una vita facile se per campare si arrampica sugli alberelli facendosi dondolare da un minicingolato traballante a rischio di restare invalido in seguito a una caduta sua, dell’albero o del cingolato.

Perciò gli auguro buon lavoro, cioè di tornare a casa con tutte le ossa e con tutti i soldi che il padrone gli deve, ma lo invito anche a ribellarsi come e quando potrà.

*Massimo De Micco

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Massimo De Micco

Massimo de Micco, 1972, fiorentino, essendo cresciuto negli anni Ottanta e Novanta si ritrova una formazione psicologica, una partita iva e una ricca e variegata esperienza professionale nel campo della formazione, ma è anche illustratore,fumettista e cartoonist. Ha partecipato a iniziative culturali, sociali e politiche di varia natura, a condizione che fossero libere, solidali e auto-organizzate, dagli Studenti di Sinistra a Kykeion, da Violetta van Gogh a Black Notes, da Fuoribinario a Radio Cora. E' tra i fondatori del gruppo Palazzuolo Strada Aperta che ha dato vita in questi anni alla Book Bike e si appresta ad aprire a Firenze la Biblioteca Riccardo Torregiani.

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