Il perdono, la rivalsa e l’indipendenza. Memoria del gusto nona puntata

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La memoria del gusto è un progetto di recupero dei saperi popolari intesi come “saper fare”:

Avete anche voi, perché vostro, o ereditato, o di famiglia, un quaderno di ricette? Avete la ricetta di un piatto tipico della vostra storia, casa, famiglia? La ricetta di una zia, della nonna, di vostra madre, dell’amico più discusso? Fatecela avere insieme ad alcune informazioni sulla sua origine, quali luogo, data (nel senso di periodo, ad esempio attuale, anni 70 etc.). Anche altre informazioni, tipo piatto della domenica o delle feste.

Qui la spiegazione completa.

La prima di queste due memo-ricette, mi dà l’occasione di capire come la cucina entra nelle nostre realtà anche dalla porta sbagliata, lasciandoci ricordi non sempre belli. Ma, se usati e cucinati a dovere, il retaggio che portano è forse anche più ricco. Più sudato. Alessandra ci fa partecipi di questo suo “rodimento” che lascia però la bocca dolce. Dolce perché è l’espressione di come fosse barbaro razionare manicaretti e guardare nel piatto, soprattutto in quello dei bimbi. E non per mancanza dei suddetti calzoncelli ma perché…

Sua Maestà il canzolcello

Il calzoncello da me denominato sua maestà, è un dolce tipico del natale. Per me è il natale. Quando ho deciso di scrivere di Lui mi sono resa conto che la storia che mi lega particolarmente a questo dolce, non è molto felice ma merita comunque di essere narrata.
Mia nonna paterna, è lei la maestra nell’arte del canzoncello, quando li faceva per me era una festa perché, piccina mi affiancavo a lei e la seguivo (aiutavo). Poi arrivava il momento della frittura e io già ne pregustavo il dolce sapore in bocca che avevo immaginato e atteso per un anno e invece … Invece no perché, per non farceli mangiare, mia nonna chiudeva in una gigantesca stanza barocca decine di questi vassoi stracolmi, senza permetterci di mangiarli. Ne toccava uno solo, quando andavo a trovarla.

E’ lecito chiedersi il perché? per avarizia, cattiveria e perché gli altri sono sempre venuti prima di noi. La famiglia è cosa certa, si pensa. E per tanto può essere maltrattata e umiliata, tanto quella, si pensa, rimane lì immutata.

Eppure non è così perché da questo piccolo panzarotto è nata una delle mie più grandi cicatrici.

Ogni volta che vedevo entrare, dal mio metro e 10, un vassoio in quella porta mi ripetevo sempre la solita frase: un giorno dovrò diventare brava come lei e ne dovrò fare a milioni, schiattare per quanti ne mangerò ma il primo lo dovrò portare a chi ha reso tutti i miei natali un inferno da quando sono nata, perché mia nonna materna mi ha insegnato che non vale rispondere con la stessa moneta: sono così avidi che non capirebbero. Ed aveva ragione.

 

Ricetta per una quantità enorme

Per la pasta esterna: deve essere umida e facilmente lavorabile con la macchina per pasta.

Farina 0 (la quantità dipende da quanti se ne vogliono fare) ma di solito 500gr bastano. Va impastata con lo spumante e un pochino di strutto. Io lo strutto non lo metto ma serve per dare morbidezza.

Per la farcitura interna: si possono usare le castagne o i ceci, per esperienza personale se la castagna non è adeguata fa acido quindi preferisco i ceci.

Si lessano i ceci e passano poi si aggiunge cacao, strega, cioccolato sciolto o nutella, buccia grattugiata di limone o di arancia.

La pasta quando viene tirata non deve essere lasciata spessa ma nemmeno troppo fine perché sennò rischia di rompersi in frittura e sporcare l’olio e se si sporca l’olio è una tragedia perché va cambiato.

I calzoncelli vanno richiusi come ravioli e poi fritti, non devono arrivare a doratura ma devono essere giallini ma non troppo quasi bianchi.

Poi vanno accompagnati con miele e zucchero a vela sopra.

E poi? vanno mangiati tutti insieme in compagnia perché la parte più bella della cucina è la realizzazione.

 

La peperonata o la ciambotta / il calzone di verdure

La seconda ricetta è di altra pasta, come scrive Alessandra: … qui la storia e i sentimenti cambiano in maniera drastica, a queste ricette è legato un sentimento di gratitudine e amore.

La mia nonna materna (Nonna Franci) ogni volta che cucinava queste pietanze, ne faceva in abbondanza perché potessi io e i miei cugini mangiarne quanto ne volevamo (fino a scoppiare). Una cosa curiosa è che quando ci riunivamo tutti a tavola, con piatti equamente distribuiti perché come ci insegnava mia nonna; la bocca è sorella, mio cugino provava così tanta gioia nel mangiare questo piatto che emetteva un suono simile ad una armonia per tutto il tempo, fino a piatto pulito. Era un suono tutt’altro che fastidioso, sembrava quasi di essere accompagnati dalla sinfonia che produce l’amore per il cibo o la goduria che si prova nel mangiarne.

Era tutto così poetico perché ci si perdeva e a parte la dolce musica che usciva dalla sua bocca, regnava il silenzio, quasi sacro. Sapevamo che quello che stavamo gustando era una forma d’arte.

Ma noi eravamo intenzionati a cantare per tutta la vita, così ci mettevamo vicino alla nostra nonna per catturare ogni segreto.

Coscienti del fatto che era l’unico modo per tenere il ricordo di quella meraviglia di donna che ci ha cresciuti uomini e donne consapevoli, e che non spirasse con la sua morte.

Ed è stato così il giorno della morte di mia nonna, nel tradizionale consolo abbiamo voluto la ciambotta e il calzone vietrese a tavola con noi.

I sentimenti sono amore, famiglia, condivisione, fragilità e indipendenza.

Questo lo dedico alla migliore donna che io abbia mai conosciuto perché la sua memoria rimanga nei suoi piatti.

La ciambotta / peperonata

Importantissimo i peperoni da utilizzare sono i classici corni, peperoni rossi lunghi dolci.

La preparazione: si prende una sartania ( padella ) si mette olio extra vergine d’oliva ( mia nonna era originaria del paese dell’olio Vietri di Potenza ) e si mette un aglio intero a sfriggere (attenzione che rimanga dorato), si buttano i peperoni tagliati a cubetti e si lasciano mantecare un pochino poi si aggiunge qb ( a sentimento ) zucchero per permettere la caramellatura ( ma non troppo, deve essere agrodolce) poi si unisce acqua, pomodorini ciliegini (dolci) e si fanno andare fino a quando il peperone non si cuoce .

A fine cottura il risultato deve essere un sughetto saporito di peperone e olio.

Poi prima di mangiarlo come da tradizione si mette in un piatto e si aggiunge olio fresco che si insaporisce perché è importante che quando i tuoi nipoti si siedono a tavola tutti possano fare la scarpetta con l’olio della ciambotta.

Grazie nonna perché ci hai insegnato che il cibo è amore.

*Barbara Zattoni

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Barbara Zattoni

"Cheffa" del Ristorante Pane e Vino, autrice di libri di cucina e altro (La cucina del riuso - Il libro dei dolci) e modista. Ha collaborato con perUnaltracittà al ciclo d'incontri "Europa tossica". Attualmente insegnante di cucina a Cordon Blue e chef a domicilio. Il suo sito internet

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