Virginie Despentes, Trilogia della città di Parigi – Vernon subutex
[…] ma è l’eccezione che conferma la regola. Il problema di fondo è che per valere in quanto bianco, devo svalutare te che sei arabo. Il mio valore aggiunto è la tua precarietà. La mia bianchezza, me la godo solo se voi annegate in migliaia e tutti se ne fottono. Non c’è niente di personale in questo. Che è il motivo per cui tutti i razzisti hanno un amico africano.
Sembra raccontato intorno ad un evento di questi ultimi tempi (America – Nero – Polizia – Sopraffazione – Morte), invece il libro da cui ho ricopiato il pezzo è uscito in italiano, a settembre del 2019: “Trilogia della città di Parigi – Vernon Subtex”. Un tesoro di 947 pagine. Tutte indispensabili, quasi rituali, molto poco replicabili tanto che, a volerle raccontare, mi accorgo che andrebbe copiato dalla prima all’ultima pagina.
Lontanissima da ogni idea di “recensione”, dimensione che non mi interessa, mi arrampico su una miriade di sensazioni e ragionamenti che mi portano per la prima volta a scrivere di un libro letto; non a parlarne e non solo agli amici più cari, quelli che alla fine basta un: leggilo, fidati.
E come si fa a spiegare. Sicuramente il modo di scrivere a me consono, sicuramente aver toccato le corde giuste, personali, profonde. Una tessitura di colori dei quali percepisco moltissime sfumature. Una sorellanza che potrebbe essere “neutra” (un Das del miglior tedesco al di là della funzione di articolo).
L’urgenza di leggerne almeno qualche pagina è quasi un atto di sommossa. Un po’ scritto, un po’ letto, sapessi disegnare e suonare userei anche questi linguaggi. Ma per la musica, e tanta, ho i suggerimenti di Vernon, il protagonista del libro.
La prima cosa che ho letto di Virginie Despentes è stato “King Kong theory” (sicuramente da esplorare). Ho pensato alle mie vecchie letture di Isabella Santacroce, e leggere Virginie è stato un aggancio naturale, quasi automatico. Non posso non citare il retro di copertina:
Lo stupro, per me, ha prima di tutto questa peculiarità: ti ossessiona. E’ fondatore. E’ insieme ciò che mi sfigura e ciò che mi costituisce.
Bravina la fanciulla, ho pensato. Con 25 parole avere una chiave di questo tipo può fare la differenza. Per un’intera storia di un intero mondo così lontano dalla vita. (Già, le “ragazze di vita”). Sulla bocca delle cattive ragazze è in qualche modo custodita la volontà di non tacere, di rendere a tutt* la consapevolezza della portata dello scontro sulla sessualità di genere, sulla sessualità in genere, sull’autorità del violare. È dei violati (ma le donne tutte, come un corpo Borg, sanno di questa minaccia di “violazione”), tributare la possibilità di capacitarsi, minare i codici stabiliti.
È con questo piglio che nella trilogia, ci avvicina a questi personaggi così perfetti nella loro descrizione e ruoli. Nelle pieghe, negli inciampi, nelle sbavature… Ha costruito un micelio di persone, le
più svariate, compromesse e compromettenti. Un puzzle ma senza contorni, come lo muovi, si incastra, si mostra. Traduce e ci rende il linguaggio della città (ma non è solo Parigi); quando la città in qualche modo torna ad essere a misura d’uomo, senza più dover sostenere obbligatoriamente di avere un “posto”, finalmente fuori dai vortici di un tempo con un ritmo, che nulla ha a che vedere con la musica. Riuscire a fondersi: creare connessioni, confidenze e familiarità diffuse (make kin – Donna Haraway) convergenze.
Denuncia con scaltrezza, mostra i veri mostri e disvela, a quelli chiamati così, da quegli “autentici”, la possibilità di smettere di pensare di essere “una categoria di massacrabili”.
Parla di Parigi? Sicuramente luoghi, strade, etnie più invasive di altre hanno suono di “erre moscia”, ma è assolutamente riconoscibile come tempo almeno europeo.
Questa possibilità di respiro, si infila per forza e non per “narrazione” nei bordi dei bordi. Il prezzo da pagare è alto. La vita più dura? Siamo sicuri? Certo senza comodità, dormire per strada, imparare la legge della strada, soffrire fame e freddo, puzzare, oppure piangere asserragliati in passaggi di avvenimenti mai tuoi. Accettati, per paura. La solitudine. L’allontanarsi del proprio riconoscersi, il far finta di essere almeno un po’ felici. Oppure sentirsi imbattibili, senza voler pensare guerra…
Le riflessioni infinite. E non è certo che aspettavamo lei per ragionare e leggere di questo e anche della bella critica alla “gente di sinistra”, avevamo capito da un pezzo, ma.
Ma queste CONVERGENZE sono parte fondante del mio sogno:
Ma, nel profondo, un piccolo pensiero si fa strada dentro di sé. Stanno facendo un esperienza eccezionale. Nelle convergenze c’è una magia che impregna anche la loro vita in comunità. È un gruppo particolarissimo di amici che tra loro non hanno niente in comune, ma che istintivamente riescono sempre a comunicare. […] Abbiamo inventato altre possibilità. Degli interstizi. Sono percorribili[…]
E poi più avanti:
E’ in circostanze del genere che si capisce che non è affatto essenziale come la si pensa. L’essenziale è sapere che sei in grado di fare una cosa in due senza che ti venga la voglia di spaccare la faccia all’altro.
E già ricominciare da un progetto e imparare nel viverlo, scegliendo, anche per indolenza o simpatia ma scegliendo, raffrontando, mettendosi di nuovo in gioco, pregi e difetti. Impararsi. (Perché tutto questo c’è stato e non c’è più).
Perché sentirsi sempre vissuti come King Kong, come la scintilla da domare, da riportare in un ordine spasmodicamente diverso, declinato a progetti di consumo ineludibili per far funzionare il sistema e scaraventati e costretti con algoritmi precisi a «transumare la miseria», ecco questo logora e ci disperde.
Invece bisogna ricordare che succede tutto questo (e aggiungo anche «escludere gli impuri, gli impropri, impedire loro di esprimersi […] l’unica cosa che interessa è legittimare la violenza») anche perché King Kong fa ancora paura e di questo bisognerebbe approfittarne.
Video reading di un brano da Virginie Despentes, Trilogia della città di Parigi – Vernon Subutex, Bompiani 2019, pp. 887-895. Le suggestioni video fanno espresso riferimento all’universo di Virginie:
* Barbara Zattoni
Barbara Zattoni
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A proposito di King Kong theory
Lo stupro è lo sfondo, vive sullo sfondo della dimensione femminile delle società patriarcali. È una esperienza che si pensa latente, in potenza, ma che, con esperienze più o meno laceranti è in realtà presente nella esperienza di ogni donna. Lo stupro è violenza. Violenza che ti toglie la parola. Lo stupro è la cancellazione della purità, del sogno, del superamento dell’infanzia. Lo stupro ti rende sudicia, corpo in calore attraversato dai sensi di colpa connessi al mancato nascondimento della tua sessualità, a una sessualità rivelata. Lo stupro, là sullo sfondo, è la minaccia e il risultato di uno scontro, di un posizionamento della sessualità di genere. La King Kong theory toglie lo stupro dallo sfondo, ti fa prendere la parola a partire proprio da quello. Ti fa acquisire un’agency a partire dallo stupro. Tutta la violenza dello stupro energizza la tua capacità di esprimerti, agire, parlare. Lo stupro rivela il fatto che essere una brava ragazza equivale a tacere. La parola è sulla bocca delle cattive ragazze e lo stupro la rivela. «Io sono Demon e la luna è mia madre. / Leccatemi bastardi non talentuosi leccatemi». (Isabella Santacroce, Luminal)