Il treno di Dante. Scoperto il 101esimo canto della Divina Commedia

In occasione dei 700 anni del GranGianato di Toscana fu, casualmente, rinvenuto un canto inedito del gran poeta Dante Alighieri. I canti della Divina Commedia divennero, da allora, 101.

La scoperta avvenne sulla linea del treno Firenze-Ravenna, vettore di toscanità nelle regioni romagnole dove – impastatissimo – il “sì” non suona neanche oggi.

Durante i lavori di ammodernamento della tratta ferroviaria, un mastro muratore ritrovò una bottiglia di antica fattura sotto la pietra angolare della galleria degli Allocchi: il tunnel che, con ardita costruzione, superava il bastione appenninico tra Ronta e il ridente borgo di Crespino.

Ancor prima di conoscere il contenuto della bottiglia, accorse il presidente grangianale, tralasciando i festeggiamenti a palazzo Massacrati.

Arrivò tosto anche il metro-sindaco, poiché la galleria si trovava in posizione baricentrica nel territorio della città metropolitana. La quale, spingendosi fin quasi al piano padano, includeva persino il castello di Castrocaro (notazione di non poco conto se si pensa – come subito pensarono i due governanti – che sono 101, sì proprio 100+1, i luoghi toscani che Dante cita nella Commedia).

«Ma certo, 101 è il nostro numero!» esclama il regnante.

« Alla carica dei 101! Facciamone uno slogan», proruppe il primo metro-cittadino, «passerò questa Vostra reale e geniale intuizione all’ufficio Comunicazioni del Comune. Ne faremo un brand, anzi, un brandy… sì, sì, una bevanda frizzante da stappare il 25 marzo per il capodanno toscano!»

«Sì, un vinello con uve transappenniniche… Lo potremmo chiamare O’ Tosco, in onore del nostro Divino Expat» precisò il primo.

Mentre i due mettevano a fuoco tali intuizioni, una giovane romagnola si accingeva a leggere il testo ritrovato. Si trattava, in effetti, di una bozza per il trentacinquesimo canto dell’Inferno da aggiungere nella seconda edizione della Commedia.

Fin dalla prima frase fu evidente che il canto era dedicato agli ignoranti e a chi maltratta la lingua italiana.

«Cento canti v’ho scritto, non so quante terzine. Mi sbattei vent’anni per dar lingua elegante, utile e pregevole, e voi mi dispregiate. Un vinello dal nome O’ Tosco voi mi dedicate??? Via via, sparite agli inferi, e con Lucifero libate».

«La vostra ignoranza… [“scì, dize proprio coscì: ignorànsa”, si scusò la romagnola] … la vostra ignoranza vi condanna: l’uno a presentar tutti libri d’Alessandria; l’altro a leggerli e abbandonar tirànnia».

*Atena Poliade