Musei: ma quanto si concede a questi concessionari?

Sembra ormai certo che i super dirigenti per i grandi musei statali (a Firenze, lo ricordo, Uffizi, Accademia, Bargello) non saranno nominati fino almeno a metà agosto e, conseguentemente, di nuove gare per i concessionari non si parlerà almeno fino all’autunno, essendo stato deciso che dovranno essere loro ad espletarne le procedure. Verrà quindi rimandato ancora ciò che avrebbe dovuto essere fatto almeno 15 anni fa e che per molte e gravi motivazioni urgerebbe fare al più presto.

Ma teniamoci, per spiegare meglio il senso di tutto, al caso particolare di Firenze, prima città in Italia ad applicare la legge Ronchey del 14 gennaio 1993, legge che prevedeva di affidare a privati alcuni servizi che i musei avevano difficoltà ad offrire. Fra questi la bigliettazione, l’organizzazione delle mostre, l’editoria e i bookshop, la didattica.

uffiziPrima considerazione: se questi servizi erano considerati remunerativi il dovere del Governo era quello di dare ai musei gli strumenti per gestirli; se non lo fossero stati, del resto, nessun privato se li sarebbe accollati. Quindi bisogna pensare che dietro a quella legge ci fosse lo scopo di far confluire nel settore privato il prodotto di quei “giacimenti” culturale come ebbe a chiamarli per primo Gianni De Michelis.

A Firenze il boccone era enorme e comprendeva tutti i musei del Polo Museale (Uffizi, Galleria dell’Accademia, Complesso di Pitti, Cappelle Medicee, Bargello, Museo di San Marco, Cenacoli, Palazzo Davanzati, Casa Martelli) a cui si aggiungeva il museo dell’Opificio delle Pietre dure e il museo Archeologico. 

I servizi dati in concessione erano tutti quelli elencati sopra, a cui con il tempo si è aggiunto in parte anche quello della custodia. Inizialmente la durata della concessione era prevista come triennale, con possibilità di rinnovo per i successivi altri tre anni. A forza di proroghe e di abracadabra, come il passaggio nel 2008 dal concessionario ATI GIUNTI a CIVITA, società il cui comitato di Presidenza ha al suo vertice Gianni Letta, dal lontano 1998 siamo giunti ad oggi: ma non c’è fretta, ora bisogna aspettare i super dirigenti. Si noti che il passaggio avvenuto nel 2008 ha riguardato solo il gruppo dirigente, senza minimamente toccare le aziende coinvolte, che sono rimaste sempre le stesse.

All’atto pratico, cioè per la vita dei musei, tutto questo cosa significa? Significa che lo Stato si è preso un socio con cui divide onori ed oneri per larga parte della sua attività, ma si tratta di un socio che ha scopi e finalità opposte per natura rispetto alle sue, in quanto l’impresa privata tende al massimo sviluppo economico, mentre lo Stato deve anche curarsi di far crescere il livello culturale della popolazione. Ne consegue un inevitabile e purtroppo impari braccio di ferro, i cui esiti dipenderanno dalle forze che i due soci/contendenti hanno nelle specifiche situazioni e da quanto sono disposti a metterle in campo.

Per entrare nello specifico, la Direzione degli Uffizi ha, davanti al concessionario, una forza contrattuale molto maggiore del Museo di san Marco, in quanto tiene in mano una assai più ricca borsa; d’altro canto, il concessionario ha molto più interesse a sfruttare i musei maggiori, quindi sarà assai più aggressivo nei loro confronti. Di fatto gli spazi di confronto e di competizione si sono ridotti a mera apparenza, non essendoci possibilità di alternanza o di scelte al difuori delle imprese concessionarie; in poche parole si è creato un mercato assolutamente chiuso e inattaccabile, contrario proprio a quelle regole di liberismo e di dinamica concorrenza di cui vorrebbe dirsi figlio.

Si tratta inoltre di un meccanismo che privilegia in tutti i campi la parte più forte e non la più nobile: privilegia le grandi società escludendo le piccole e medie imprese, privilegia i musei più frequentati dal grande pubblico, privilegia le attività più redditizie, come le mostre, rischiando talvolta di forzare le scelte etiche e scientifiche dei funzionari. Un esempio per tutti: la didattica in mano ai privati è diventata da molti anni a pagamento. Ma che didattica è se insegna alle persone, fino da piccole, che anche la bellezza si compra? E infine un’ulteriore domanda: è proprio necessario, Signor Ministro, aspettare ancora per creare un’alternativa che asfalti finalmente le rendite di posizione?

*Franca Falletti, funzionaria della Soprintendenza, ha diretto la Galleria dell’Accademia