Un saggio che apparentemente tratta della storia della moneta e del suo evolversi in rapporto alle funzioni da essa svolte, ma che in realtà smaschera e decostruisce uno dei fondamenti che hanno reso e rendevano la moneta stessa capace di svolgere dette funzioni. Si giunge così all’ipotesi per la quale soltanto un atto di fede permetta alla moneta di essere tale imparentandosi sia formalmente, ma anche psicologicamente, con il fenomeno del debito/credito. La tesi annunciata nell’introduzione è che il sistema monetario attuale in quanto basato su una moneta fiduciaria o moneta di credito, non sia l’espressione del superamento del sistema del Gold standard, inteso come sistema monetario fondato sull’oro e delle sue presunte inefficienze, ma la manifestazione di una natura profonda che vede il sistema monetario contemporaneo come una commistione incistata di moneta e credito.
La fede del titolo corrisponderebbe dunque al fatto che
«la possibilità di accantonare un mezzo di scambio con la certezza (la fede), istituzionalmente garantita, che esso conservi inalterato il suo valore nei termini dell’unità di conto; ovvero, simmetricamente, la possibilità di denominare un credito con la fede (la certezza) che l’unità di conto in cui esso è denominato corrisponda sempre, per definizione, alla medesima quantità di mezzi di pagamento necessari per onorarlo» (p.9).
Visto che si sa sempre meno su che cosa abbia voluto davvero dire la convertibilità, allora l’unica cosa che resterebbe da fare sarebbe di dichiararla intoccabile, «come un articolo di fede» dice ancora Amato (p.252). E, su questa fede, sarebbe di fatto costruito anche l’attuale sistema tanto da giustificare un titolo così particolare per un trattato sulle monete in occidente.
Secondo questa visione, quello che abbiamo in tasca (per chi ancora ce l’ha) sarebbe solo e soltanto un pezzo di carta e il fatto che abbia un dato valore corrisponderebbe semplicemente ad un atto di fede, un credo, che avrebbe e avrebbe avuto nel tempo più o meno delle buone ragioni per essere creduto. In tempi a noi più vicini, una volta sganciato da ogni connessione con una qualsiasi contropartita, l’atto di fede sarebbe addirittura una trappola nella quale sarebbe probabile cadere. Storicamente le contropartite possibili sono state la corrispondenza e la convertibilità della moneta con i metalli preziosi in cui erano coniate o la corrispondenza in oro costituita dalle riserve auree che le banche centrali dovevano avere a giustificare la loro possibilità di emettere moneta, ma questo, come vedremo, non era bastante.
Per coloro che sono interessati a questioni economiche o strettamente monetarie, il saggio è ricco di documenti e considerazioni, quello che comunque emerge è che anche là dove la moneta era garantita da una sua corrispondenza con i metalli, questa era soltanto un’apparenza e che il reale funzionamento dipendeva egualmente da un atto di fede. L’analisi prende in considerazione vari stadi di questo processo che sgancia sempre di più la moneta dalle garanzie preposte alla sua autorevolezza e quindi alla sua funzione rappresentativa. L’autore traccia come una parabola che vede al culmine il sistema del Gold standard (la parità in oro delle riserve auree) e il suo declino che porta la moneta contemporanea alla valenza di cui abbiamo parlato. Anche in questo caso ci sono delle tappe piene di paradossi e incongruenze. Dietro a questi elementi c’è infatti una questione che domina il loro evolversi, la propensione dei creditori ad usare i crediti come valori, per la quale si ha che, se si dà uno sguardo alle regole del gioco, emerga immediatamente un elemento apparentemente paradossale. Ad esempio, per quanto riguarda il periodo relativo al Gold standard, la conversione sarebbe consistita nel momento del pagamento del debito contratto, ma il il debito che le banche hanno costruito (più che concesso) era, come abbiamo sospettato, fatto per non essere pagato. La conversione sarebbe allora il momento in cui il debito costruito per non essere pagato dovrà essere pagato. Questa sarebbe la fine di un sistema che viveva e vive invece di un continuo rilancio esprimendo così anche la sua potenza (capacità di agire e di riprodursi). Finale di partita è dunque lo sganciamento perseguito prima dall’Inghilterra in due fasi (prima nel 1914, poi nel 1931) e soprattutto dagli Stati Uniti (Richard Nixon il 15 agosto del 1971 dichiara la non convertibilità del dollaro con l’oro, si ha di fatto il totale sganciamento della moneta da un qualsivoglia sistema di garanzie). Si scopre così la connessione tra moneta e credito che è al fondamento dell’attuale sistema:
«con il 1971, la sostituibilità fra moneta e oro è definitamente rimpiazzata dalla sostituibilità tra moneta e credito» (p.254).
Ci piace allora far notare, aggiungeremo noi, il passaggio dalla Lira all’Euro che vede dunque e non a caso la soppressione della dizione: “pagabili a vista al portatore” presente soltanto sulle banconote precedenti. Si ha così che la relazione debito credito perda i connotati di una relazione tra i due attanti dello scambio, in un certo senso, si sia spersonalizzata. Al creditore viene fatto credere che ci sia una solvenza garantita e, nello stesso tempo, al debitore non vengono richieste più garanzie in maniera tale da poter espandere la domanda in termini infiniti spostando sempre in avanti il momento della cessazione del rapporto che in teoria doveva coincidere con il pagamento definitivo del debito. Qui Amato conferma le considerazioni sollevate da Ross (link all’articolo precedente).
La storia del debito e del credito che apparentemente dovrebbe essere la stessa storia, ha come un’origine che marca in modi diversificati le due azioni e i due attori producendo un’eccedenza di senso nella relazione per la quale il ruolo del creditore e quello del debitore non sono (e non devono essere) in equilibrio. Lo scambio originario non era e non doveva essere a pareggio; occorreva un plusvalore di codice che tenesse aperta la relazione, che, in qualche modo la permettesse e l’attuasse. Questo è il punto nodale del rapporto debito/credito che, pur non essendo al centro dell’indagine del nostro autore, viene comunque anche da lui riconosciuto:
«La ragione dell’eccedenza di senso della relazione debito-credito rispetto alla sua dimensione puramente economica va cercata nello strutturale squilibrio che il rapporto fra debitore e creditore porta con sé. […] [Perché] “debitore” è spesso sinonimo di “colpevole” se non di “colui che deve espiare”, “creditore” è colui che ha in suo potere il debitore» (pp. 17-18).
Con il corollario per il quale il debitore era ed è di fatto assoggettato al creditore.
La figura della merce che emerge da queste riflessioni non sarebbe né una cosa né un servizio intesi nella loro possibilità di essere oggetti di scambio e quindi nel valore a loro attribuito, ma il fatto che è diventato il valore di scambio stesso la merce da prendere in considerazione. La convertibilità non sarebbe quindi quella tra la carta e l’oro (misurata dall’aggio), ma quella tra credito e moneta, misurata dal tasso di interesse.
Si chiude con una considerazione che vede questi paradossi e queste incongruenze essere in qualche modo legati con una considerazione, quella insensata della possibilità di una perpetuazione senza rischi dell’ottimismo che invece dovrebbe fare i conti con la radicale incalcolabilità del rischio. E, detto da un bocconiano, non è poca cosa.
Massimo Amato, Le radici di una fede – Per una storia del rapporto fra moneta e credito in Occidente, Bruno Mondadori, Milano 2008. Pagine 274. € 23.00
Lo scaffale del debito parte I
Lo scaffale del debito parte II
Gilberto Pierazzuoli
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