Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, assecondato dal suo assessore al bilancio Vittorio Bugli, persevera nella dissennata politica di svendita del patrimonio pubblico della Regione (qui).
Nonostante le reiterate manifestazioni di perplessità e di esplicita opposizione manifestate da realtà sociali estranee alle logiche di potere, comitati di cittadini, associazioni – non ultima quella della Società dei Territorialisti dello scorso febbraio (qui), gli amministratori regionali non riescono a promuovere uno straccio di intervento pubblico di recupero e di rifunzionalizzazione di questo ingente patrimonio storico e architettonico.
Sul piano della promozione si muovono come dei consumati operatori immobiliari, si recano alle fiere internazionali dove si danno convegno speculatori di ogni risma, preparano cataloghi, allestiscono mappe interattive da bravi imbonitori chiamano a raccolta ipotetici investitori che non arrivano, se non quando il prezzo di vendita degli immobili, per carità così come prevede la legge, di riduzione in riduzione, non è crollato ai minimi termini.
Si conferma come questi amministratori non esprimano un brandello di proposta di coinvolgimento delle numerose e vivaci realtà di base nella definizione di programmi di recupero dal basso del patrimonio collettivo della Regione. Eppure questi beni, comuni a tutti gli effetti, visto il carattere storico e collettivo della loro definizione, possono costituire la base territoriale di nuovi percorsi di riqualificazione ambientale e territoriale, possono dare vita o sostenere le numerose nuove forme di lavoro creativo, ecoautonomo, autoprodotto tali da rappresentare un concreto segno di lotta al precariato dilagante e alla disoccupazione giovanile, vero dramma dei nostri giorni.
Potrebbero essere attivati cantieri sperimentali in ogni provincia, nelle grandi città, in alcuni luoghi periferici, con lo scopo di ripristinare o di consolidare un profondo senso di appartenenza degli abitanti ai luoghi coinvolti. Appartenenza vuol dire anche tornare a prendersi cura del proprio ambiente di vita, combattere l’indifferenza che in alcuni casi è presente, attivare politiche di inclusione di profughi e immigrati, nuovi abitanti che possono vedere affermato il proprio diritto di cittadinanza. Si potrebbe continuare ad libitum, basta volerlo e non cedere ai diktat della finanza, del pareggio di bilancio, dell’alienare per sopravvivere. Sembra una questione di semplice buona politica, che presuppone però un pensiero alternativo alla logica del profitto e della delega ai grossi investitori multinazionali. Il che, evidentemente, non sembra contraddistinguere l’amministrazione toscana.
“Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, scriveva il Manzoni a proposito della pavidità di Don Abbondio. Questi nostri moderni Don Abbondio purtroppo hanno responsabilità di governo, non sono portatori di una visione, di un progetto politico di coinvolgimento della cittadinanza, sono appiattiti su una gestione del contingente gradita ai grossi portatori di interessi, salvaguardando al contempo la propria carriera politica.
Alleghiamo un video con le schede di più di 100 immobili di cui la Regione si vuole sbarazzare:
*perUnaltracittà, laboratorio politico – Firenze
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