Quando un argomento è particolarmente delicato ed interessa una moltitudine di soggetti, non sarebbe sbagliato, prima di decidere quale posizione prendere, leggere con più attenzione le opinioni di quelli che possono essere definiti autorevoli interlocutori.
Sui quotidiani, alla radio, nei programmi televisivi o sulla rete ho letto e ascoltato spesso, riguardo al sottoattraversamento ferroviario di Firenze, da parte di persone che non mostrano e non hanno mostrato in passato una particolare propensione al dialogo, categoriche dichiarazioni in merito alla assoluta necessità dell’opera (ciò vale ovviamente anche per tutte le altre opere di cui si discorre in questi giorni). Questo senza che sia mai stata specificata l’origine di tale incrollabile certezza, se non con vaghe rappresentazioni di ipotetici benefici economici, occupazionali e più che altro sociali (perché per fare presa nell’opinione pubblica qualche esperto di marketing deve aver suggerito che il “sociale” si vende sempre bene); e poi in fondo, che se ne capisce, noi cittadini, di cose così complicate?
Nel descrivere l’argomento, i soggetti – normalmente – oltre a distribuire perle di saggezza di cui dobbiamo essere grati, hanno voluto dimostrare il loro status di “esperto” della materia. Purtroppo – invece – chi millanta esperienza mostra spesso di non avere grandi conoscenze scientifiche, non conosce nemmeno bene le problematiche con cui si confronta l’opera, e mantiene volutamente una certa distanza dalle questioni economiche, trattando i soldi (parliamo dei costi dell’opera, che fino ad ora, e senza che sia stata realizzata una cippa di niente, assommano ad oltre 740 milioni di euro) come se non fossero il frutto dal lavoro di tanti italiani onesti (e solo degli onesti), ma il prodotto di una macchina che ne stampa quanti ne servono a seconda dei casi. Questi signori sembrano avere tutti la verità in mano, lasciando a noi l’invidiabile privilegio di poter vivere una vita tranquilla sotto l’ombrello di tanta sapienza.
Il dubbio però che non sia del tutto vera la favola che ci viene raccontata dovrebbe in noi emergere quando la storia presenta due finali, o peggio ancora quando il narratore si contraddice, esponendo prima un “racconto” e poi il suo contrario. Se non si è più sicuri di quello che ci è stato descritto come “certo”, dovremmo avere il coraggio di prendere le distanze da questi soggetti dalla memoria corta e dalla scarsa coerenza.
In un paese dove non c’è mai un colpevole e dove i presunti responsabili si dichiarano sempre innocenti, il problema è trovare esperti (possibilmente non politici) in grado di dire la verità, di argomentare in modo chiaro, di porre eventualmente anche dubbi, di ascoltare le ragioni degli altri, di verificare se ci sono soluzioni alternative, ma principalmente di dare almeno la sensazione che tutto sarà fatto solo nell’interesse della collettività.
Purtroppo, in Italia, dichiarare apertamente i propri errori, o ammettere con umiltà la propria ignoranza, non è considerato un atto di rispetto verso le istituzioni che si dirigono o verso la collettività in genere, ma una pericolosa diminutio del proprio status, che potrebbe compromettere la possibilità di più fulgide carriere.
E allora, quali strumenti abbiamo per valutare il grado di affidabilità di chi è chiamato ad esprimersi su temi che riguardano il futuro del nostro territorio? I più importanti sono la conoscenza e la memoria: insieme costituiscono un’arma micidiale che non dà scampo ai professionisti della parola vana. Se si vanno a rileggere le esternazioni dei più autorevoli esponenti delle istituzioni regionali e nazionali sul tema della TAV e di Firenze, opportunamente riportate con la dovuta enfasi sui mezzi di informazione (forse meglio dire di divulgazione), non possono sfuggire la totale incoerenza dei comportamenti e le ridicole motivazioni con cui questi autorevoli esponenti giustificano il loro dietrofront.
Cambiare opinione può essere un bell’esercizio di civiltà, ma se questo avviene dopo che il soggetto ha rifiutato sistematicamente il dialogo con chi propone alternative, e ha imposto le proprie scelte come se fossero le uniche possibili (anche quando cambiano radicalmente), ciò dovrebbe suggerire l’avvio di una attenta e diffusa riflessione sulle conseguenze che certi atteggiamenti potrebbero avere per il futuro del nostro territorio. Siccome le parole hanno un peso, chiedo se ancora si può credere a chi ritiene di poter dire tutto e il contrario di tutto, senza doverne mai pagare le conseguenze.
Come ha detto qualcuno, ognuno di noi è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò che dice.
Ma qui, in realtà, sembra di entrare nel mondo della commedia all’italiana: torna in mente I soliti ignoti di Mario Monicelli, che racconta le gesta di uno scombinato quartetto di ladri di mezza tacca inesperti e pasticcioni che concludono una rapina senza un bottino, facendo un buco nella parete sbagliata, e si consolano poi con una pentola di pasta e ceci. “Peppe er Pantera”, “Capannelle” e “Ferribotte” mi ricordano irresistibilmente il variegato “bestiario” di quelli che in questi anni si sono succeduti a capo delle istituzioni e che hanno raccontato un nuovo episodio della stessa commedia.
Anche questa è l’Italia, non solo paese di santi poeti e navigatori, ma purtroppo anche di pericolosi improvvisatori e millantatori di improbabili verità.
Ciò che è irresistibile per me, è l’analogia tra il buco nella parete sbagliata e il “buco” della “Foster” in via Circondaria, che qualcuno dovrà decidere come riempire senza stazione.
Ridiamoci, ma non dimentichiamo quanto è già costata l’inadeguatezza della classe politica che ci ha governato, che ci governa tutt’ora e che non pagherà per le sue colpe, perché il prezzo di questa faraonica negligenza (per ora: 740 milioni di euro) è a carico sempre dei soliti onesti italiani che pagano le tasse.
Che differenza tra la pasta e ceci che è l’unico bottino dei “soliti ignoti” del film e l’astronomico sperpero di risorse attuato dai “soliti noti” di oggi!
*Fabio Zita
Fabio Zita
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