I deficit istituzionali verso chi chiede asilo: ecco come cambiare rotta (anche in Toscana)

Le persecuzioni, le violenze, gli atti terroristici, i numerosi conflitti bellici – la terza guerra mondiale strisciante, o “a episodi”, come ha detto Papa Bergoglio – intensificatisi nell’ultimo periodo, hanno causato distruzioni e vittime, principalmente fra la popolazione civile, ed anche un aumento notevole di profughi, cioè di persone, fra cui un numero crescente di donne e bambini, che abbandonano il proprio territorio, sconvolto e reso invivibile da bombardamenti, stragi, vessazioni di ogni tipo, e che hanno il diritto, secondo le convenzioni internazionali e la Costituzione italiana, di chiedere asilo.

bimbaChi chiede asilo

Provengono dalla Siria, dall’Iraq, dal Sud Sudan, dall’Afghanistan, dalla zona del Corno d’Africa, da altre regioni africane. Una parte, una piccola parte di questa moltitudine alla ricerca di una speranza di vita (i più cercano rifugio nei paesi più vicini a quelli di provenienza), tenta di raggiungere il continente europeo attraversando il Mediterraneo. Molti di loro, decine di migliaia nel corso degli anni recenti, muoiono durante la traversata.

Le responsabilità dell’Europa (e dell’Italia)

Sono vittime dell’Europa, responsabile, direttamente o indirettamente, delle tragedie che si stanno sviluppando in varie parti del mondo, di quell’Europa che ha creato un sistema “fortezza”, blindando le frontiere, chiudendo i canali d’ingresso legali, facendo “accordi bilaterali” con i paesi dell’altra sponda del Mediterraneo volti ad impedire la partenza dei profughi, che rimangono così “intrappolati”, ridotti spesso a vivere in condizioni disumane.

Recentemente l’Unione Europea ha stipulato un indecente accordo con la Turchia di Erdogan, quella che mette in prigione gli oppositori e perseguita la popolazione curda, versandole miliardi di euro perché non faccia passare i migranti sul suolo europeo. Eppure tale sistema non è servito e non serve a scoraggiare chi fugge da situazioni disperate, come sostiene chi propugna la politica di chiusura in quanto elemento di dissuasione. E non sono i cosiddetti “scafisti”, cioè i “trafficanti” che imbarcano i profughi per farli giungere in Europa, i principali responsabili delle stragi in mare, come affermano spesso, invece, i governanti italiani ed europei, appoggiati da gran parte degli organi d’informazione. La responsabilità prima, lo ripeto, sta nelle politiche di chiusura adottate dall’Europa.

L’Italia, che non si è mai dotata di un sistema di accoglienza strutturato e dignitoso, preferendo rincorrere le varie emergenze, così da suscitare allarmismo per le cosiddette “invasioni” e giustificare provvedimenti sempre più restrittivi di fronte alla situazione emergenziale, nel 2014 aveva messo in piedi la missione, militare e umanitaria, “Mare Nostrum” (sebbene non priva di pecche, era riuscita a salvare molte vite umane). Il Ministro dell’Interno Alfano è riuscito a chiuderla.

L’Europa l’ha sostituita con Frontex Plus, un’operazione volta a rafforzare il già esistente Frontex, sorto per vigilare le frontiere nell’ottica del continente “fortezza”, senza destinare però alcun finanziamento ad interventi di accoglienza e d’inclusione. Cresce l’allarme per i “pericoli d’invasione”, alimentato dai soggetti politici “imprenditori del razzismo”, con i media che contribuiscono a far crescere l’allarmismo, in una spirale in cui prendono sempre più spazio le affermazioni deliranti di leghisti e soci.

L’accoglienza in Toscana

Di fronte a questa situazione, il Presidente Enrico Rossi ha riproposto il cosiddetto “modello toscano” di accoglienza, che poi è il modello indicato dallo SPRAR, cioè dal sistema nazionale d’accoglienza per i richiedenti asilo, che vede la collaborazione del Ministero degli Interni, dell’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani -, dell’Associazionismo, e che offre un numero molto limitato di posti alle persone che giungono in Italia per chiedere asilo.

E’ indubbiamente da condividere l’individuazione di un sistema di accoglienza fondato sui piccoli gruppi e non sulle grosse concentrazioni. E tuttavia la ripetuta esaltazione del cosiddetto “modello toscano” rischia di diventare retorica vuota, tesa a nascondere la carenza di politiche incisive al riguardo.

L’ospitalità diffusa sul territorio, in piccole strutture, è infatti un requisito necessario, ma non sufficiente, per costruire una buona accoglienza. E’ indispensabile aggiungere, prima di tutto, un criterio di localizzazione, evitando l’isolamento in luoghi marginali e favorendo al contrario la piena integrazione nelle città e nelle aree abitate, e stabilire poi standard di qualità, a cui tutti coloro che intervengono per accogliere e includere i richiedenti asilo dovrebbero uniformarsi.
Spetterebbe ai comuni essere al centro di un corretto sistema di accoglienza, mentre invece attualmente la gestione della sistemazione dei richiedenti asilo è stata affidata dal Governo alle Prefetture (solo il sistema SPRAR, che però riguarda un numero ridotto di persone, prevede l’intervento degli enti locali).

E’ anche vero che in quest’ultima fase si è riscontrata una tendenza delle amministrazioni comunali (seppure con eccezioni virtuose) a tenersi fuori dalle problematiche riguardanti l’accoglienza (“visto che la responsabilità ricade sui Prefetti, siano loro a togliere le castagne dal fuoco”, si è pensato in molti casi – così di fronte ad eventuali proteste della cittadinanza per l’arrivo dei richiedenti asilo il sindaco sarebbe sempre in grado di dire “io non c’entro” -).

I compiti della Regione

Alla Regione spetta in ogni caso un’opera di monitoraggio su come agiscono gli enti gestori dell’accoglienza individuati dalle Prefetture, spesso anche senza bandi (un’opera da realizzare attivando in tal senso pure gli enti locali). Ebbene, tale indispensabile iniziativa è stata svolta in maniera insufficiente, visto che da più parti, ad opera delle associazioni impegnate per la tutela dei diritti dei migranti, si segnalano situazioni di “mala gestione” (su alcune delle quali ha messo recentemente l’occhio la Magistratura).

In effetti gli arrivi degli ultimi tempi hanno saturato le organizzazioni che hanno maggiore esperienza e capacità, per cui i Prefetti stanno ricorrendo alle prestazioni di soggetti spesso del tutto impreparati, che mirano soltanto ad incassare le quote previste (i famosi 35 euro al giorno che nella propaganda razzista dei leghisti vengono dati al singolo richiedente asilo e che invece, per la quasi totalità – 32,50 – , vanno all’ente gestore), quando non sono addirittura “in odore di malavita”.

Sarebbe comunque importante – ed a questo dovrebbe mirare l’azione della Regione – che venissero adottati al riguardo i parametri SPRAR, che si mirasse ad assicurare comunque i diritti delle persone, che vi fosse un coinvolgimento degli enti locali come punti di riferimento dei vari percorsi d’accoglienza, in modo da favorire un collegamento con le reti territoriali esistenti per i servizi da fornire (la consulenza legale, in particolare quella per portare avanti la richiesta d’asilo, il sostegno per l’accesso ai servizi, i corsi per l’apprendimento dell’italiano, l’assistenza psicologica, le pratiche per far emergere la soggettività e l’iniziativa dei migranti) e per rendere concretamente fattibili anche gli inserimenti di tipo familiare previsti dal progetto regionale (inserimenti indubbiamente positivi, perché creano relazioni umane fra nativi/e e richiedenti asilo, purché vi siano le condizioni per la loro realizzazione – l’esistenza di una rete di servizi sarebbe molto meglio dei servizi garantiti da un ente gestore, perché implicherebbe il coinvolgimento di un’intera comunità, in tal modo effettivamente solidale -). Una particolare attenzione bisognerebbe porre all’accoglienza dei minori non accompagnati, per cui andrebbero predisposte misure specifiche, oggi largamente insufficienti.

Per una buona accoglienza

Per quanto riguarda l’accoglienza in generale vi è il rischio, anche per chi opera con le migliori intenzioni, di riprodurre – nel rapporto quotidiano con le persone accolte – pratiche di assoggettamento e deprivazione di iniziativa, tipiche di tutte le forme di istituzionalizzazione.

Occorre cioè uscire da quel complesso di azioni che oscillano, reggendosi vicendevolmente, tra uno sguardo compassionevole e de-privante (cura, “approccio salvifico”, vittimizzazione) e un’attenzione più rigorosa al “controllo” (educare, sorvegliare, moralizzare, punire). L’accoglienza tende a confondersi spesso con la sorveglianza, al punto che i richiedenti asilo si trovano – nei casi più estremi – a subire forme soft di reclusione/trattenimento (divieto di entrare nelle strutture e di uscirvi, divieto di ricevere visite, rigide prescrizioni sugli orari e i ritmi di vita, controllo sulla vita privata e sulle relazioni amicali o familiari etc.).

E’ auspicabile che i/le richiedenti asilo, nel lungo periodo di attesa di una risposta alla loro richiesta, non rimangano nell’inattività completa, ma le loro occupazioni non devono essere occasioni di sfruttamento (a volte pianificato, altre volte ingenuo) e vanno collegate a percorsi formativi e ad ipotesi di inserimenti lavorativi successivi, nonché a forme di auto-organizzazione.

Non poche delle pratiche magnificate come “contratti di solidarietà” o come “volontariato” celano malamente forme di sopraffazione e sopruso che ostacolano l’agire in prima persona dei/delle richiedenti asilo, i loro desideri e soprattutto la realizzazione dei loro progetti futuri, innescando un circuito di assistenza/ dipendenza/ controllo. Si parla sempre più spesso, tra l’altro, di un “risarcimento” che il migrante dovrebbe nei confronti della “generosità” del paese ospitante: un’idea che fa a pugni con tutte le definizioni giuridiche dello status di rifugiato. L’asilo politico è infatti un diritto soggettivo pieno e non una forma di “benevolenza” (meritevole appunto di un “risarcimento”).

Decisiva, per corrette pratiche di accoglienza, appare anche la questione delle competenze degli operatori, che per la massima parte vanno formati e accompagnati a una consapevolezza critica del proprio ruolo

Per un’inversione di rotta

Per costruire un clima favorevole all’accoglienza ed all’inclusione a livello di opinione pubblica e di contesto sociale le istituzioni, a partire dalla Regione, dovrebbero promuovere, con continuità, iniziative culturali, di informazione e di confronto. Ed in prospettiva elaborare progetti per l’inserimento abitativo, lavorativo, sociale di quante/i rimarranno nell’ambito regionale (per esempio, c’è l’estrema necessità di interventi per la difesa e il mantenimento del territorio, per il recupero delle zone di campagna abbandonate, per la rivitalizzazione dei paesi montani oggi semi-deserti – come è già accaduto in altre parti d’Italia [vedi l’esperienza di Riace] ed è stato proposto, anche per la Toscana, alcuni anni fa -, interventi realizzabili creando occupazione dignitosa, retribuita e sindacalmente garantita, sia per i/le migranti che per gli italiani e le italiane).

Alla Regione ed ai comuni spetterebbe inoltre di intervenire sulla questione richiedenti asilo affrontando, più in generale, tutte le problematiche dell’immigrazione:

  • muovendosi cioè per la piena applicazione della legge regionale, che si basa su principi validi ma che è scarsamente messa in pratica;
  • impegnandosi per la chiusura dei CIE e di tutti i centri di detenzione per migranti, comunque siano denominati, per l’apertura di canali legali e permanenti d’ingresso, per l’attribuzione di un permesso di soggiorno umanitario a quante/i approdano, e sono approdate/i, sulle nostre coste;
  • stimolando Governo e Parlamento a rivedere a breve termine la legge Bossi-Fini, che contiene parti inaccettabili, a formulare finalmente una legge sul diritto d’asilo che dia piena attuazione all’articolo 10 della Costituzione, ad approvare delle norme che attribuiscano la cittadinanza, senza limitazioni, a tutte/i coloro che nascono sul suolo italiano e riconoscano finalmente il diritto di voto alle persone provenienti da altri paesi che vivono qui stabilmente (come richiesto dalla campagna “L’Italia sono anch’io”);
  • sollecitando l’indispensabile cambiamento di rotta dell’Unione Europea sui temi dell’accoglienza e dell’inclusione dei migranti (nell’immediato sono estremamente urgenti:
    • l’apertura di corridoi umanitari in favore di chi è costretto ad abbandonare il paese di nascita e/o di residenza a causa di conflitti, persecuzioni, “catastrofi ambientali, climatiche o economiche”,
    • la riforma radicale della Convenzione di Dublino III, che attualmente impedisce ai/alle richiedenti asilo i movimenti interni al territorio europeo, una riforma, quindi, che dia loro la possibilità di raggiungere il paese in cui hanno relazioni e legami familiari,
    • la costruzione del percorso necessario affinché venga attribuita la cittadinanza di residenza a chiunque viva stabilmente in Europa).

Iniziative recenti

Ultimamente, nella zona fiorentina, alcune realtà impegnate sul terreno della solidarietà, dell’accoglienza, della difesa dei diritti – Diaconia Valdese, Comunità delle Piagge, Associazione Straniamenti-Empoli, Coordinamento “Basta morti nel Mediterraneo”, Rete Antirazzista, Comitato 1° Marzo, Fuori Binario, Le Mafalde-Prato, volontari/volontarie del gruppo locale di Emergency – stanno costruendo un progetto per accogliere e includere coloro che sono stati estromessi dai centri ufficiali, quelli sotto l’egida della Prefettura (un progetto denominato Ubuntu – esprime un concetto filosofico africano, e cioè “io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti” che prevede l’affitto di un appartamento e la realizzazione degli interventi di sostegno alle persone ospitate). Tale prima operazione si potrà poi sviluppare, allargandosi a quanti/e vedono respinta la richiesta d’asilo e fanno ricorso contro tale decisione.

Sarà compito di questo pool di soggetti sostenere l’esperienza dei “corridoi umanitari” portata avanti dalla Chiesa Valdese, utilizzando i fondi dell’8 per mille, e dalla Comunità di Sant’Egidio, riguarda un numero limitatissimo di persone, ma vuole essere un esempio della praticabilità di tale modalità e costituire così un’indicazione ed uno stimolo per le istituzioni.

Mentre qualcosa si muove a livello di società civile, l’azione istituzionale rimane molto al di sotto delle reali necessità.

In Regione la maggioranza, se da un lato respinge i deliri della Lega e di tutto lo schieramento di destra, dall’altro non imposta politiche alternative rispetto a quelle portate avanti dal Governo e, più in generale, dall’Europa (come si è già notato, non riesce nemmeno a monitorare efficacemente ciò che viene fatto dalle Prefetture e dagli enti gestori prescelti), non cogliendo le sollecitazioni che le vengono dai due Consiglieri di “Sì Toscana a sinistra”, piuttosto isolati in Consiglio nel tentativo di promuovere un’inversione di rotta sul capitolo immigrazione. In effetti, interventi di segno diverso su questo tema, centrale per le prospettive del Paese e dell’Europa, condurrebbero a profondi cambiamenti nell’azione complessiva del Governo.

E così gli arrivi delle persone dall’Africa, dal Medio Oriente, dalla sponda Sud del Mediterraneo, considerati in genere una calamità (da respingere o da subire, a seconda dei diversi punti di vista), sarebbero l’occasione per una svolta riguardo alle politiche improntate all’austerità ed alla distruzione dello stato sociale (con il loro contributo si potrebbero anche ricercare nuove condizioni di vita nei luoghi da cui esse provengono, devastati da violenze, distruzioni, guerre).

Il dibattito sulle tematiche in oggetto potrebbe finalmente uscire dagli infimi livelli attuali, a cui fanno da punto di riferimento le esternazioni di Salvini e soci, per misurarsi su prospettive di ampio respiro, su come cioè far sì che i/le richiedenti asilo, i profughi e le profughe, i/le migranti divengano attori, insieme agli italiani ed alle italiane, dei cambiamenti necessari nel nostro Paese, costruendo progetti realmente innovativi. Rovesciando una frase demenziale che sentiamo ripetere da oltre un quarto di secolo (“aiutiamoli a casa loro”), sarebbe il caso di dire: “aiutiamoli, e lasciamo che ci aiutino, a casa nostra: nostra, di chi cioè ci vive, da secoli o da settimane”.

Moreno Biagioni