Il Patto “contro” Firenze

In questi giorni agli onori della cronaca c’è quello che viene chiamato il “Patto per Firenze” (notare la maiuscola). I giornali locali, ancor prima di sapere bene in cosa consista, ne hanno parlato come se fosse un evento di particolare importanza positiva: ci sarebbero decisioni decisive per il Passante TAV, gli Uffizi, l’aeroporto, la privatizzazione e destinazione di molti immobili di grande pregio. Tutto deciso all’interno di quello che ormai viene comunemente definito il Giglio Magico.

renziQuesti annunci lasciano in chi scrive un retrogusto molto amaro: questo “Patto” così calato dall’alto riecheggia il Contratto che un Berlusconi in ascesa firmò, lui da solo, con gli Italiani nel 2001; prima del leader di Arcore anche Ronald Reagan aveva fatto un Patto con gli Americani e, ancor prima, nel 1933 un certo Hitler lo aveva fatto con i Tedeschi. Forse chi lo mantenne di più fu proprio quest’ultimo.

Certamente questi accostamenti sono puramente casuali; il Patto per Firenze, ancorché scritto maiuscolo, non passerà alla Storia come quelli ben più eclatanti e funesti del secolo scorso, ma denota uno stile, un marchio, una disposizione particolare: quella dell’uomo che si sente e si vuole solo al comando, che invece di cercare una investitura popolare per giustificare il potere di cui si pretende detentore, elargisce ai sudditi l’onore e i benefici delle sue indiscusse decisioni.

Il fatto è che un “patto” (maiuscolo o minuscolo), per essere tale, è un accordo tra due parti; qui, nei disegni di Renzi, chi patteggia è solo un soggetto; a Firenze – e soprattutto ai suoi abitanti – resta solo da sapere a posteriori cosa sarà munificentemente deciso nella riunione in cui gli appartenenti al Giglio Magico stabiliranno il futuro della città. Per esempio, sintomatiche le parole del premier sulla destinazione del convento di Santa Maria Novella dove l’amico Nardella vorrebbe un “future center”; appunto “l’amico vorrebbe”. A chi vive la città resta solo da contemplare cosa verrà deciso.

Questa attuale attitudine della politica non so se è definibile populismo, autoritarismo, narcisismo; certamente non è democrazia.

Non è bello che questo accada a Firenze; questa città ha un passato importante, non è fatta solo di bei palazzi e di preziose opere d’arte. La ricchezza artistica e culturale fiorentina, specie dal XII al XVI secolo, è figlia di una storia in cui gli abitanti sono stati i protagonisti delle scelte che hanno realizzato questo miracolo di bellezza; basterebbe ricordare le interminabili assemblee pubbliche per decidere di sostituire la vecchia cattedrale di Santa Reparata, di come i concorsi pubblici per realizzare le porte del Battistero o la Cupola del Duomo fossero sostenuti da una fortissima partecipazione popolare, di come i lavoratori delle Arti facessero a gara per realizzare a proprie spese i tabernacoli di Orsanmichele.

Gli artisti del Rinascimento non erano geni isolati, ma figli del forte sentimento di dignità che animava Firenze; ricordiamo, ad esempio, la figura di Michelangelo che ha incarnato nel David lo spirito di libertà della città, come i Fiorentini rivendicarono il suo corpo dopo la morte, sentendolo come una parte di se stessi, soprattutto dopo la sua attiva partecipazione alla difesa della Repubblica contro i mercenari papali.

La città d’arte che tutti ammirano ha radici diverse da quelle di oggi. Certamente si litigava su tutto, ma la democrazia non è assenza di conflitto, bensì la capacità di sublimare gli interessi di parte nell’interesse collettivo e nel difendersi da coloro che vorrebbero imporre il proprio potere.

Eppure Firenze ha ancora un fermento, non è totalmente anestetizzata dal plebiscitarismo che stilla dai partiti tradizionali: la lotta di chi dice no a criminali inceneritori, a prepotenti aeroporti, a surreali tunnel TAV, di chi difende un patrimonio ricchissimo dal furto delle privatizzazioni, di chi rivendica il diritto alla casa, ai servizi, è il segnale che l’unico patto che Firenze merita sarebbe quello per una ricostruzione dal basso di un potere diffuso e democratico.

Tiziano Cardosi