La Stazione come Trump

Prima hanno riempito il posto di divise.

Poi hanno alzato muri e palizzate.

Infine hanno privatizzato e spettacolarizzato tutto quanto.

Se è vero che non comandano più i politici ma le compagnie, Trump è una compagnia, ma anche le Stazioni lo sono e si comportano esattamente come lui.

Sappiamo che il miliardario populista non si scomporrà per le nostre parole ammesso che gli arrivino da un consolato, mentre se ne risentiranno le Grandi Stazioni: l’Italia è sempre stato il terreno di caccia di quelli che si credono i migliori solo perché non sono i peggiori, da Bruto a Badoglio.

Prima hanno schierato divise di ogni sorta a difesa di non si sa quali interessi, poi hanno cacciato i questuanti, i passanti e insomma tutti quelli che non li facevano guadagnare abbastanza con transenne, reti metalliche, tornelli.

Nel frattempo cancellavano servizi e sale sostituendoli con club riservati e riservatissimi.

Sciupavano alcuni gioielli dell’architettura italiana con tendoni e dehors inguardabili, infine hanno chiuso tutto e ci hanno organizzato le loro feste.

Proprio così, stasera non si entra in stazione, c’è il ballo!

Occorre l’invito e quello è riservato, se proprio ci tieni a guardare in faccia chi si è preso tutto lasciandoti niente chiedi a Trump, lui può fartelo avere.

*Marco Donati e Massimo De Micco