“Firenze è la città che bruciamo”. L’inceneritore si fa

Poteva sembrare una favola, ma il finale non fu lieto. Donne e uomini si erano finalmente scrollati di dosso il giogo del lavoro. Si fece ampio uso dell’intelligenza artificiale (e in alcuni casi fu un bene), macchine elettriche furono impiegate in ogni campo. I terrestri poterono godersi una vita di tempo elettro-libero ed elettro-liberato.

Il giorno fu uguale alla notte. Pali della luce intelligenti illuminavano e governavano Firenze: nella smart city, abitare, vivere, mangiare, riprodursi, ricrearsi, fu solo una questione di elettricità. Si viaggiò in Smart, ci si nutrì di Smarties.

Per mandare avanti la macchina planetaria servì energia elettrica: pulita, rinnovabile, non rinnovabile, nucleare. Firenze scelse la produzione di energia tramite incenerimento di rifiuti, una scelta che si rivelò autodistruttiva.

L’inceneritore venne costruito malgrado le ripetute rivolte muliebri e malgrado il limitrofo aeroporto: più volte gli aerei ne abbatterono le ciminiere. Per decenni l’impianto andò a pieno regime, divorò montagne di rifiuti che non erano mai sufficienti. Fu allora disposto che gli abitanti del circondario, oltre ai rifiuti, fornissero alla grande fornace ogni genere di materiali combustibili. Il sindaco avviò una campagna via twitter: “Firenze è la città che bruciamo”.

Fu richiesta carta. Libri, scottex, schede elettorali, tutto venne bruciato. Poi fu la volta del legno. Palazzo Vecchio elettro-cinguettò: “Legna alla patria”. Armadi, tavoli e sedie furono sacrificati e le case si svuotarono. Porte e travi ebbero la stessa sorte. Le pendici del Montalbano e dell’Appennino vennero spogliate. Non restò neanche uno dei duemila alberi del Parco della Piana: un’occasione per l’eolico. Il Monte Morello e la Calvana si rivestirono di un bianco manto di pale.

Grazie a nuove tecniche di combustione forzata, risultarono utili anche i materiali edili. Fu dunque la volta di mattoni, cemento, asfalto. La vicina caserma dei carabinieri fornì energia per due anni. Un anno di autonomia lo assicurò la cittadella viola, definitivamente atterrata – polverizzandolo – sul mercato ortofrutticolo. Tutto transitò per la piana satura di ogni sorta di nocività: giorno e notte, i camion a pilota automatico uscivano ed entravano da Case Passerini.

Le bocche dell’inceneritore inghiottirono infine l’intera città.

Fu opposta qualche resistenza per il centro storico, parco-safari del turismo di rapina. Ma alla fine l’ingordigia prevalse. Le ruspe autoguidate cominciarono ad intaccare i monumenti. La gravità della situazione rendeva difficile posizionarsi in loro difesa. Eppure, un gruppo di MammeSìCupola lottò contro l’ultima devastazione. Si aggregarono anche i Professori. A niente valse la marcia da piazza San Marco e il girotondo con cui abbracciarono il Duomo. 

La combusta città fu abbandonata. Per anni si udì un flebile elettro-cinguettìo provenire dalla spianata che fu luogo del governo cittadino. E che perciò fu detta Pian del Fringuella.

*Atena Poliade