Anche la Chiesa fu coinvolta nel rinverdimento urbano. Le pareti delle case erano state coperte di prati verticali, di frutteti pensili, di orti a tasca. Il Vescovo dovette adeguarsi.
Dopo il taglio sistematico delle alberature stradali, si pretese che le pareti rinverdite supplissero agli alberi mancanti nell’assorbimento di CO2. La scelta, innovativa, comportava un ingente impiego d’acqua per innaffiare le pareti, specie quelle esposte a sud. In un primo tempo l’umido provocò un’invasione di insetti. Poi le zanzare furono sterminate dalle antenne del 5G.
Anche le api furono falcidiate. Il sindaco accettò l’inedita sfida e prese in affitto dalla corporation di fiducia – la FlorenceCapitalColony – un esercito di api-robot per impollinare le margherite dei prati verticali e dei frutteti ricavati sulle falde dei tetti. A Firenze del miele si riuscì a farne a meno, a Siena viceversa l’industria dei panforti tracollò.
Nella città del giglio, iper-vegetalizzata, i tram viaggiavano su umidi prati all’inglese, i lampioni intelligenti mettevano le foglie all’equinozio di primavera e le perdevano dopo sei mesi. Tutto era smart e, soprattutto, green. Tutto, tranne gli edifici ecclesiastici, nudi e minerali. Il Pontefice ecologista inviò un severo rimprovero alla curia fiorentina: «Boscato si’». Il Vescovo lo prese alla lettera.
Una commissione di prelati, allestita di gran fretta, organizzò il sacro rinverdimento. Il regolamento urbanistico non poneva limiti alle trasformazioni delle architetture monumentali, e comunque il piano regolatore era stato messo in una pennetta subito persa, e nessuno poté più consultarlo. Ciò accelerò l’opera.
Servivano alberi, un milione di esemplari. Trovarli non era difficile. I vivai ne producevano in abbondanza da quando Pistoia era stata spianata. I pistoiesi erano morti a poco a poco, a furia di insetticidi e poi di 5G; così, i vivaisti superstiti, immuni ai veleni, erano entrati con le ruspe in città. Un caso più unico che raro: il suolo agricolo valeva più delle case vuote.
Il rendering del campanile di Giotto fu accolto con grida di meraviglia. Una vera bellezza, l’archistar milanese aveva fatto un ottimo lavoro: per ospitare gli alberi previde di scalzare qualche formella e di utilizzare i Profeti come portapiante. Odorosi maggiociondoli, generosi laurocerasi, profumati pini d’Aleppo, sequoie (il Vescovo insistette fino alla fine per averle) e salici piangenti furono collocati asportando lastre marmoree. Affondarono le radici nella massa muraria della torre. Sul lato meridionale si preferirono piante della macchia mediterranea, e molte ginestre.
Una squadra di giardinieri acrobati allestì il bosco aereo. A Re David si affiancò un arancio amaro, generoso di pomi dorati. Al profeta Abacuc, “lo Zuccone”, si preferì accostare qualche corbezzolo dai piccoli ma abbondanti rossi frutti invernali. Furono collocati alberi da frutto, e anche qualche palma. Arance e diosperi, cocco e manghi, rallegrarono gli inverni sempre più miti. Si evitò così di adornare il campanile con i consueti – triviali – addobbi in plastica. Vescovo e sindaco gioirono per il Natale plastic free, ben accolto anche dal Vaticano.
Con gli anni si affermò l’uso della raccolta. Giovani turisti, affamati dai prezzi in città, si arrampicavano sulle pareti, saltando di ramo in ramo. Si dovette rafforzare il controllo ai piedi del campanile. Il presidio di tre carri armati si rivelò sufficiente per estirpare l’inviso costume.
*Atena Poliade
Atena Poliade
Ultimi post di Atena Poliade (vedi tutti)
- Guerra o pace? La lunga marcia dei sindaci da Firenze a Pisa - 18 Marzo 2022
- Putrefazione Urbana. A Villa Basilewsky il cimitero degli elefanti - 28 Maggio 2021
- Urbanistica, si varia. Costa San Giorgio accoglierà l’archivio dell’intelligence - 23 Maggio 2021