Legge Marson e gli attacchi al quadro normativo e programmatico territoriale della Toscana: forse troppo avanzato per chi dovrebbe gestirlo

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Il quadro normativo e programmatico territoriale, messo in piedi in Toscana nella scorsa legislatura in cui l’assessore di riferimento era l’Urbanista Territorialista Anna Marson, è molto apprezzato in consessi tecnico -scientifici e politico-culturali anche internazionali: la legge urbanistica e il PIT Paesaggistico vengono studiati e analizzati, quale riferimento per professionisti, pianificatori e studiosi in realtà anche assai diverse.

Interpretando norme e direttive secondo regole e valori del patrimonio statutario ecoterritoriale, tali strumenti sono considerati tra l’altro in linea con l’esigenza, ormai drammaticamente urgente, di rispondere, anche con opportune strategie per i contesti spaziali, alle minacce della crisi climatico-ecologica; nonché perfettamente coerenti con i principali criteri dell’autentico Green Deal europeo e con le istanze contenute negli appelli del gruppo IPCC/UNEP.

Il Quadro in questione però evidentemente non va bene a gran parte della governance di riferimento, la politica istituzionale toscana, che non perde occasione per tentare di vanificare, ridimensionare, annacquare, edulcorare, l’apparato normativo e programmatico della Legge e del Piano.

Questa volta l’occasione è fornita dalla enfatizzata necessità di approvare “rapidamente e senza intoppi” i progetti toscani legati al PNRR; liberandoli dai meccanismi “più suscettibili di creare ritardi o impedimenti” negli iter procedurali. Con la scusa che si tratta di “provvedimenti singolari per esigenze eccezionali” si attaccano alcuni milestone della Legge urbanistica, con modifiche che, anche laddove assumessero valore unicamente contingente, costituirebbero precedenti da invocare ogni qual volta gli interessi in gioco dovessero richiederlo.

Diverse Regioni, anche gestite da giunte di centrodestra che dovrebbero essere “più veterosviluppiste” di quelle di segno opposto come la Toscana, non hanno inteso introdurre per la circostanza modifiche permanenti ai quadri normativi o programmatici, ma semplicemente organizzare delle Commissioni di verifica e approvazione dei progetti PNRR “particolarmente attente ai possibili contasti tra caratteristiche degli stessi e direttive esistenti in leggi e programmi, nonché alle modalità di loro superamento”. In Toscana, invece, si è usata la questione per attaccare ancora e modificare la LUR. E meno male che una prima versione di emendamenti – evidentemente incostituzionali – è stata ritirata. Tuttavia anche quella rimasta in campo segna un pesante arretramento del quadro delineato dalla Legge.

Con gli emendamenti approvati, infatti, viene ulteriormente ridimensionata quando non direttamente negata, la valutazione ambientale. La VIA si riduce infatti a procedimento eminentemente formale, in cui esistono scarsissime possibilità di contrastare dichiarazioni e intenzioni del proponente. La VAS viene sostanzialmente abrogata per i progetti in questione. Non si tratta nemmeno di novità assoluta, perché sia la Regione che diversi enti territoriali avevano già tentato simili escamotage in passato: si consolida una tendenza evidentemente sbagliata; tra l’altro in evidente contrasto con la dichiarata transizione o conversione ecologica. Nella stessa logica si tende ad azzerare qualsiasi partecipazione sociale, per velocizzare gli iter. Nella versione emendata della norma, si possono approvare Varianti al piano vigente, senza esplicitare il quadro conoscitivo dell’assetto urbanistico di riferimento. Si può approvare un progetto in deroga, richiamando le “varianti per pubblica utilità”, se lo stesso può essere finanziato, anche solo parzialmente, con fondi di provenienza dal “Recovery Plan”. Un precedente pericolosissimo, con meccanismi che possono facilitare speculazioni anche grosse, specie per la messa a rischio di paesaggi ed ecosistemi di notevole pregio, assai appetiti per esempio dall’industria turistica sulla costa o in ambiti collinari e montani peculiari.

In generale si ritorna e si insiste sul concetto di “variante automatica” allo strumento urbanistico, provvedimento-escamotage già bocciato più volte dalla Magistratura competente, Tar , Consiglio di Stato e Consulta. Che in Toscana richiama la vicenda dell’ampliamento dell’aeroporto di Firenze: in cui la pretesa “Variante automatica” del proponente è stata cancellata dall’Autorità Giudicante, a favore del ripristino delle 142 prescrizioni del Ministero dell’Ambiente, la cui ottemperanza di fatto disegna la necessità di nuovo progetto integrale.

In generale la politica istituzionale toscana pare voler continuamente ricordare di non essere all’altezza dello stesso quadro normativo e programmatico territoriale e paesaggistico, assolutamente in linea con le emergenze ambientali e sociali di fase, di cui pure si era dotata. In questo atteggiamento evidentemente giocano il permanere dominante di interessi politico-finanziari che hanno significato molti errori trascorsi con altrettanti elementi di dissesto e degrado ecologico, oltre che di destabilizzazione sociale; nonché l’incapacità culturale di fare realmente i conti con problemi ed esigenze di oggi e del prossimo futuro.

Ciò che è dimostrato anche dalle vicende urbanistiche e trasportistiche dell’area fiorentina, in cui una reale innovazione tecnica sociale e programmatica, oltre che modalità coerenti di risoluzione dei problemi, vengono bloccate da una governance prigioniera di logiche vetuste e vecchi macroprogetti: quelli ormai evidentemente falliti, per infattibilità o obsolescenza programmatica, come il citato ampliamento aeroportuale di Firenze o il sottoattraversamento TAV; o quelli che esaltano gli interessi politico-finanziari, come la svendita, o la cessione in uso, del patrimonio costruito della città storica, o il “Pozzo di San Patrizio” rappresentato dal sistema tranviario fiorentino. Quest’ultima opera detiene una sorta di record mondiale di costi (costo/chilometro più che triplo rispetto alla media europea), che evidentemente gratifica, a scapito della collettività, il sistema di potere interessato, “felicemente legato alle ricadute incentivanti” di un modello di spesa votato agli sprechi. Che tra l’altro impedisce di muovere verso azioni di mobilità sostenibile autenticamente ecosmart, invece che subire gli impatti percettivi e funzionali di linee aeree, pali e binari, nonché dei cantieri dai disagi prolungati; scartando così alternative che risulterebbero pure infinitamente meno costose (ma forse è proprio questo il problema).

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