Paul e la democrazia che non c’è

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Paul Ginsborg non c’è più. Ci ha lasciato lo scorso 11 maggio e noi di perUnaltracittà lo ricordiamo perché il nostro è un laboratorio politico che, senza la sua attenzione ai bisogni delle persone e la sua passione politica, semplicemente non sarebbe nato. Nel 2003 fu lui tra gli ispiratori e fondatori della lista di cittadinanza Unaltracittà/Unaltromondo, poi perUnaltracittà, che per 10 anni ha rappresentato l’opposizione di sinistra nel Consiglio comunale di Firenze, contro la deriva liberista del Partito democratico.

Alla famiglia tutta la nostra vicinanza.

Per ricordare Paul, per farlo conoscere a chi non ha avuto la fortuna di averlo come compagno di strada, pubblichiamo un estratto da La democrazia che non c’è, pubblicato da Einaudi nel 2006

Democrazia al bivio

Che fare allora? Le difficoltà che la moderna democrazia incontra, e non solo in Europa, non sono contingenti o meccaniche, né questione di mera ingegneria istituzionale. Hanno natura piú profonda. Per indagarla faccio un passo indietro e inizio da uno dei fattori fondamentali nella crisi della democrazia evidenziati nella prima parte di questo saggio, ossia la passività e l’indifferenza alla politica diffuse tra la maggioranza della popolazione dei paesi democratici.

Nell’esplorare le cause di questa disaffezione e i possibili rimedi occorre far cenno, seppur brevemente, alle tendenze globali in campo economico, sociale e culturale emerse negli ultimi venticinque anni. Non tutte vanno nella stessa direzione, ma in generale hanno contribuito in misura assai limitata a rendere la democrazia piú vivace o piú presente nella vita della gente. La crescente concentrazione del capitale su scala mondiale, conseguente a continue fusioni e acquisizioni, un processo che Marx aveva previsto con grande chiarezza, ha prodotto nuove oligarchie, straordinariamente potenti.

Le compagnie transnazionali non sono l’unica forma economica di organizzazione presente nel capitalismo contemporaneo, ma in termini simbolici e di prospettiva futura ne sono le migliori rappresentanti. Nel 2001 cinquantuno delle cento maggiori economie del mondo erano imprese transnazionali mentre solo quarantanove erano stati nazionali, e le cento maggiori corporation oggi controllano circa il 20 per cento dei capitali esteri globali1 . Sono mastodonti estremamente dinamici e rapaci dal punto di vista economico, ma dinosauri in termini di democrazia. Animali non stanziali, battono il mondo a caccia di nuovi mercati e profitti. Il loro è un enorme potere che non risponde a nessuno, se non, in forma parziale, agli azionisti. Sono in grado di spostare vaste risorse, di decidere del destino di intere comunità e di dettare le loro regole “flessibili” in molte parti del mondo. Alla loro ombra i singoli cittadini si sentono impotenti e dipendenti al contempo. Sono queste le vere relazioni economiche del neo-liberismo e Mill inorridirebbe di fronte a qualsiasi uso del termine “liberalismo”, seppur preceduto da “neo”, in un contesto simile.

Al contempo la straordinaria crescita del capitalismo consumista è fortemente servita a compensare la condizione di impotenza, percepita e reale, che il neo-liberismo ha contribuito a creare. Come accennavo prima, le famiglie e gli individui hanno cercato conforto, protezione, distrazione e intrattenimento nelle gioie della vita domestica e nell’acquisto di merci di ogni sorta che contribuiscono a crearla. Non c’è nulla di male, in sé, in tutto questo. Tutt’altro. Preoccupa moltissimo però che nella vita quotidiana sia assente, o molto poco presente, una corrispondente sfera pubblica, che i cittadini mantengano in linea di massima privati i loro pensieri, le loro abitudini e prassi quotidiane.

Infine, benché in tutto il mondo i livelli di istruzione siano in crescita e, grazie a Internet e a molti altri strumenti, l’accesso all’informazione si stia democratizzando, il mezzo che piú influenza culturalmente le famiglie e, nella maggioranza dei casi, l’unico strumento culturale presente nell’ambiente domestico resta la televisione. Data la struttura oligarchica e la cultura conformista della televisione globale – l’impero mediatico di Rupert Murdoch è il classico esempio di impresa mediatica transnazionale –, c’è poco da sperare da queste fonti in termini di seria trasmissione di valori pluralistici, democratici e partecipativi. Spesso accade esattamente l’opposto.

I poteri che qui prevalgono sono talmente forti che il cittadino medio, pur se istruito e consapevole, è fortemente tentato a rinunciare a qualunque impegno, faticoso e di esito incerto, teso alla creazione di una sfera pubblica democratica. Ma le battaglie all’apparenza impossibili sono un aspetto ostinatamente ricorrente della storia umana, e se la vicenda di David e Golia ha goduto nel tempo di tanta popolarità una ragione ci dev’essere. Dove sono i David democratici dei nostri giorni e qual è il modo migliore di coinvolgerli in una campagna per la tutela e la crescita della democrazia?

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Redazione

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