Neppure l’incontro che è avvenuto oggi, in Prefettura, dove si sono ritrovati l’assessora alla casa Benedetta Albanese, i sindacati inquilini, la presidente della Corte d’appello fiorentina e casa spa, sembra aver sortito effetti. La richiesta, avanzata da mesi dai sindacati e avvallata dalla stessa Regione Toscana, di costituire un tavolo per l’emergenza abitativa che giunga alla calendarizzazione degli sfratti, strumento utilissimo per gestire lo tsunami che si sta abbattendo sulla città, si è ancora una volta arenata su una serie di desiderata che ad ora non hanno ancora portato ad azioni concrete. Eppure, la stessa presidente della Corte d’Appello si è detta disposta ad andare avanti su questa strada e d’accordo sono pure i sindacati dei piccoli proprietari, anch’essi presenti all’incontro.
Mentre si sta ancora decidendo come e quando mettere in piedi la commissione per l’emergenza abitativa, la realtà concreta irrompe con i suoi numeri impietosi. Mentre crescono sempre di più le famiglie che, con la riattivazione delle procedure di sfratto, rischiano di trovarsi da un giorno all’altro con la forza pubblica alla porta, dal Tribunale di Firenze arriva un nuovo dato impressionante: le iscrizioni degli sfratti a ruolo stanno raggiungendo una media di 60 a settimana.
“Essendo per la maggior parte situazioni che si sono concretizzate con la pandemia, si tratta perlopiù di persone che hanno perso il lavoro in questi due terribili anni, oppure sono state poste in cassa integrazione, con la conseguenza di non riuscire più ad onorare il canone – dice la segretaria del Sunia Laura Grandi – per quanto riguarda le esecuzioni con forza pubblica, qualcuno ha già ripreso a lavorare, ma, a fronte dello sfratto ormai maturato (ricordiamo che la sospensione non ha fermato il procedimento) non riesce a trovare alternative autonomamente. Il problema è sempre il solito: quando a Firenze per 40 metri quadri di alloggio si continuano a chiedere canoni che vanno dai 600 ai 650 euro, com’è possibile, per una famiglia media, riuscire a affittare nuovamente casa?”.
In crisi anche lo strumento dell’emergenza utilizzato dal Comune di Firenze. “La categoria dell’emergenza purtroppo si sta rivelando del tutto inadeguata a queste nuove situazioni, nuove ma previste da tempo, in quanto prima di entrare nella riserva dell’emergenza, il Comune richiede ai cittadini di possedere la notifica dell’esecuzione con forza pubblica. Richiesta che, dal momento che ad oggi le esecuzioni si stanno fissando da un mese all’altro, non consente in nessun modo di gestire la situazione, mancando addirittura i margini temporali per cercare soluzioni prima che la famiglia si trovi per strada”. Il rischio, come avvertono ormai da tempo i sindacati degli inquilini, è di tornare all’annus horribilis del 2018, in cui si arrivò a circa 300 sfratti al mese. E il 31 marzo scade anche il blocco dei licenziamenti.
Il problema, come spiega Grandi, ha molte teste, come l’Idra di Lerna. Una di queste, è la mancanza assoluta di alternativa per le famiglie, anche quelle che non si sono mai trovate nel circuito dell’assistenza pubblica, in quanto stipendi bassi e provati dalla pandemia, non consentono di affittare sul mercato privato. Ma anche lo strumento dell’emergenza zoppica, persino nel suo funzionamento fisico: basti pensare, spiega Grandi, “che lo sportello del Comune dedicato è aperto una volta alla settimana” a fronte di un richiesta che centuplica. E che non si riesce neppure a cogliere in tutta la sua interezza, dal momento che spesso, proprio per il fatto che si tratta di gente che non ha mai avuto necessità di ricorrere ad aiuti sociali, neppure si pone il problema di andare a sentire se possono accedere ad aiuti. E rimangono invisibili, abbandonati nella loro solitudine piena di disperazione.
“Vanno dunque anche cambiate le modalità con cui il Comune affronta il problema abitativo – continua Grandi – questa è gente che necessariamente ricade sotto l’assistenza del pubblico, in quanto non c’è soluzione, da soli non possono trovare alternative”.
Un caso a parte è costituito dall’agenzia sociale per la casa, divenuta operativa pochi mesi fa. C’è da chiedersi infatti quanti casi abbia risolto finora, dal momento che si tratta di uno strumento che er sua natura dovrebbe rivolgersi proprio alle famiglie di working poors, in cui la presenza di un lavoro non disprezzabile almeno in teoria, dovrebbe assicurare quella capacità di spesa circa l’alloggio che invece viene vanificata dalla situazione del mercato immobiliare fiorentino. “Piacerebbe saperlo anche a noi – conclude la segretaria regionale del Sunia – perché anche sulla base dei casi risolti, in un momento come questo, si potrebbe testare la validità di uno strumento che dovrebbe nascere proprio in funzione di face sociali come quella più sotto tiro in questo momento storico. Ma i numeri bisogna chiederli a chi li ha”.
Stefania Valbonesi
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