Luce nell’oscurità di Gloria Anzaldúa

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‘Smettiamo di combattere e guariamo le ferite delle nazioni. Cerchiamo di essere il balsamo della ferita’, scrive Gloria Evelina Anzaldúa nel libro Luce nell’oscurità/Luz en lo oscuro, tradotto dal Gruppo di Ricerca Ippolita.

‘Escribo para “idear”’, dice Anzaldúa (1942-2004), importante rappresentante del Femminismo Nero, ma fino ad ora poco conosciuta nel nostro paese. Poeta, filosofa del confine, insegnante, si autodefinisce lesbica (patlache, in lingua nahuatl), femminista del terzo mondo (chicana-texana), proletaria incline al marxismo e al misticismo. Il libro, iniziato a un seminario di Teoria femminista tenuto da Donna Haraway nel 1998, doveva essere una serie di appunti per un saggio, che non è stato concluso per la precoce morte della scrittrice, e pubblicato postumo. Un libro situato nei saperi del margine, abitato da diverse culture, si propone di offrire ‘una cornice psico-spirituale/politica ai viaggi delle nostre vite’. Partendo da sé, dalla sua infanzia da “total alien” (si sentiva diversa, mai al posto giusto), ‘fa del suo corpo “sbagliato” il ponte  che connette mondi diversi contro i binarismi, e gli identitarismi, etnici, culturali e di genere’ scrive Elisabetta Carreri nella nota editoriale. Un libro ispirato da una mistura culturale filosofico-spirituale (mestizada) che va dall’ immaginare attivo del sogno o degli ensueños (la creazione di immagini), da Hillman, a Jung, dalla mitologia atzeca, al nagualismo (nelle tradizioni spirituali tolteche ‘el nagual’ è  il mutaforma, la propria controparte animale, il proprio spirito guida, o dàimōn), alla chamaneria, dal Don Juan di Carlos Castaneda, al fatto scientifico, da Donna Haraway, al femminismo speculativo. Un libro spaesante, magmatico, non levigato, attraversato da un pensiero mobile non ancora del tutto compiuto, visionario, come un volo sciamanico, verso ciò che ancora non è accaduto mai e in alcun luogo. Capace di risvegliare la nostra facoltà connessionista, la capacità di creare rizomi, di fare ponti, ragnatele di connessioni, di relazioni, di ri-assemblarci, di sorprenderci e scuoterci dai nostri costrutti mentali abituali. ‘Io come gran parte delle persone, abito diverse culture e, quando compio la traversata verso altri mundos, entro ed esco dalle prospettive che vi corrispondono; significa vivere negli spazi liminali, nei nepantlas.’[…]‘Il neplanta è lo spazio di mezzo, il luogo e il simbolo della transizione, in cui le immagini gironzolano come vogliono, in cui avvengono slittamenti immaginativi’.[…]Uno spazio di non-ancora-conscio, di territorio incerto, in cui avvengono le trasformazioni, che sorge nelle transizioni, nell’immaginale, ‘dove l’interezza è sempre ad un passo da noi ma sembra irraggiungibile’.

Per decolonizzare la realtà

Reimmaginare l’identità in modi nuovi esige che cambiamo il fuoco delle nostre lenti precostruite che portiamo in viso per trasformare così la nostra percezione. Esige che rinunciamo alle vecchie identificazioni e ai vecchi comportamenti’. Dobbiamo fare i conti con la nostra ombra personale, con le nostre bestie oscure (desconocimientos), come ‘torpore, rabbia, disillusione‘[…]’ Sono consapevole che tutte noi custodiamo un predatore alla Bush nella nostra psiche’ e contemporaneamente dobbiamo  ‘lottare con l’ombra collettiva nella psiche della mia cultura e della mia nazione-ereditiamo sempre dal passato i problemi della famiglia, della comunità, della nazione.'[…]’ Abre los ojos, Nord America; apri gli occhi, guarda alla tua ombra e ascolta la tua anima’. Per svincolarci dall’identificazione con le identità personali e culturali sia dei nostri gruppi che della cultura dominante, per respingere i loro valori e stili tossici, dobbiamo coltivare intuizioni/conoscimientos (femminilizzazioni della conoscenza, attivismo spirituale volto al cambiamento sociale, processi di trasformazione), cambiare i pensieri e le idee limitanti, accettare le differenze, le nostre personali ferite, per far crescere germogli verdi negli interstizi delle rocce che alla fine sovvertiranno le fondamenta. E’ la cosiddetta  prospettiva delle crepe: ‘C’è una crepa, una crepa in tutto/E’ così’ che entra la luce’ dice una strofa di una canzone di Leonard Cohen. ‘Impoterar-si’, neologismo adottato dal Gruppo delle traduttrici, coniato dalle femministe italiane, che viene dallo spagnolo empoderar, per sostituire il termine empowerment, che puzza  di neoliberismo, ad indicare la necessità di modellare nuovi termini, per nuovi orizzonti epistemici. Anzaldúa rifiutando la fissità delle lingue nazionali, imperialiste e colonizzatrici, mescola nahuatl, spagnolo e inglese, così che l’idioma vernacolare, ibrido, indisciplinato, sgrammaticato e molteplice del libro costringe a scendere da una posizione egemone, imperialista, patriarcale, coloniale, e ad accontentarsi di un conoscere  frammentario. ‘Introducendo una consapevolezza psicologica e servendoci di approcci spirituali nell’attivismo politico possiamo fermare la distruzione della nostra umanità morale, compassionevole. Impoterate saremo spinte a organizzarci, a ottenere giustizia e a cominciare a guarire il mondo’. […] ‘Il mio compito è guidare chi legge e lasciarle lo spazio per co-creare, spesso in controtendenza alla cultura, alla famiglia, alle ingiunzioni dell’ego, contro la censura interiore ed esteriore, contro i dettami dei geni. Sin dall’infanzia le nostre culture ci inducono allo stato semi-ipnotico della coscienza ordinaria, ad accordarci alle persone che ci circondano, a credere che così stanno le cose. E’ estremamente difficile svincolarsi da una simile ipnosi’. […] ‘Il mio lavoro ha a che fare con l’interrogare, l’alterare e il trasformare i paradigmi dominanti che governano le nozioni della realtà…dell’attivismo, della spiritualità, della razza, del genere, della classe e della sessualità’.

L’ imperativo Coyolxauhqui

E’ un impulso, ’una lotta per ricostruire se stesse e guarire i sustos, frutto di ferite, traumi, del razzismo e altri generi di abuso che….dissipano le nostre energie e ci perseguitano’ […] ‘Quale utilità ha essere attivist* per la giustizia climatica, economica, sociale, [di specie], di genere, per la libertà sessuale e corporale e contro ogni forma di discriminazione e violenza razziale se poi, nella nostra vita quotidiana, le ferite ci fanno sentire sempre isolati? Occorre riuscire ad unire queste parti di noi stess* che, …ci fanno sentire smembrat* togliendoci l’energia vitale, ci fanno soffrire, ci danno i sustos-la perdita dell’anima-privandoci del senso (spirituale ) delle nostre azioni.’  Per raggiungere l’interezza, per guarire la frammentazione: ‘Coyolxauhqui è il mio simbolo-scrive Anzaldúa -per la ricostruzione e la reinterpretazione, un simbolo che consente di mettere insieme i pezzi in modo nuovo. L’imperativo Coyolxauhqui è un incessante processo di smembramento e frammentazione, del vedere diversamente quel sé o le situazioni in cui sei invischiato’.[…]‘Coyolxauhqui rappresenta il processo psichico e creativo del lacerare e ricomporre (decostruzione/ricostruzione).’

Per un nuovo tribalismo

Ispirato al rizoma di Gilles Deleuze e Félix Guattari: ’ A differenza delle piante con un solo fittone, i rizomi si estendono in tutte le direzioni, creando un[…]reticolo in cui ciascun punto può unirsi a ogni altro punto’. Un nuovo tribalismo che’ ha a che fare con il lavorare assieme per dar vita a nuove “storie” identitarie e culturali, per immaginare futuri differenti. Ha a che fare con il ripensamento delle nostre narrazioni della storia, della genealogia e persino della realtà stessa’.

 

Gloria E. Anzaldúa, Luce nell’oscurità/Luz en lo oscuro, Meltemi, Milano 2022 , pag. 275, euro 20

 

 

 

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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