Estratto da “Intersoggettività o transindividualità” di Vittorio Morfino

Con il gentile permesso dell’editore e dell’autore pubblichiamo parte dell’introduzione a un libro “importante” sia dal punto di vista fisico (quasi 400 pagine) sia dal punto di vista dell’arricchimento degli strumenti di analisi che la filosofia politica ci può offrire. Non è un libro per tutti, ma è comunque un libro da segnalare a tutti coloro che sentono sempre più il bisogno di strumenti per districarsi da una condizione politico-sociale sempre più ingarbugliata e attraversata da forze di provenienza, sociale, ambientale e di genere che oggi, come non mai prima, condizionano il presente.

Dal risvolto di copertina: Il libro ripercorre alcuni momenti chiave del pensiero filosofico moderno e contemporaneo leggendoli alla luce dell’alternativa tra le categorie di intersoggettività e transindividualità, tra una filosofia che pone lo spazio di interiorità dell’ego come un prius logico e ontologico e una che pensa in modo radicale la costitutività delle relazioni. I capitoli del libro espongono le differenti variazioni di questa alternativa, offrendo nelle figure di Descartes, Leibniz, Kant, Hegel, Feuerbach, Stirner, Husserl, da una parte, e in quelle di Spinoza, Marx, Freud, Simondon, Althusser, Pêcheux, Balibar, dall’altra, il materiale teorico per una presa di posizione politica: la critica dal punto di vista del transindividuale della categoria di intersoggettività letta come espressione di una filosofia dell’individualismo possessivo.

Vittorio Morfino. Professore associato di Storia della filosofia presso l’Università di Milano-Bicocca, dove dirige anche il corso di perfezionamento in Teoria critica della società, ed è Directeur de recherche presso il Collège international de philosohie. È stato visiting professor presso l’Universidade de São Paulo, l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, l’Université Bordeaux- Montaigne e l’Universidad Nacional de Cordoba. È autore di Il tempo e l’occasione. L’incontro Spinoza Machiavelli (Milano, 2002, Paris, 2012), Incursioni spinoziste (Milano, 2002), Il tempo della moltitudine (Roma, 2005, Paris, 2010, Madrid, 2013, Santiago, 2015), Plural Temporality. Transindividuality and the Aleatory between Spinoza and Althusser (Leiden, 2014) e Genealogia di un pregiudizio. L’immagine di Spinoza in Germania da Leibniz a Marx (Hildesheim 2016). È un redattore di «Quaderni materialisti» e di «Décalages. An Althusserian Journal».

Vittorio Morfino, Intersoggettività o transindividualità, Manifestolibri, Roma 2022, pp. 384, € 28.00

INTRODUZIONE

Intersoggettività e transindividualità

I termini “intersoggettività” e “transindividualità” sembrano ricoprire uno spazio semantico simile: il primo indica, attraverso il prefisso “inter”, la relazione che intercorre tra i soggetti, il secondo attraverso il prefisso “trans” designa questa stessa relazione, ma facendo riferimento all’individuo. Certo, si potrebbe marcare la differenza sottolineando che la preposizione “trans” indica non solo uno spazio “tra”, ma anche un attraversamento e un andare oltre. Resta il fatto che la differenza tra i due termini nel loro significato comune è assai labile e difficilmente percepibile. Questo potrebbe portare il lettore a pensare che l’”o” del titolo sia da pensare nel senso del “vel” latino. In realtà, l’intento di questo libro è precisamente quello di porre, nel modo più netto e radicale possibile, un’alternativa: aut intersoggettività, aut transindividualità. Naturalmente, porre le categorie di intersoggettività e di transindividualità in alternativa significa prima di ogni altra cosa compiere un’operazione di “demarcazione”, di “presa di distanza” rispetto a un diffuso senso comune secondo cui non solo lo spazio delle relazioni sociali sia da pensare in termini di “intersoggettività”, ma che in fondo dire “transindividualità” significhi dire la stessa cosa, in modo più criptico o forse più alla moda (a seconda della geometria variabile di un “gergo” amico o nemico).

Tuttavia la posizione dell’alternativa nei termini tutti teorici di un aut aut non deve trarre in inganno: non solo questa alternativa non è visibile sulla superficie della storia della filosofia ufficiale, ma è ricoperta da un’altra alternativa, quella tra individualismo (dove si dà per scontato l’equazione individuo=soggetto) e organicismo, olismo o comunitarismo1. La categoria di intersoggettività, che ha avuto certo il suo punto di elaborazione più alto (e con esso anche l’esibizione più onesta dei suoi limiti) nella fenomenologia husserliana, nelle meditazioni parigine in particolare, marca profondamente di sé tutto il “canone” filosofico moderno da Descartes a Leibniz, da Kant all’idealismo tedesco, da Feuerbach all’empirismo logico, giungendo sino alla filosofia contemporanea e colonizzando la più parte della “filosofia spontanea” degli scienziati sociali. Se a questa categoria si dà alternati­ va, sulla superfice della storia filosofica, questa è da cercarsi assai più, come detto, in forme di organicismo o olismo. Il primo punto teorico da fissare è dunque questo, punto su cui hanno ampiamente insistito, sulla scorta di Simondon, tanto Étienne Balibar quanto Jason Read: la categoria di transindividuale rifiuta tanto il primato degli individui sulla relazione sociale, posto dal modello dell’intersoggettività, quanto il primato della totalità sociale sugli individui. Per dirla nei termini, divenuti canonici, di Tonnies: comunità e società.

Certo, va detto chiaramente, il termine “transindividuale” non ha una vera e propria storia, se non molto recente. Se ne possono trovare una manciata di occorrenze dal significato incerto in alcuni autori francesi del Novecento (Kojève2, Lacan3, Althusser4) e un uso sistematico nella produzione teorica dell’ultimo Goldmann per pensare il soggetto collettivo o, meglio, il rapporto individuo-classe sociale5. L’emergenza del termine come categoria teorica forte è l’effetto dell’incontro tra il pensiero di Gilbert Simondon e la critica althusseriana della categoria di intersoggettività: in particolare è la pubblicazione in Francia nel 1989 dell’Individuazione psichica e collettiva6, testo di cui la categoria di transindividuale è indiscutibilmente la chiave di volta, che ha innescato una serie di effetti tra i quali il più rilevante è l’uso, prima apparentemente estemporaneo poi sempre più sistematico, che ne ha fatto Balibar: incontriamo il termine una prima volta nella sua lettura di Marx del 19937, per ritrovarlo poi al centro della sua interpretazione di Spinoza del 19978 e, a più riprese negli anni seguenti, sino all’ultimo testo pubblicato nel 2018 intitolato Filosofia del transindividuale: Spinoza, Marx, Freud9, testo che costituisce una sorta di bilancio complessivo del percorso. Sulle sue tracce Jason Read e Luca Pinzalo hanno dedicato due monografie molto differenti alla questione: il primo ripercorrendo la preistoria della categoria in Spinoza, Hegel e Marx, per poi analizzarne gli sviluppi, impliciti o espliciti, in alcuni autori contemporanei come Lordon, Virna, Stigler, Lazzarato10; il secondo trattando il “transindividuale” come sintomo dell’incapacità della tradizione fenomenologica dell’intersoggettività di pensare la costitutività della relazione sociale (Husserl certo, ma anche Heidegger, Henry e Lévinas)11• Infine, alla questione, sono state dedicate due ampie raccolte di saggi in Grecia12 e in Italia13.

Decentramento del soggetto e transindividualità

Si tratta, dunque, di un’alternativa del tutto sbilanciata: da una parte, infatti, con la categoria di intersoggettività, entra in gioco nien­ te di meno che la spina dorsale della filosofia moderna da Descartes a Husserl e oltre, dall’altra, con la categoria di transindividualità, una storia recente e, tutto sommato, marginale. Ma l’alternativa è sbilanciata per un altro motivo, come ha ben spiegato Jason Read: la categoria di transindividuale, negli autori da lui analizzati non è una semplice alternativa all’intersoggettività, ma la categoria capace di spiegare il tessuto materiale a partire da cui emerge e in cui si afferma la categoria di intersoggettività14• In altre parole: l’intersoggettività non come luogo costitutivo del legame sociale, ma come suo effetto immaginario o ideologico.

Questa mossa, lo spostamento della categoria di intersoggettività dalla posizione di causa a quella di effetto, è la conseguenza di una ben più celebre mossa teorica, quella che potremmo chiamare del “decentramento del soggetto”, mossa che dobbiamo a «quei due o tre bambini che nessuno aspettava [… ] nel corso del diciannovesimo secolo», figli naturali, nel senso «in cui la natura offende i costumi, i principi, la morale e la buona educazione»15, figli che hanno dovuto sottostare alla difficile condizione teorica di “essere padri di se stessi”, di «costruire con le proprie mani di artigiano lo spazio teorico in cui situare la propria scoperta, tessere con fili d’occasione presi a prestito un po’ intuitivamente a destra e a manca la grande rete con cui catturare, nelle profondità dell’esperienza cieca, [il proprio oggetto]»16. Althusser sta parlando di Marx e di Freud. Facendo eco a un celebre passaggio dell’Introduzione alla psicoanalisi: scrive:

Dopo Copernico sappiamo che la terra non è il “centro” dell’universo. Dopo Marx sappiamo che il soggetto umano, l’io economico, politico o filosofico non è il “centro” della storia, e sappiamo anche, contro i filosofi illuministi e contro Hegel, che la storia non ha alcun “centro”, ma possiede una struttura senza necessità di un “centro” se non nel misconoscimento ideologico [méconnaissance ideologique]. Freud a sua volta ci rivela che il soggetto reale, l’individuo nella sua specifica essenza, non ha l’aspetto di un ego centrato sull’”io”, la “coscienza” o l’”esistenza” – sia essa l’esistenza del per-sé, del corpo-proprio, o del “comportamento” – che il soggetto umano è decentrato, costituito, da una struttura avente essa stessa un “centro” soltanto nel misconoscimento immaginario [méconaissance imaginaire] dell’”io”, cioè nelle formazioni ideologiche in cui si riconosce17.

«Due o tre», dice Althusser. Il terzo è senza dubbio Darwin grazie a cui sappiamo non solo che il “genere umano” non è né l’immoto centro del creato, né «l’erede da sempre atteso, naturale, dell’intero universo»18, ma che la sua stessa forma, lungi dall’appartenere all’intemporalità di un mondo intellegibile, è l’esito contingente di una necessaria trama di relazioni non orientata da un senso19, cosa che vale evidentemente per ogni altra forma-specie.

“Transindividualità” significa dunque a un tempo il rifiuto del primato dell’individuo-soggetto come fundamentum inconcussum rispetto a cui la società è un posterius, l’esito di un accordo (si pensi alla tradizione contrattualistica nelle sue differenti varianti sino agli esiti contemporanei), quanto il primato della società pensato come organismo o come sostanza etica di cui gli individui-soggetti non sarebbero che espressioni o articolazioni. “Transindividualità” o “ontologia della relazione”20, a patto di udire in tutta la sua forza lo stridere dei due termini nell’ossimoro contenuto in questo sintagma. Rifiutare tanto il primato dell’individuo, quanto quello della società (e intendo primato nel solco del prius naturae della tradizione aristotelica), significa fare della relazione l’elemento costitutivo tanto dell’uno quanto dell’altra: la società, certo, non esiste se non nell’intreccio delle pratiche degli individui, ma allo stesso tempo gli individui sono pensabili solo come individui sociali, meglio, come già-da- sempre socializzati all’interno di una serie di relazioni che si ritualizzano dando luogo a ciò che chiamiamo “istituzioni” che non sono altro, in fondo, che l’imporsi in modo stabile di “situazioni”.

Se volessimo analizzare le istituzioni, entro cui siamo già-da-sempre presi, dal punto di vista di una generica “sociologia relazionale”, la famiglia, la scuola, la comunità religiosa, lo Stato ci apparirebbero come dei sistemi di relazioni stabili tra “attori sociali” la cui dinamica andrebbe compresa nella dialettica tra il “campo” e l”‘habitus”21, per usare la terminologia bourdieusiana. Naturalmente si tratta di sistemi di relazioni tra “soggetti” e “soggetti” e tra “soggetti” e “cose”, che possono essere isolati solo in modo artificioso: in realtà, la loro complessità sta proprio nella loro profonda interconnessione. Lingua, usi, costumi, leggi, credenze non sono che sistemi di relazioni, sistemi di pratiche, la cui intelligibilità risiede nella relativa permanenza che essi esibiscono di fronte al mutamento storico, che tuttavia non è qualcosa di esteriore al sistema delle relazioni, ma consiste proprio della sua variazione tanto in rapporto a se stesso quanto in rapporto agli altri sistemi22

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1 Il riferimento qui è alla querelle “tutta” anglosassone che ha visto contrap­ porsi alla fine del secolo scorso individualisti e comunitaristi, di cui i due autori paradigmatici sono senza dubbio Rawls e Macintyre

2 A. KoJÈVE, Introduction à la philosophie de Hegel, Gallimard, Paris 1947, pp. 69-72, trad. it. a cura di G.F. Frigo, Adelphi, Milano 1996, pp. 87-92.

3 J. LACAN, Écrits, Seuil, Paris 1966, pp. 257-258, trad. it. di G. Contri, vol. 1, Einaudi, Torino 1974, pp. 251-252.

4 L. ALTHUSSER, Sur Marx et Freud, in Id., Ècrits sur la psychanalyse, éd. par O. Corpet et F. Matheron, Stock/Imec, Paris 1993, p. 238, trad. it. a cura di G. Piana, Cortina, Milano 1994, p. 219.

5 Cfr. infra, pp. 319-358.

6 G. SIMONDON, L’individuation psychique et collective à la lumière des notions de Forme, Potentiel et Métastabilité, Edition Aubier, Paris 20072, trad. it. a cura di P. Virno, Deriveapprodi, Roma 2001.

7 É. BALIBAR, La philosophie de Marx, La Découverte, Paris, 20143, p. 69, trad. it. di A. Catone, Manifestolibri, Roma 1994, p. 36.

8 É. BALIBAR, Spinoza:from individuality to transindividuality, «Mededelingen vanwege het Spinozahuis», 71, Eburon, Delft 1997, trad. it. a cura di L. Di Martino, L. Pinzalo in Id., Spinoza. Il transindividuale, Edizioni Ghibli, Milano 2002, pp. 103-148.

9 É. BALIBAR, Philosophies o/ the transindividual: Spinoza, Marx, Freud, in «Australasian Philosophical Review», Volume 2, 2018, Issue 1, trad. it. a cura di A. Barone, Mimesis, Milano-Udine 2020. L’intero numero dell’«Australasian Philosophical Review» è dedicato a una discussione del testo di Balibar con una sua replica.

10 J. READ, The politics of transindividuality, Brill, Leiden 2015. Merita di essere ricordato qui anche la prospettiva di Chiara Battici che usa il transindividuale per rilanciare, con nuovo vigore teorico, la tradizione del femminismo anarchico (che propone di chiamare “anarchafeminism”). Cfr. C. BOTTICI, Anarchafeminism, Bloomsbury, London 2021.

11 L. PINZOLO, Verso la transindividualità. A partire da Emmanuel Lévinas e Gilbert Simondon, Mimesis, Milano-Udine 2017.

12 M. Mnaprniòl)ç (ed. by), taTOµtK6Trjm, Kciµcva yta µta ovroÀoyia niç CTXÉITT]ç, Nricroç, A011va 2014.

13 É. BALIBAR, V. MORFINO (a cura di), Il transindividuale. Soggetti; relazioni; mutazioni, Mimesis, Milano-Udine 2014. A questa andrebbe aggiunta un’altra raccolta, che affronta il tema solo in parte, apparsa in Italia a cura di N. Marcucci e L. Pinzalo, Strategie della relazione. Riconoscimento, transindividuale, alterità, Meltemi, Roma 2012. Vanno ricordati anche due articoli di Carlo Capello che affrontano la questione del transindividuale dal punto di vista dell”‘antropologia della persona”: Dai Kanak a Marx e ritorno: antropologia della persona e transindividuale, in «DADA», 1, 2013, pp. 99-114; Antropologia della persona. Un’esplorazione, Franco Angeli, Milano 2016, in particolare le pp. 111-118.

14 Così Read descrive il movimento dalla conoscenza della trama materiale del transindividuale all’emergere, da questa stessa trama, della prospettiva intersoggettiva:

«First, it reads Spinoza, Hegel, and Marx as transindividual thinkers, focusing on their specific manner of articulating an ontology, politics, or critique of political economy that focuses on the constitutive nature of relations. In examining these different precursors to transindividuality, the common thread, the point of contact that keeps this from sim­ ply being a survey of different approaches, is the critical nature of their account of tran­ sindividuality. Spinoza, Hegel, and Marx ali develop a critical perspective with respect to the reigning ideas of individuality at their time. The objects of this critique change according to the political and historical conditions of their writing: Spinoza’s critique targets the idea of man as “kingdom within a kingdom”, Hegel’s critique is aimed at the isolated self-interested individual that is at the basis of civil society, and Marx’s critique is directed against the bourgeois individual of the sphere of exchange. What remains the same, however, unifying their different approaches within one critical perspective, is that critique is not a simple act of denunciation, or even clarifying a true versus a false perspective. In each case the critical task is to show how it is that transindividual rela­ tions can generate an individualistic perspective. The individualist perspective must be comprehended as much as it is denounced, revealing its constitutive conditions and not simply its conceptual errors» (J. READ, The politics o/ transindividuality, cit., p. 12). Pur non essendo insensibile al fascino di letture in termini transindividuali della filosofia he­ geliana (ma, allora, non condotte attraverso la griglia honnethiana, pena il finire per fare della transindividualità una intersoggettività in cui si accentua l’importanza del legame sociale), ho letto Hegel come apice della sequenza Descartes-Kant (infra, pp. 169-188), come alternativa al solipsismo husserliano: lo spazio di interiorità che si è fatto mondo, per usare un’espressione del Bloch dello Spirito delèutopia.

15 L. ALTHUSSER, Freud e Lacan, in Id., Écrits sur la psycanalyse, cit., p. 26, trad. it. a cura di C. Mancina, in Id., Freud e Lacan, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 7.

16 Ivi, p. 27, trad. it., cit., p. 8.

17 Ivi, p. 47, trad. it., cit., p. 30.

18 J. MONOD, Le hasard et la nécessité. Essai sur la philosophie naturelle de la biologie, Éditions du Seuil, Paris 1970, pp. 59-60, trad. it. di A. Busi, Mondadori, Milano 1970, p. 50.

19 Su questo punto rinvio al mio La ”filosofia” di Darwin, in «Quaderni materialisti», 6, 2007, pp. 205-218.

20 L’espressione è di Balibar (La philosophie de Marx, cit., p. 71, trad. it., cit., pp. 36-37) in riferimento a Marx, ma se ne può trovare un interessante antecedente (non certo un precursore, perché gli autori e i riferimenti sono tutt’altri) nell’ENZO PACI del periodo relazionista. Cfr. Tempo e relazione, Taylor, Torino 1954 e Dall’Esistenzialismo al relazionismo, D’Anna, Messina-Firenze 1957.

21 Come scrive Girometti, «con la nozione di campo s’identifica un principio epistemologico chiave come quello della relazionalità [ … ] e conseguentemente di agonismo e complicità tra gli attori sociali, mentre il concetto di habitus, in quanto storia incorporata, funge da struttura strutturante e struttura strutturata delle pratiche in cui si intrecciano, seppur non meccanicamente, le posizioni occupate dagli agenti sociali e le disposizioni da essi incorporate» (A. GIROMETTI, Il reale è relazionale. Studio sull’antropologia economica e la sociologia politica di Pierre Bourdieu, Orthotes, Napoli-Salerno 2020, p. 13).

22 In un articolo recente Emmanuel Renault ha proposto una classificazione delle fondamentali alternative ontologiche contenute implicitamente nelle scienze sociali: ontologia sostanzialistica, relazionistica e processuale. Aggiunge che «processual ontology is usually contrasted with substantial ontology, and sometimes identified with relational ontology […]. But it seems more appropriate to consider the concepts of substance, relation and process as defining three rather than only two distinctive on­ tological frameworks» (E. RENAULT, Critical theory and processual social ontology, in «Journal of Social Ontology», 2, 2016, 1, p. 20). Renault caratterizza la prima attraverso il primato della sostanza sulle relazioni e il divenire, la seconda attraverso il primato della relazione sui termini interrelati e sul divenire, mentre la «distinctive feature of a processual ontology is the fact that the relationship between the relation and the interrelated elements is internalized and conceived of in dynamic terms» (ivi, p. 21). I due punti attraverso cui Renault traccia la differenza tra ontologia relazionale e processuale meritano di essere analizzati: interiorizzazione della relazione e dinamicità. Il secondo punto è riconducibile alla vecchia critica hegeliana di Spinoza secondo cui la sostanza sarebbe in quest’ultimo «das Starre», ossia sarebbe assente la processualità del divenir soggetto della sostanza: in questo senso l’ontologia relazionale vedrebbe un primato della sincronia sulla diacronia (non a caso Renault cita Lévi-Strauss come esempio) finendo per concepire la trasformazione come “evento” o “rottura” e non in termini di processualità storica in cui «the emergence of the new» non rompe semplicemente con il passato