Le ultime vicende del Teatro del Maggio, che sono poi anche le “penultime” visto che sono le stesse da diversi anni, conducono ad alcune considerazioni generali sulle quali mi sembra opportuno soffermarsi.
Tralasciando il periodo del vecchio “Comunale”, sul quale tanto è già stato scritto, bisogna dirsi che l’attuale nuovo teatro sembra sproporzionato rispetto al bacino d’utenza almeno come il luogo è stato pensato e gestito fino a questo momento.
Se diamo per vero quanto sopra, è decisamente impensabile riuscire a mantenere con i soli concerti sinfonici e la lirica un teatro così gigantesco contando sulla bigliettazione e sui fondi del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) e neanche sono sufficienti i “tutto esaurito” che talvolta si ottengono chiamando ad esibirsi i mostri sacri del settore. Questo, dato per assodato inoltre, che a Firenze ormai si è rinunciato a quell’opera di sperimentazione e di ricerca che ha caratterizzato questo teatro negli anni Settanta e Ottanta. Cosa fare allora?
Il teatro conta di una sala per la lirica, una sala per la musica sinfonica ed una cavea con circa duemila posti se non sbaglio oltre ad ampi spazi interni. Ebbene, se andiamo a vedere la programmazione del teatro, salta immediatamente agli occhi che è decisamente sottoutilizzato. Possiamo trovare un concerto nella sala della lirica o uno in quella della sinfonica (non tutti i giorni e mai contemporaneamente sebbene sia possibile), mentre la cavea è sostanzialmente abbandonata a sé stessa.
Il mio modesto parere mi ha indotto più volte a pensare che un teatro così grande e con tutti questi spazi, dovrebbe essere aperto tutti i giorni accogliendo concerti di vario genere e non solo di classica rinunciando a quel ruolo elitario che ormai non porta da nessuna parte. Spazio dunque al jazz, alla leggera, all’etnica di qualità. Anche qui troviamo grandissimi nomi in grado di riempire le sale. Pensiamo ad esempio che prossimamente Bob Dylan suonerà al parco della musica di Roma; perché no a Firenze?
Le ragioni secondo le quali la cavea non viene mai sfruttata sono insondabili. Un posto del genere dovrebbe aprire a giugno e chiudere a settembre con concerti quasi tutte le sere e di qualsiasi genere. È grande, è panoramica, con una palco abbastanza ampio; perché abbandonarla cosi?
Sfruttando al massimo tutti e tre gli spazi e diversificando l’offerta, va da sé che si attira più pubblico, si fidelizzano più persone, il teatro progressivamente si fa un nome anche al di fuori dell’ambiente classico.
E tutti quegli spazi all’interno? L’enorme foyer e gli ampi locali al primo piano? Si presterebbero benissimo a mostre di arte visiva possibili anche contemporaneamente agli eventi musicali; anzi, ne verrebbero valorizzati ed esaltati.
In definitiva penso che una diversa utilizzazione in accordo con quanto sopra scritto possa, se non risolvere tutti i problemi del teatro, quantomeno attenuarli di una quota significativa e che potrebbe mettere in moto un circolo virtuoso, come si dice oggi, dove aumento del pubblico ed anche dell’indotto lavorativo potrebbero essere i risultati più tangibili.
Detto questo, negli anni passati la fondazione ha approntato iniziative di notevole valore culturale. Prima di tutte il programma del “Maggio Metropolitano” giunto alla sua settima edizione, che tanto successo sta riscuotendo tra i ragazzi dei comuni della Città Metropolitana di Firenze.
Da appassionato di musica, spero davvero che finalmente il nostro teatro possa risollevarsi con una programmazione a 360 gradi finalmente adeguata a Firenze, già ampiamente bistrattata su altri fronti.
Francescopaolo Miniati
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Ottimo articolo. Pienamente d’accordo con quanto si legge. Per esperienza personale e diretta posso dire che sí, si organizzano di tanto in tanto delle conferenze, concerti e altro negli spazi interni, cosí come in cavea, ma la sostanza non cambia. Rimane un edificio i cui spazi sono sottoutilizzati.
Anche una vera pluralità dell’offerta manca e mi permetto di aggiungere, in coda, che oggi le dirigenze artistiche dei teatri, e quello del Maggio non fa eccezione, si limitano a puntare sulla sfarzosità o sui grandi nomi come uniche azione espansive. Non c’é intraprendenza. Si fa una produzione faraonica in piú, si chiama un nome in piú, si riscopre un titolo ogni tanto, ma non si va davvero nel mondo a cercare novità e investimenti che strutturalmente amplierebbero l’offerta artistica. Si “dirige” poco insomma, ci si affida al già noto, per mancanza di coraggio o inventiva forse. L’unica azione davvero espansiva e senza dubbio lodevole é stato appunto il progetto “Maggio Metropolitano”.