Valdera avvelenata dal profitto

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4 marzo 2023: la popolazione è scesa in piazza contro la riapertura di una discarica chiusa da anni. Il tutto con una legislazione sempre più corriva con chi inquina e avvelena.

Nel 1990 la Provincia di Pisa approva l’apertura di una discarica di rifiuti urbani di 350.000 metri cubi in un piccolo comune, quello di Chianni. Due anni dopo inizia il conferimento.

Dopo quattro anni sono approvati due successivi ampliamenti fino a 1.500.000 m3. Nello stesso anno viene approvata anche un modulo di smaltimento di 100.000 m3 di fanghi conciari. A quel punto parte la protesta degli abitanti: il comune di Terricciola, che subisce l’investimento del puzzo dei fanghi, parte con i blocchi al cancello, mentre Chianni, coperta dai monti, rimane sottovento e vede un numero minore di cittadini arrabbiati. Nel 1998 la discarica verrà chiusa dopo un anno di blocchi all’ingresso, manganellate, assalti alla Provincia con i sacchi di immondizia, interventi di tutti i politici di tutti gli schieramenti, da Alleanza Nazionale a Rifondazione, sistematicamente contestati dalla protesta popolare perché contrari alla chiusura della discarica: la chiusura secondo loro avrebbe significato la fine delle concerie e la perdita di posti di lavoro.

La chiusura però non fu una vera chiusura, ma una sospensione. Si erano conferiti solo 1.200.000 m3, mancavano ancora 300.000 m3 e mancava una copertura (capping) per iniziare la gestione post mortem di 30 anni. Su questo punto inizia un tira e molla, che è durato anni, in cui la proprietà, il Comune di Chianni, i comuni limitrofi, il Comitato Corretta gestione di rifiuti della Valdera, hanno giocato vari ruoli.

La procrastinazione ha favorito la possibilità di ottenere, con un ricorso al Tar, i fondi necessari, per la messa in sicurezza definitiva, che passa attraverso la riapertura della discarica. Per ottemperare alle prescrizioni iniziali di 270.000 m3, una delibera di Giunta Regionale (contro due pronunciamenti del Consiglio Regionale) ha autorizzato un conferimento di 350.000 m3 ( la sommità della discarica, in tutti questi anni di abbandono, aveva subito un avvallamento di 2,5 metri), un volume quindi maggiore di quello mancante. Una volta accertata la volumetria, il progetto di massima prevede una risistemazione idraulica.

Nei carotaggi fatti da ARPAT risulta la presenza di cloruro di vinile e benzene nel corpo della discarica. La presenza di questi due elementi cancerogeni si spiega col fatto che nei sei mesi precedenti la chiusura del 1998 venne data la possibilità alla proprietà di accettare qualsiasi tipo di rifiuto pericoloso, per raggiungere una quota sufficiente per creare una copertura.

La presenza di questi inquinanti e il cedimento della parte centrale, dimostrano che la discarica non è stabile e che si deve al più presto trovare una soluzione, che è arrivata ora, con la nuova proprietà: la copertura della discarica avverrà con rifiuti edilizi contenenti amianto.

450.000 tonnellate di amianto su una discarica instabile, un peso enorme sulla sommità di una collina argillosa, in mezzo alla natura, in una zona vocata ad agriturismi e aziende vinicole di pregio, come se una grande superpetroliera si sedesse su un seggiolone fatto di stecchini da denti. Tra le altre cose abbiamo scoperto che in base alle informazioni satellitari forniti dalla stessa Regione Toscana, una parte della discarica non è sicura, si sta muovendo pochi millimetri all’anno per la presenza di una paleofrana.

L’autorizzazione al conferimento di 270mila m3 di amianto, venne fatta dalla Giunta Regionale Rossi, in pieno lockdown, nell’ultima riunione prima dello scioglimento del Consiglio Regionale, con la delibera 629 del 25 Maggio 2020, così come richiesto dalla proprietà, permettendole quindi di fare un business incredibile per parecchi milioni di euro con lo stoccaggio dell’amianto. La manifestazione del 4 marzo scorso chiede espressamente il ritiro di questa delibera regionale.

In un territorio già martoriato dalla presenza di quattro grandi discariche (Gello di Pontedera, Peccioli, Scapigliato nel comune di Rosignano, ma che guarda verso la Valdera, Bulera a Volterra), ammorbato dallo sversamento nelle campagne di Peccioli dei fanghi dei depuratori delle cartiere di Altopascio e del materiale conciario al cromo (KEU a Pontedera nella lottizzazione Green Park, nei lavori dell’acquedotto di Crespina e sotto le piste ciclabili), avvelenata da pesticidi e glifosato, terrorizzata da altri progetti di gassificatori e impianti geotermici industriali, la Valdera è da anni la pattumiera della Regione Toscana.

La Valdera rappresenta il 3% del territorio regionale. Insistono sul suo territorio 4 discariche di vari milioni di tonnellate e finiscono qui il 50% di tutti i rifiuti urbani della Regione Toscana. Il 45% di tutti i fanghi prodotti  da cartiere e depuratori dei reflui urbani  toscani finisce sui terreni della Valdera. Non dimentichiamo che la discarica di Chianni, se la popolazione non fosse intervenuta, rischiò di diventare la più grande discarica di rifiuti speciali d’Europa, con un progetto di Necci di linea ferroviaria dedicata a questo.

Non è un caso quindi che la Valdera venga indicata dagli epidemiologi come una zona ad alta incidenza dei tumori.

Questa però non è la sola cosa grave di questa vicenda. In uno studio che verrà pubblicato dal Forum Ambientalista si certifica che l’introduzione del reato di “disastro ambientale”, con la recente legge “Realacci”, la Legge 68/2015, anche se ha introdotto pene severe, ha segnato uno spartiacque negativo nella legislazione ambientale.

Fin da subito le critiche si erano concentrate sulla indeterminatezza di molti termini che rendono difficile l’interpretazione delle norme e incerta l’accusa dei reati in sede di giudizio. In particolare Gianfranco Amendola, storico magistrato ambientale, concentrò la sua analisi su un avverbio presente nella legge. Le imprese sono inquinanti se lo fanno “abusivamente”, ovvero non sono inquinatori le imprese che vengono autorizzate dagli Enti pubblici. Facile pensare alla situazione dell’ILVA di Taranto e a una legge cucita addosso per salvare i dirigenti e la proprietà della grande industria siderurgica, ma i dati delle statistiche sono impietose. Oltre al crollo generalizzato, dal 2016, dei procedimenti penali, aumentano simmetricamente i tempi delle indagini. A causa dell’aumento dei giorni occorrenti alla chiusura delle indagini preliminari, sono in aumento le consulenze, gli accertamenti, le ricognizioni, i prelievi e le analisi. I tempi si allungano e le Procure archiviano. I processi non si fanno quando i reati vengono commessi troppi anni prima.

Il rapporto di Forum Ambientalista racconta che le procure archiviano il 45% dei reati derubricandoli a reati amministrativi. Il 52% dei reati vengono derubricati invece dai tribunali in giudizio, per lo stesso motivo, perché la legge prevede il “ravvedimento operoso”, senza arrivare mai a sentenza, senza modificare gli impianti. Nel 2021 solo l’8% dei procedimenti penali arrivano a sentenza e di questi solo il 4% risultano favorevoli alle vittime di disastri ambientali.

In una audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti viene ripetutamente segnalato dai magistrati e dagli ufficiali superiori del NOE il fatto che le pene siano irrisorie e poco persuasive. L’entità delle multe erogate in sede di oblazione sono un decimo dei vantaggi economici derivanti dalla violazione del Testo Unico Ambientale. Questo favorisce il ripetersi degli abusi nel tempo, favorendo altresì la convenienza economica dell’abuso ambientale.

Un obiettivo la legge Realacci lo ha ottenuto comunque . Negli intenti del legislatore c’era il bisogno di sgonfiare il numero dei procedimenti penali in tema ambientale nei tribunali, e l’intento “deflattivo”, come era stato definito in Parlamento, è stato pienamente raggiunto. La Legge Realacci ha operato in accordo con altre misure che riguardano la deregulation ambientale dell’epoca Renzi: il Decreto Competività, la legge Sblocca Italia, e prima ancora i decreti del governo Gentiloni, non hanno modificato solo delle norme a tutela dei cittadini, ma hanno inaugurato una stagione di deregulation che ha prodotto un cambiamento radicale del rapporto tra partecipazione dei cittadini e tutela ambientale.

Le speranze di una giustizia ambientale oggi è veramente remota e la possibilità che i cittadini e i territori possano in qualche modo ottenerla attraverso denunce, esposti, comitati, referendum, raccolte di firme, sta svanendo ogni giorno di più.

Per questo motivo segnaliamo l’aumento dei conflitti ambientali senza possibilità di sbocco. La conflittualità accende gli animi e pone i cittadini di nuovo come cinquant’anni fa nella condizione di dover rispondere di nuovo con l’unico strumento che ancora rimane: la lotta.

I cambiamenti climatici porranno di fronte ognuno di noi a delle scelte radicali e non potremo far conto di un sostegno da parte delle autorità pubbliche, non solo perché ormai lontane da una rappresentatività degna di questo nome (solo il 40 % degli aventi diritto va a votare nei paesi cosiddetti “democratici”). A poco sono servite le sperimentazioni di “democrazia deliberativa” come i Town meeting, i referendum consultivi, i public debate, di fronte ad un potere politico che si comporta come un fortino assediato e che oggettivamente aiuta solo ed esclusivamente il tornaconto dei privati. Per questo motivo il corteo dei cittadini della Valdera, i mille cittadini arrabbiati, sfilava dietro lo striscione di Valdera Avvelenata che era un grido dal sapore ecosocialista: Avvelenati dal profitto.

I cittadini comunque non si fermeranno e hanno intenzione di dare battaglia anche ora che la discarica è ufficialmente riaperta e l’amianto sta arrivando. In programma un convegno sull’amianto il 6 maggio e una grande assemblea, con tutti i comitati e le realtà di lotta in Toscana per la fine di maggio, per aprire tutti insieme una grande vertenza ambientale con il potere politico. Perché lo spazio pubblico non deve essere occupato solo dagli interessi degli speculatori, ma deve essere occupato dalle voci e dalle speranze di tutti coloro che amano questo territorio e la propria salute.

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Maurizio Rovini

Maurizio Rovini si è sempre battuto fin da ragazzo per aumentare la consapevolezza del popolo e della sua forza, della sua capacità di autogoverno, della produzione e dell'equa ridistribuzione, convinto che il modello capitalistico basato sul profitto sia una grave deviazione dall'equilibrio tra l'uomo e la natura. Il dominio dell'uomo sull'uomo si rispecchia nel dominio dell'uomo sulla natura e va combattuto senza violenza con la forza della ragione e della giustizia sociale.

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