Il comune di Firenze perde anche al Consiglio di Stato: gli alloggi di via dei Pepi sono case popolari

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Ora che i 14 appartamenti di via de’ Pepi sono con sentenza definitiva dichiarati appartenenti al patrimonio Erp da parte del Consiglio di Stato, e dopo quasi sette anni in cui un assegnatario, il sindacalista Giuseppe Cazzato, continuava a spiegare come mai quegli appartamenti non potevano essere alienati se non con procedure speciali e che il ricavato andava comunque vincolato a finalità Erp, altro che fondi Invimit, una domanda sorge senz’altro spontanea: perché il Comune ha insistito oltre ogni ragionevole insistenza a perseguire lo scopo di affermare l’inaffermabile e difendere l’indifendibile, vale a dire che non si trattava di un errore o svista o qualsiasi altro accidente, ma quelle case non erano case popolari? La domanda non può che sorgere spontanea, e la risposta non può che essere data dal Comune. Lo stesso Comune di Firenze che ora dovrà rispondere anche ad un ‘altra domanda, vale a dire, cosa farà di quelle case di cui, possiamo dire a ragione suo malgrado, è tornato in possesso. I 14 alloggi di via de’Pepi che fin dal lontano 1978 lo stesso Comune riconosceva come case popolari.

La questione nasce nel 2014 – ricostruisce Cazzato, il sindacalista Cobas che ha intentato il ricorso contro il Comune, coronato nel 2018 da una prima sentenza a suo favore del Tar – con la costituzione di un gruppo di progetto da parte della direzione Patrimonio Immobiliare, allo scopo di effettuare la ricognizione del patrimonio non Erp dell’ente, per l’inserimento di questi beni nel piano delle alienazioni. Con questa ricognizione, vengono erroneamente inseriti fra gli immobili alienabili anche un serie di alloggi Erp”.

Sbaglio o inesattezza, è questo il vizio ab origine che dà il via all’intera vicenda. All’amministrazione, la questione è posta in svariate riprese, senza risultato. Quando cominciano a giungere le lettere che avvisano gli inquilini di via de’ Pepi, come gli altri compresi nei 61 alloggi del piano delle alienazioni, il panico comincia a correre fra le famiglie. Siamo nel 2016. Le lettere avvisano gli assegnatari che devono portare all’ufficio casa “per la verifica del possesso dei requisiti di permanenza i redditi dal 2011 al 2015 compresi“. Dalle iniziali scene di panico e pianti perché dal tenore della lettera si poteva ipotizzare la perdita dell’assegnazione, al colloquio con i funzionari del Comune in cui gli inquilini vengono tranquillizzati. “Viene loro comunicato – dice Cazzato – che continuano a possedere i requisiti ma verranno spostati in altri appartamenti perché il comune deve vendere gli alloggi dove abitano”. Spostati dove? Quelli di via de’ Pepi, insieme ad altri, in viale Giannotti, nelle nuove case sostenibili costruite da Casa spa. Ma come, si possono sradicare le persone con tanto di assegnazione definitiva dalla propria casa dall’oggi al domani? Dall’oggi al domani no, ma da una settimana circa all’altra sì. “Se lascia perplessi il solo fatto che interi nuclei familiari vengano sradicati dal loro territorio e spostati alla stregua di soprammobili, sulla credenza o sulla mensolina è lo stesso, altro rilievo acquista questa modalità se fatta contra legem – spiega il sindacalista – il dettato normativo non lascia dubbi: se è patrimonio disponibile il contratto locativo è regolato dal codice civile e lo stesso non prevede la mobilità forzosa dell’inquilino, perché il proprietario deve liberare l’appartamento anche se il proprietario è un Ente Pubblico, nel nostro caso il Comune di Firenze. Questo perché consolidata giurisprudenza stabilisce che “l’Ente Pubblico che ordina il rilascio di un bene appartenente al patrimonio disponibile agisce IURE PRIVATORUM al di fuori dell’esplicazione di potestà pubblicistiche di autotutela, esercitabili esclusivamente in relazione ai beni demaniali e patrimoniali indisponibili”.  Ma nemmeno la normativa ERP prevede questa possibilità. L’art.22 della l. 96/96 in vigore all’epoca prevede la mobilità forzosa sono in caso di sottoutilizzo o per necessità di ristrutturazione dell’immobile perché in caso di vendita prevede la prelazione per l’inquilino. Ma anche in questo caso i costi del trasloco sono a carico dell’ente proprietario mentre gli inquilini di via dei Pepi hanno dovuto sobbarcarsi i costi del trasloco e, in molti casi, quello di parte del mobilio perché il vecchio non può essere riutilizzato per le diverse caratteristiche dei nuovi alloggi”.

In tutto questo, il problema principale resta quello della natura degli alloggi. Spiega Cazzato: “E’ la stessa Legge Regionale ERP (all’epoca la L.R.96/96 ora la L.R. 2/2019) ad individuare gli alloggi assoggettati alla sua disciplina e quindi, come recita la legge, sono da classificare come alloggi ERP “gli alloggi in qualunque tempo acquisiti, realizzati o recuperati dallo stato, da Enti pubblici Territoriali, nonché dalle Aziende Territoriali di Edilizia Residenziale, a totale carico o con concorso o contributo dello Stato, della Regione, e di  Enti Pubblici Territoriali, nonché quelli acquisiti realizzati o recuperati da Enti Pubblici Non Economici comunque utilizzati per le finalità proprie dell’Edilizia Residenziale Pubblica.  Fa specie che di fronte all’evidenza della legge il Comune nel ricorso al Consiglio di Stato per sostenere l’estraneità all’ERP di questi alloggi abbia tirato in ballo un Regio Decreto del 1938 – continua Cazzato sul punto – quando l’ERP non esisteva e un atto di compravendita (non accolto per difetto di procedimento e che comunque si riferiva al altro alloggio posto al piano superiore) che comunque confermava la spendita di fondi pubblici per l’acquisto di questi immobili. Dirimente per la classificazione ERP di questi alloggi oltre alla spendita di soldi pubblici, (non necessariamente fondi ERP) è l’utilizzo di questi beni: se questi beni sono stati assegnati in base alla normativa ERP sono alloggi ERP e come tali non possono essere venduti  se non in base alle leggi che regolano la vendita degli alloggi ERP”. Degna di nota, l’interrogazione posta in consiglio regionale, nel luglio 2017, dal capogruppo di Sì Toscana a Sinistra Tommaso Fattori, cui rispondeva l’allora assessore alla casa Vincenzo Ceccarelli, “confermando che gli immobili in questione ‘sono senz’altro ascrivibili al patrimonio ERP’. Si tratta, infatti, di case popolari che hanno goduto di finanziamenti per l’edilizia pubblica e che sono stati utilizzati con questa finalità per almeno trent’anni, ospitando assegnatari ERP”.

Con la sentenza del consiglio di Stato, la questione giuridica è ormai pacifica. Ma ci sono altri elementi da indagare. Ad esempio, qual è la ricaduta economica dell’operazione per il Comune?  Questione non di poco conto, come sottolinea Cazzato, dal momento che sembra abbastanza inspiegabile come si sia potuti giungere a questo lungo percorso giuridico, quando persino la società di valutazione AxiaRé, chiamata dall’Invimit a valutare il valore dei vari appartamenti conferiti al fondo i3Core Sviluppo Italia 8-ter, scriveva sulle sue valutazioni che gli alloggi di via de’ Pepi erano alloggi Erp, al pari di altri che, per mancanza di opposizione da parte degli assegnatari, sono stati posti in vendita. E qualcuno, nel frattempo, è stato venduto.

Per chiarezza, conviene spendere due parole sulle modalità di vendita – continua Cazzato – perché, come già fatto rilevare nel 2017, l’operazione non risulta essere delle più brillanti dal punto di vista economico. Il Comune di Firenze ha conferito 47 alloggi (dovevano esserci anche i 14 di via de’ Pepi fermati in seguito alla sospensiva prima, e poi alla sentenza del Tar e ora alla sentenza definitiva del CdS) al Fondo  i3Core Sviluppo Italia 8-ter, e in cambio ha avuto solo un terzo del valore di stima di questi alloggi, precisamente  3.181.535 euro. Il resto li avrà dopo 20 anni, ma  solo se le performance del fondo saranno positive. Al momento il fondo è nelle stesse condizioni che aveva alla sua costituzione, a fronte di un target previsto di 500 milioni di euro sono state finora sottoscritte quote per soli 70 milioni di euro e le principali operazioni di valorizzazione che si proponeva di fare, cioè la trasformazione di vaste aree urbane del demanio militare situate nei comuni di Bologna Venezia e Milano non sono ancora partite, anzi la principale, quella situata nell’area dei Prati di Caprara a Bologna rischia di non partire mai, grazie alla lotta di cittadini e Associazioni ambientaliste che si sono opposte ai progetti speculativi in quest’area”.

Qualcuno riesce a vedere che tipo di convenienza ha avuto il Comune in quest’operazione? “In una città che vede 150 sfratti al mese e circa 2mila richiedenti casa popolare in attesa – dice Cazzato – si è scelto di dare via 47 alloggi per soli 3 milioni di euro e si è fatto tutto questo con modalità illegittime come ha sentenziato il consiglio di Stato.  Senza parlare dell’altro aspetto, quello strettamente attinente al disagio chi ha dovuto sradicarsi, il tutto a proprie spese, dal trasloco al rinnovo del mobilio, “senza rispetto alcuno della normativa vigente in materia, neppure circa la mobilità”. Una parte della storia mai presa in considerazione.

Ed ora? “A questo punto noi chiediamo l’immediato riutilizzo a fini abitativi degli immobili, risanamento e riassegnazione degli immobili di via de’ Pepi, ma anche il blocco della vendita degli immobili conferiti a INVIMIT e non ancora venduti e il loro riutilizzo per l’Emergenza abitativa”.

Da un punto di vista giuridico, credo basti leggere la sentenza – dice l’avvocato Maurizio Milana, che ha difeso Cazzato – tuttavia mi pongo una serie di interrogativi: mi piacerebbe sapere, visto che quello in cui risiede il mio cliente dall’inizio del 1997 è un alloggio popolare, che fine hanno fatto i canoni di locazione che Giuseppe Cazzato ha pagato dal 2016  ad oggi, visto che l’Erp è finanziata da un’economia circolare, e i proventi delle locazioni devono rimanere all’interno del circuito Erp.. Ci piacerebbe anche di capire ora cosa vuole fare il Comune di questi 14 immobili, se saranno riassegnati, riutilizzati. Speriamo anche che questa sentenza serva in un certo senso da lezione, quando gli immobili sono vincolati ad un determinato scopo sociale”. Gli fa eco l’avvocato Giovanni De Francesco, che ha patrocinato la causa con Milana: “La sentenza stabilisce con chiarezza i requisiti ex Legge Regionale Toscana per cui gli alloggi hanno natura di edilizia popolare: che siano acquistati con fondi pubblici, che manutenzioni e ristrutturazioni e uso effettivo siano pubblici. Il Consiglio di Stato ha accolto in pieno la sentenza del Tar. Un passaggio importante è il riconoscimento della volontà espressa dal Comune, con le delibere per la manutenzione e risanamento degli immobili fra il ’79 e il ’91, della destinazione degli immobili ai fini sociali di residenza pubblica, al di là che poi il progetto si sia realizzato o meno. D’altra parte, i cittadini deboli vanno tutelati nei loro diritti costituzionali, e tra i diritti per un’esistenza dignitosa gli art. 36 e 38 della Costituzione contemplano anche il diritto di avere un tetto sulla testa”.

Della questione sul futuro degli alloggi sarà investita l’assessora al patrimonio Maria Federica Giuliani, che purtroppo non siamo riusciti, ad ora, a raggiungere.

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Stefania Valbonesi

Nata a Ravenna, età vintage, svolge ttività giornalistica da circa vent'anni, essendo prima passata dall'aspirazione alla carriera universitaria mai concretizzatasi. Laurea in scienze politiche, conquistata nella fu gloriosa Cesare Alfieri. Ha pubblicato due noir, "Lo strano caso del barone Gravina" e "Cronaca ravennate", per i tipi di Romano editore.

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