Mai più schiavi, la lotta dei lavoratori in appalto di Mondo Convenienza

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“Mai più schiavi”: questo è il coro che intonano i lavoratori in sciopero e i solidali di fronte al magazzino di Mondo Convenienza di Campi Bisenzio mentre Polizia e Carabinieri intervengono con la forza per sgomberare il presidio. È il sesto giorno di sciopero e blocco dei camion, i camion che ogni giorno partono carichi di mobili ed elettrodomestici per essere trasportati e montati nelle abitazioni dei clienti.

È anche il quinto tentativo di sgombero, ma i lavoratori sono determinati a continuare. Anche perché era tutto previsto. È uno schema che, come il sindacalista S.i. Cobas Luca Toscano diceva ai lavoratori durante l’assemblea della sera precedente, si ripete in ogni stabilimento in cui si arrivi ad uno sciopero. Altrettanto prevedibili anche le prossime tappe: “minacceranno di chiudere il magazzino e attraverso la paura di perdere il posto di lavoro proveranno a mettere gli altri operai contro di voi.” Gli operai annuiscono, “Giusto!” dicono, e aggiungono che questo vale soprattutto per i lavoratori Rumeni e Moldavi, connazionali dei dirigenti del magazzino, che sono arrivati in Italia e hanno ottenuto il posto proprio grazie alle relazioni e al rapporto diretto con i caporali, ottenendo anche talvolta condizioni leggermente migliori di quelle dei colleghi Pakistani, che sono la maggioranza dei lavoratori in sciopero. Legami personali, segnati, sembra, da un senso del dovere da una parte, ma anche e soprattutto dal ricatto, e dalle offerte economiche con cui i padroni “comprano” o tentano di comprare queste contro-manifestazioni. Ed infatti, se è vero che durante l’orario lavorativo si è assistito alla chiassosa manifestazione dei “Vogliamo Lavorare”, con in prima fila i dirigenti insieme ad alcuni lavoratori non scioperanti, è anche vero che, più distanti, sempre al di là del cancello, altri lavoratori si mostrano molto meno arroganti, più silenziosi. Alcuni, di nascosto, ci passano della frutta secca attraverso le sbarre. Altri, fuori dall’orario di lavoro, vengono al presidio a dirci che la lotta è giusta, ma che non hanno il coraggio di unirsi perché temono di perdere i mezzi di sostentamento per la loro famiglia. Le loro mogli passano a portarci cibo e dolcetti, scusandosi di non essere abbastanza coraggiosi.

Presidio Mondo Convenienza

Da Mondo Convenienza, ad eccezione di chi lavora in ufficio, nessuno resiste più di un paio d’anni: è un lavoro usurante, senza nessuna garanzia di sicurezza. Sulle fatture c’è scritto sempre che i montaggi sono al piano terra, anche quando sono al sesto piano. Un operaio mi mostra un video in cui si vede la struttura portante di una rampa di scale, a cui ancora mancavano i gradini e mi spiega che ha dovuto trasportare una cucina completa e un armadio a 8 ante passando da lì. I turni sono di 10,12, anche 14 ore al giorno, per 6 giorni a settimana. Da contratto sarebbero 40 le ore settimanali, ma si parte col camion pieno e non si torna finché non si sono finiti tutti gli ordini previsti per la giornata. Se si danneggia un mobile o un’attrezzatura, sono 500€ sottratti dallo stipendio, che è già da fame: 1180€ lordi mensili come paga base. Uno sfruttamento che si basa, come spesso accade, sul sistema degli appalti: tutti i montatori e autisti indossano maglia e pantaloni con stampato il logo Mondo Convenienza, ma in realtà il servizio di consegna e montaggio è esternalizzato e appaltato alla ditta RL2. Ditta che impone ai lavoratori il contratto multiservizi, anziché quello della logistica, privandoli così di una serie di diritti e rimborsi che spetterebbero loro con il giusto contratto e che raddoppierebbero lo stipendio mensile. La paga oraria prevista dalla multiservizi è di soli 6,80 € lordi: inaccettabile per qualsiasi lavoro. Molti di loro, poi, sono assunti con contratto di apprendistato, che oltre a consentire una paga ancora più bassa, dà l’accesso a sgravi fiscali per l’azienda (in pratica, la precarietà è incentivata dallo Stato stesso). Tutto questo ha una doppia funzione: da una parte, ovviamente, dimezzare il costo del lavoro; dall’altra, costringere i lavoratori ad accettare ogni straordinario, ogni consegna, imposti dal “Capo”. Perché senza straordinari, lo stipendio netto si aggira sui 900€ mensili. Straordinari che non sono pagati come tali, e che in parte non sono pagati affatto: non vengono segnate e riconosciute tutte le ore extra realmente lavorate, ma solo quelle che consentono di arrivare ad uno stipendio con cui è possibile sopravvivere. Questo consente all’azienda di assumere la metà del personale realmente necessario.

È chiaro, insomma, perché gli operai gridino “ladri” ogni volta che dal cancello passa un dirigente.

“La nostra forza è il prezzo” dice il pay off e la canzoncina della pubblicità. “La vostra forza è lo sfruttamento” recitava per tutta risposta lo striscione dei lavoratori, che il responsabile del magazzino ha strappato.

Eppure, <<La ragione sta nel mezzo>> ha il coraggio di dire l’agente in borghese in uno di questi sgomberi, mentre il gruppo più trainante di operai e sindacalisti vengono tenuti isolati dagli altri scioperanti (per 3 ore e mezza) dal resto del gruppo tra la camionetta, il muro e gli altri agenti. <<Attenti a non farvi male!>>, ripetono continuamente mentre ci spostano di peso dopo essersi accorti di essere ripresi. Ma quando durante il terzo tentativo di sgombero un operaio si sente male, non risponde e i suoi occhi si ruotano alla insù, non si esita a continuare l’operazione, non si valuta di ammassare le persone in un altro posto: gli si buttano addosso. Come fossero spazzatura. La domanda sorge spontanea: lo avrebbero fatto anche se questi operai fossero stati italiani?

Quando, preoccupati, gli facciamo notare del malore e cerchiamo di impedire che venga schiacciato, parte una carica. Un giovane attivista si prende uno schiaffo in pieno viso.

Altri hanno riportato ferite dovute al trascinamento sull’asfalto. In alcuni video pubblicati relativi a questi sgomberi, si può vedere anche come alcuni agenti si accaniscano sul sindacalista Luca Toscano, mettendogli le mani al viso e al collo nel tentativo di sciogliere il cordone.

<<Vergogna! Perché non intervenite contro l’azienda che sfrutta, che evade le tasse, che anche in altre città è già sotto processo per Sfruttamento e Caporalato! Sono loro i criminali! Noi vogliamo solo il rispetto dei diritti!>> dice la sindacalista Francesca Ciuffi nel video in diretta del terzo tentativo di sgombero. <<Operaio non è animale!>> dicono i lavoratori in coro <<vogliamo lavorare 8 ore>>.

Il S.I. Cobas ha fatto già tanti scioperi e blocchi delle merci a Prato, nel tessile: il blocco è spesso l’unico modo per ottenere un tavolo con le aziende del Macrolotto, aziende in cui lo sfruttamento è la regola più che l’eccezione e che solitamente, altrimenti, al tavolo non si presentano nemmeno. Un anno fa, a Texprint ci sono voluti 9 mesi, nelle fabbriche successive sono bastate settimane, in altre giorni, e in alcuni casi, più recenti, anche solo poche ore: ll movimento 8×5 si è allargato a macchia d’olio nelle periferie Toscane e si sa ormai che i blocchi continuano fino alla vittoria, per cui in alcuni casi la minaccia di arrivare a questo è sufficiente per arrivare all’accordo sindacale.

È vero che le altre vertenze che si sono aperte nei magazzini di Mondo Convenienza in altre città non hanno vinto. Ma è vero anche che in nessuna di queste si è realizzato lo sciopero a oltranza, il blocco, il presidio permanente. Qui ci sono possibilità concrete e sarebbe un precedente importantissimo.

L’importanza di questo sciopero è chiara a tutti qui. Prima di tutto agli operai. La rivendicazione che unisce tutte le lotte del macrolotto e anche questo sciopero, 8 ore × 5 giorni, può sembrare una rivendicazione minima, poco avanzata per chi è politicamente attivo nella sinistra anticapitalista, mi spiega il sindacalista, ma questo è ciò che ha funzionato. Ha funzionato perché è una rivendicazione venuta dagli operai, costruita collettivamente, dal basso, concretissima, ma intorno alla quale si è costruito un immaginario chiaro: lottare per una vita più bella. Per avere del tempo libero e una paga dignitosa. Una rivendicazione con cui è impossibile essere in disaccordo, anche per chi è meno avvezzo alla critica verso il sistema. Semplice; eppure, in grado di evidenziare quanto sia marcio questo sistema che si regge sullo sfruttamento, sul ricatto e sul beneplacito delle istituzioni.

<<È normale ragazzi! Qui chi ha i soldi può fare quello che vuole, può non rispettare la legge e venire difeso dalla polizia! È cosi che funziona in Italia!>> dice ironico e sprezzante il delegato sindacale mentre viene bloccato. <<Siamo pericolosi come Pablo Escobar, ecco perché ci trattano così, ed ecco perché ci trattengono e ci rilasciano tutte queste volte!>> ironizza un altro lavoratore.

Ma qui, in queste ore, in questo luogo non c’è solo repressione e violenza. Qui chi tocca uno, tocca tutti. C’è solidarietà. C’è rabbia. C’è amore. Gli operai insistono sempre per offrire qualcosa a chi viene a dare una mano. Qui si creano legami, amicizie. Ci sono momenti di svago. Nonostante la pioggia, nonostante la stanchezza, nonostante i rischi, il clima è bello, si rimane volentieri. Nonostante come dice Riccardo, altro giovanissimo militante, <<È sempre normale avere paura in questi momenti>> (ndr nel momento dello sgombero e dell’arrivo della polizia), insieme la paura passa, o almeno è superata da qualcosa di più forte. Allora davanti al camion che sgasa e minaccia di investirli, i lavoratori giocano a carte tra loro. Ridono, scherzano, prendono in giro il capo che cerca di provocarli, lo ignorano quando cerca di spostare l’attenzione su argomentazioni insignificanti. Tutti urlano “Sciopero! Sciopero!” più forte quando cerca di mettere in difficoltà un lavoratore prendendolo da parte, o quando arrivano le forze dell’ordine. Si avvicinano, stanno a braccetto e si stringono più stretti, si trattengono per resistere agli strattoni. Lavoratori che in passato hanno scioperato e vinto col S.i. Cobas, vengono ad aiutare e a dare il cambio. Non dimenticano che se toccano una toccano tutti. Vengono a raccontare la loro esperienza, a rassicurare gli operai che andrà bene. Vengono anche altri lavoratori, di altre esperienze, come quelli della vicina GKN.

In presidio si vedono abbracci, si vedono sorrisi. Dall’altra parte del cancello, sempre meno persone, sempre più silenziose, sempre più nascoste e defilate.

Perché al di qua del cancello c’è qualcosa di potente. C’è il sogno di cambiare le cose per sé stessi, con la consapevolezza che ognuno di questi tasselli non ha un significato solo per i lavoratori di Mondo Convenienza. Ma riguarda tutti.

C’è la speranza e ci sono i fatti che dimostrano che non è vero che è tutto perduto. Che dimostrano che i diritti ce li possiamo riprendere pezzo per pezzo. Che pezzo per pezzo, una vittoria dopo l’altra, si possa smontare quel muro invisibile fatto di rassegnazione e individualismo.

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Erika Di Michele

1 commento su “Mai più schiavi, la lotta dei lavoratori in appalto di Mondo Convenienza”

  1. Carlo A. Silenzi

    Brava Erika De Michele, complimenti! Bell’articolo, informativo, utile e sentito. L’importanza del lavoro di SI Cobas non è mai abbastanza sottolineata, ma quest’articolo la fa capire. (Davvero non si può che essere rassegnati e dare per scontato che la CGIL questo sacrosanto lavoro sindacale non lo fa, e anzi dà addosso alla “concorrenza”?)

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