Vita contemplativa o dell’inazione di Byung-Chul Han

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“Somigliamo sempre più a quelle persone attive che rotolano come rotola la pietra, con la stupidità del meccanismo” è l’incipit di Vita contemplativa, l’ultimo libro del filosofo coreano Byung-Chul Han. Una frase che proviene da Umano, troppo umano di Nietzsche, e che si ritrova, con traduzioni diverse, anche nel precedente testo di Han La società della stanchezza, di cui Vita contemplativa è come una continuazione.

La “stanchezza dagli occhi limpidi” è quella fiduciosa del mondo, che riconcilia, che si contrappone alla stanchezza della società di prestazione che è solitaria, e agisce separando. Questa stanchezza, dal cuore grande, caratterizzata da un divenir meno e da una porosità dell’io, rende possibile un soffermarsi, un indugiare, che ispira un quieto non-fare, e si contrappone all’iperazione frenetica della moderna società isterica e psicotica. Il non-fare, è un tratto essenziale della contemplazione, come lo Shabbat, che in origine significava smettere, è un’intervallo, un tempo senza lavoro, un tempo di gioco, un tempo di pace.

La stanchezza, cui allude anche Peter Handke nel suo Saggio sulla stanchezza, è una stanchezza che cura, che disarma l’io in modo cordiale: “ogni volta già sul nascere con lo sguardo i gesti di violenza, di rissa, o anche soltanto di scortesia.” La stanchezza profonda di Handke annulla l’isolamento egologico, permette di accedere a un’attenzione completamente diversa, a quelle forme prolungate e lente che si sottraggono all’iper attenzione breve e veloce, che risvegliano lo sguardo acuito, la capacità di ascolto, l’imparare a non reagire subito ad un stimolo per fondare una comunità che non ha bisogno di parentele. Fin qui il precedente libro di Han, che si chiude ipotizzando una non troppo lontana società di salvazione che è quella della stanchezza.

Nell’ultimo libro di Han, il futuro della umanità dipende dal rilancio della capacità contemplativa e dell’inazione, che spalancano le porte al segreto dell’esistenza: “L’ esistenza umana si realizza solo nella vita composita, ovvero nella cooperazione della vita activa con la vita contemplativa”.

È ”necessario innalzare il livello di contemplazione nell’agire, facendo in modo che l’azione arrivi a includere la meditazione” […] “La meditazione è la capacità di non agire: essa implica lo star fermi quale interruzione, inattività. […] Insita nella meditazione vi è una dimensione dell’inattività che si abbandona a ciò che è. […] La “meditazione inattiva” si dedica alla magia del qui che si sottrae all’azione”.

La catastrofe è che tutto continui così, la continuità dell’avanti-così, la continua ripetizione dell’Eguale, e non il sopraggiungere di un evento inatteso. “Solo un angelo dell’inazione sarebbe in grado di porre un freno all’agire umano che tende imperterrito all’apocalisse.” Nell’interruzione dell’adesso consiste la salvezza: “La Storia si compie nel momento in cui l’agire cede il passo al guardare, ovvero arriva lo Shabbat dell’inazione.”

“Solo la quiete dello Shabbat porta a compimento la creazione. “Il giorno dello Shabbat, l’uomo è immortale. Il tempo smette di passare. Lo Shabbat è un “palazzo nel tempo” che salva gli esseri umani dallo scorrere del tempo, conducendoli in un mondo a venire (Olam Haba) […] Nel regno a venire, quello della pace, l’uomo e la natura si riconciliano. L’essere umano non è altro che un concittadino di una repubblica dei viventi a cui appartengono anche le piante, gli animali, le pietre, le nuvole, le stelle.”

La salvezza, viene anche nel liberare le cose da una finalità: “Le cose, liberate da qualsiasi scopo, diventano festose. Esse non funzionano, bensì brillano e risplendono: emanano una quiete contemplativa che rende possibile l’indugio.” Abbiamo bisogno di tempi di festa, per abbandonarsi alla contemplazione in tempi ritmicamente ricorrenti.” La festosità libera l’esistenza umana dalle ristrettezze dello scopo e dell’azione, dalla morsa della finalità e dell’utile. ” Il tempo della festa è il tempo del guardare acuito e dell’ascoltare acuito, che al contrario della vita attiva, non ha alcuno scopo al di fuori di sé, che creare comunità. “ Il sentimento della festa è sempre un sentimento di comunanza, un sentimento del Noi.” Il capitalismo, invece fa della festa una merce, che non crea comunità. “Nel tendere l’orecchio, che è una forma di inazione, tace l’Io presupposto di differenziazioni e delimitazioni. L’Io che tende l’orecchio si immerge nel tutto, nell’illimitato, nell’infinito. […] Le cose sfumano l’una nell’altra, mischiandosi. Il mondo brilla in un guazzabuglio amichevole, nel “caos ragionevole”.

“Senza quiete, l’uomo smarrisce la dimensione celeste […] La coazione ad agire, a produrre e a essere performanti provoca il fiato corto. L’essere umano soffoca nel proprio stesso agire. Solo meditando “intorno all’uomo lo spazio si allarga, circola aria.[…] Se non accoglie dentro di sè la vita contemplativa, la vita activa si snatura sotto il segno dell’iperattività e termina nel burnout, non solo psichico ma dell’intero pianeta.”

 

Byung-Chul Han, La società della stanchezza, nottetempo, Milano 2017, pp. 82, euro 7

Byung-Chul Han, Vita contemplativa o dell’inazione, nottetempo, Milano 2023, pp.145, euro 15

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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