Federico Butera ha scritto di recente in modo inequivocabile (*) riguardo alle dissennate politiche in atto nel Pianeta per cercare di togliere di mezzo l’imponente quantità di CO2 prodotta in gran parte dai processi industriali e da alcuni settori del mondo agricolo. Come sappiamo l’anidride carbonica è composto climalterante secondo solo al metano in questa sua caratteristica. Nella disamina di Butera si comprende bene come le suddette politiche diano luogo fin qui solo a miseri e pericolosi espedienti per nascondere l’anidride carbonica ‘sotto il tappeto’ del Pianeta. E si illustrano pure chiaramente i legami fortissimi fra le iniziative (conseguenti all’enorme potere) delle major che estraggono e producono combustibili fossili, con quelle che tendono ad utilizzare le più o meno antiche strutture estrattive (giacimenti esausti) per riportare artificialmente nelle viscere della terra (e/o sotto gli oceani) parte di quanto da esse è stato tirato fuori, la CO2 appunto.
Grazie alla diligente e docile capacità tecnologica della cosiddetta comunità scientifica mondiale, sempre prona verso i poteri ‘fossil-politici’, si sono trovate diverse modalità per fare tutto ciò. Modalità non dissimili, d’altra parte, da quanto l’uso dell’energia nucleare da fissione costringe da tempo a fare: prendere i velenosi frutti di un processo industrial-energetico di cui non si vogliono affrontare le conseguenze ultime, cioè le scorie nucleari, e metterli in posti ‘sicuri’ (?!) dove dimenticarli. O meglio dove sottrarli alla memoria collettiva peraltro davvero corta. Tutto ciò sperando evidentemente nella buona stella, ovvero forse augurandosi che Plutone e Nettuno non scatenino le loro ire scuotendo dal profondo terre emerse ed oceani… Speranze invero azzardatissime perché basate sulle attuali conoscenze del tutto parziali e provvisorie delle dinamiche terrestri, specie nel medio-lungo periodo, se non su dosi massicce di menzogne, malafede, egoismo e menefreghismo.
Ciò che vorremmo proporre in questa sede è quanto peraltro da molto tempo si elabora in quei pochi ambienti dove la vecchia scienza indipendente e libera continua ad esprimersi (anche dubitando): l’ipotesi di rendere la stessa agricoltura parte attiva del processo di assorbimento della CO2 atmosferica del globo. E ciò non tanto e non solo grazie all’utilizzo, ove possibile, di quelle specie vegetali – arboree , arbustive ed erbacee – sperabilmente autoctone, voraci di questo composto. Ma anche grazie a semplici tecniche di lavorazione della terra ‘nuda’, ovviamente durante le fasi agrarie in cui essa rimane priva di copertura vegetale. Ci riferiamo ad esperienze ed osservazioni già acquisite come valide presso gli ambienti esperti, che hanno già verificato la reale percorribilità di una strada responsabile e diremmo ‘gentile’ verso la fissazione della CO2 nel suolo agrario, donde in parte proviene.
Sistemi del genere vanno cioè a valutare dinamicamente quanta CO2 un campo può assorbire a seguito delle lavorazioni di aratura di varia profondità eseguite con gli attrezzi normalmente utilizzati all’uopo. Ma valutano anche quanto carbonio viene trattenuto da un prato lasciato nella sua condizione di libero sviluppo, o da una foresta o da un bosco, indisturbati o sottoposti a pratiche forestali indispensabili e in ogni caso compatibili con la loro migliore conservazione e riproduzione. I risultati dell’utilizzo di tali sistemi sono notevoli quanto in parte controintuitivi per i primi, cioè se si considera solo il mondo vegetale capace dell’assorbimento dell’anidride carbonica e si scorda che tale mondo deve una parte della propria dinamica vitale alla potenza e complessità della “risorsa suolo”.
Le aree di lavoro cui qui ci riferiamo sono immediatamente applicative, e la stessa Unione Europea ne tiene conto proponendole nei suoi recenti documenti anche operativi (ma, detto di passata, difendendone molto blandamente principi ed esiti davanti a proteste solo in parte giustificate). Riguardo a tali aree si può aprire addirittura una strada saggiamente pianificatoria (eh… la pianificazione, questa ormai dimenticata arte!) per l’utilizzo delle risorse agrarie anche al fine dell’assorbimento della CO2. Ci riferiamo a quello che da tempo viene definito un possibile “CO2 Accounting” (conteggio/ponderazione della CO2) che può riguardare territori vasti o addirittura intere regioni, in cui vengono ammesse tutte quelle pratiche (dalle industriali a quelle appunto agrarie, fino a quelle di riduzione effettiva dei consumi energetici) valutabili e misurabili nel loro apporto reale, seppure variabile in dipendenza di vari fattori, all’assorbimento/limitazione di questo composto climalterante.
Se la suddetta valutazione (quali-quantitativa) fosse proposta, discussa e poi attivata da una Pubblica Amministrazione non più ridotta all’impotenza/cecità dagli interessi dei poteri fossil-politici, i territori potrebbero gestire gli apporti di loro singoli settori produttivi all’assorbimento della CO2 pianificandoli nel medio-lungo periodo in base alle dinamiche specifiche, ovviamente da tenere sotto costante monitoraggio sia tecnico che economico-sociale e civile. Quindi non avremmo più iniziative puntuali tendenti all’assorbimento o alla dissimulazione della CO2 basate sull’ultimo tecno-giochino scintillante proposto dalla solita major mondiale, maleodorante di interessi e capitali sporchi ma con solidissime entrature politiche, bensì un ambito articolato e pubblicamente ragionato, in cui le risorse territoriali e paesaggistiche sono rispettate e messe a sistema, senza alcuna schiavitù o scorciatoia tecnologica.
Ovviamente quanto sopra proposto si discosta notevolmente dalle prassi del ‘carbon farming’ come le descrive e cerca di proporre l’Unione Europea ai Paesi membri e ai relativi produttori agrari, soprattutto grandi. Qui si propone l’abusato sistema della creazione di “certificati verdi” o “crediti di carbonio”, stavolta basati sulla attestata (da chi e come?) capacità di ogni singola impresa agraria di assorbire un certo stock di anidride carbonica, mettendo le basi per una loro facile e veloce monetizzazione. La logica di mercato e le sue vantate quanto fallaci libertà, fondanti come sappiamo per l’Unione Europea, si affermano prepotenti anche in questo ragionamento. E si continua perciò ad eludere in quella sede la necessità di costruire una visione di lungo periodo, amministrata da chi ne ha politicamente, socialmente e tecnicamente titolo, centrata sui territori e che possa gestirne le risorse in modo ordinato e rispettoso.
Ce la faremo a creare una discussione fattiva e libera e poi una potente pressione culturale e politica su tali temi? Essi, fra l’altro, nel costringerci ad abbassare lo sguardo verso orizzonti minimi, verso la terra che calpestiamo, ci porterebbero, chissà, anche ad un più attento e rispettoso incedere, come umani.
Gli indirizzi del WEB che seguono danno una piccolissima idea del dibattito in corso e delle sue radici vicine (**); vogliono essere di stimolo all’approfondimento di conoscenze in divenire che, quelle sì, meriterebbero impegno e sforzi cultural-economici di più alto livello degli attuali.
WEBLIOGRAFIA
https://www.weforum.org/agenda/2023/12/agriculture-soil-carbon-sink/
How can agriculture tap into the potential of soil as a carbon sink – dic 2023
CO2 storage in agricultural soils yields little climate gain – sett 2023
https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2022/699655/IPOL_STU(2022)699655_EN.pdf
Research for AGRI Committee: Agricultural potential in carbon sequestration Humus content of land used for agriculture and CO2 storage in soil – jun 2022
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fenvs.2022.848572/full
Carbon Storage in Agricultural and Forest Soils – feb 2022
https://www.nature.com/articles/s41586-021-03306-8
A trade-off between plant and soil carbon storage under elevated CO2 – 2021
https://www.weforum.org/agenda/2020/08/how-carbon-smart-farming-tackles-climate-change/
How carbon-smart farming can feed us and fight climate change at the same time – aug 2020
https://www.nature.com/articles/s41893-020-0491-z
The role of soil carbon in natural climate solutions – mar 2020
https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/17583004.2019.1633231
Quantifying carbon for agricultural soil management: from the current status toward a global soil information system – 2019
https://link.springer.com/article/10.1007/s13593-017-0421-2
Increasing soil carbon storage: mechanisms, effects of agricultural practices and proxies. A review – 2017
https://climate.ec.europa.eu/system/files/2016-11/finalreport_agricsoils_en.pdf
European Climate Change Programme (ECCP) – Working Group Sinks Related to Agricultural Soils – Final Report – 2016
https://www.science.org/doi/10.1126/science.1097396
Soil Carbon Sequestration Impacts on Global Climate Change and Food Security – 2004
https://resoilfoundation.org/le-soluzioni-per-il-suolo/
(*) Il Manifesto, Extraterrestre del 18/01/24, https://ilmanifesto.it/ccs-la-controffensiva-dei-poteri-fossili
(**) Sull’argomento “Carbon Capture and Storage” (CCS) l’autore ha tracciato già nel 2009 [come dirigente dell’UOB 4 “Cooperazione Internazionale e sviluppo del partenariato euromediterraneo” presso l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) – Sicilia] il progetto europeo “TWINACCS” in collaborazione con:
– Dipartimento di Chimica e Fisica della Terra ed Applicazioni alle Georisorse e ai Rischi Naturali – CFTA (oggi Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare -DiSTeM) – Università di Palermo.
– Centro di Eccellenza Materiali Innovativi Nanostrutturati per Applicazioni Chimiche, Fisiche e Biomediche (CEMIN) – Università di Perugia.
– Dipartimento Geofisica della Litosfera dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste.
Antonino Prizzi
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