La città e il carcere: il volto meschino di Sollicciano

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Cappellano del carcere fiorentino per vent’anni, Vincenzo Russo ne denuncia la disumanità. E accusa chi sta fuori: dalla politica a chi è schiavo di vili interessi. A pagare sono i poveri e i fragili. Da Fuori Binario / Aprile 2024

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In questi ultimi tempi, tra le pagine dei giornali, si legge spesso del carcere e della drammatica condizione in cui si trovano a vivere le persone detenute. A muovere questo interesse, solitamente assente, fatti recenti che hanno raggiunto la spesso sopita attenzione dell’opinione pubblica. Mi riferisco, particolarmente, alla decisione di un giudice del Tribunale di sorveglianza di Firenze che ha accolto il ricorso di un ex detenuto dell’Istituto penitenziario fiorentino di Sollicciano, il quale denunciava il trattamento inumano della detenzione subita. Fuori Binario ne ha parlato nel febbraio scorso. Ebbene, il giudice ha riconosciuto la ragione di questo ricorso e appurato il “trattamento inumano e degradante” che va in scena in quel carcere, concedendo così un importante sconto di pena al facente ricorso.

Quale impressionante lontananza tra quanto accertato dal Tribunale e quella storia e cultura toscane così intrise di umanesimo, spesso vantate come uniche e attuali! Quanto accade nel carcere fiorentino dimostra invece un volto diverso, meno bello e anzi meschino, capace di gettare via in un colpo di spugna secoli di storia e tradizione umanistica. L’opinione pubblica sembra essersi un po’ destata, incuriosita. Ma a parte questo cosa succede in concreto? Non basta un vago e formale principio di solidarietà, uno scontato giudizio di disapprovazione. Occorre molto di più, perché realmente si inizi a farsi carico della vita di tutte quelle persone che sono gettate dietro le sbarre, pigiate in una povertà che rovina e affligge. Si afferma, da parte di alcuni, che il carcere sia un “male necessario”, quasi inevitabile. Ciò appare una semplificazione di comodo, la giustificazione per un successivo non far nulla.

Sollicciano, il carcere intollerabile

Tutti siamo interpellati di fronte a ciò che accade oggi nelle carceri. Ciò che emerge inequivocabile circa quello fiorentino di Sollicciano, è intollerabile. La lista è lunga e deplorevole. I suoi ambienti degradati, pieni di muffe e umidità, le celle piccole e malmesse abitate da cimici e altri parassiti, il tempo vuoto che scorre ferendo e affossando, l’assenza di veri percorsi di recupero e socializzazione, la condizione di tante persone lì recluse che vivono un disagio mentale o vere e proprie malattie psichiche, lo scontro fra gruppi etnici animato dal controllo dello spaccio che lì avviene abbondantemente e avviluppa in una morsa senza fine i tanti tossicodipendenti presenti. Tutto questo non può essere considerato conseguenza inevitabile e necessaria di ogni società umana. Direi, piuttosto, che ne è il frutto, anzi lo specchio. La società è dormiente ed in balìa di istinti, non prende coscienza che anche questa città è un carcere a cielo aperto. Lo spaccio che abbondante si svolge all’interno dell’istituto è parte di una rete che viene da lontano, dall’esterno.

Fuori dalle mura della bellezza

Fuori da quelle mura, nella Firenze delle bellezze artistiche e dalla storia importante, dilagano in modo crescente situazioni di povertà. La disoccupazione fa la sua parte ed è ancora più pesante perché spesso legata a ciniche decisioni di delocalizzazione da parte delle aziende. Tante famiglie sono allo stremo e sempre più sole ad affrontare gravi problemi, tra cui quello abitativo. Cosa dire poi dell’insicurezza che aumenta di fronte ad una criminalità sempre più vasta e subdola, quasi invisibile, che sfrutta storie disgraziate di miseria e pesca a piene mani nel destino tragico di tanti invisibili e disperati, molti dei quali provenienti da un sistema di accoglienza che si rivela fallimentare?

La comunità deve saper opporsi

Occorre prendere coscienza come comunità, reagire, opporsi. Il carcere è il problema oggi ma è parte di un problema più grande, è solo la punta dell’iceberg. La città e il carcere sono indissolubilmente legati, nonostante si voglia, ad ogni costo, separarli. Ciò che accade al di qua e al di là di quelle mura è reciprocamente influenzato, connesso. Ciò che rattrista e risulta incomprensibile è il non capire questo e il separare nettamente i due luoghi. Si pensa, infatti, che il carcere non debba essere affatto considerato parte della città, ma sua estrema periferia, quasi invisibile! Ciò che avviene dentro non deve essere conosciuto fuori, perché turba, danneggia il quieto vivere. Ricorderebbe a questa società distratta che c’è tanta povertà, tanta ingiustizia, tanta contraddizione al suo interno. Tale separazione diventa incomunicabilità. Ma allora sorge, inquietante, un interrogativo. Come possono, dietro quelle sbarre, rigenerarsi vite che devono reinserirsi proprio in quella società che si tiene così lontana e si mostra, al limite, giudicante? Evidentemente c’è qualcosa che non torna e la realtà è un’altra. Sollicciano, come ogni altro carcere, è parte integrante della città e della sua comunità e per quanto lo si tratti da periferia, esso è, in verità, assai legato alla realtà che lo circonda. Ne è il segno, in parte il frutto, l’esemplificazione e l’eco.

Niente di buono nasce in carcere

Se vogliamo dirla tutta, il carcere in sé è qualcosa che non funziona e che difficilmente produrrà qualcosa di buono e si dimostrerà utile. Ma indubbiamente, e a maggior ragione, esso deve almeno garantire condizioni di piena giustizia e di diritto. Ciò che è e sarà dipende e dipenderà molto dalla società fuori, dalla città di cui fa parte. Se vogliamo sperare in un qualche cambiamento, andando a ritroso ed uscendo dalle mura degli Istituti di pena, si deve trovare anzitutto una città non più ingabbiata come adesso, non più schiava di vili interessi. Soprattutto con una coscienza libera, attenta e sul pezzo.

Basta con la politica dei proclami

Non è più tempo di proclami, di sterili contestazioni, di demonizzazione dell’avversario al fine di imporre sé stessi. Non fa intravedere soluzioni una pur affabulante ricerca di nuovi assetti o curiosi accordi di gestione e potere, che copiosi ci sono presentati in questo tempo di promesse e campagne elettorali. Nessuno può attendersi veri cambiamenti da una politica sempre più spettacolarizzata e interessata all’immagine, frutto di visioni e interessi di parte. Eppure, è tempo di agire, urgentemente: non contro ma per, con impegno. L’intera società civile, tutti noi, dobbiamo quindi mettere a disposizione la testa, il cuore, le mani e le braccia per costruire una nuova dimensione di comunità, nella quale l’oltraggio alla persona, che avviene nelle carceri, non abbia mai più cittadinanza.

Vincenzo Russo è stato cappellano del carcere di Sollicciano fino al 2023. Casa Caciolle, sita a Firenze tra Novoli e Ponte di Mezzo, ospita persone detenute con pena alternativa al carcere.
Info su www.casacaciolle.it.

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