Dopo i provvedimenti prescrittivi giunti a carico della Direzione della Casa Circondariale di Sollicciano a seguito delle visite ispettive svoltesi nell’Istituto, la questione del carcere fiorentino è diventata centro di dibattito politico. L’attenzione è interamente rivolta al confronto fra Direzione e Ministero della Giustizia e le parti politiche manifestano impegno solo nello schierarsi con l’una o con l’altro. E così i detenuti sono schiacciati dentro una diatriba che ha altro come vero oggetto di interesse e non loro i quali, ancora una volta, diventano occasione per parlare di altro e non affrontare la vera questione che è in gioco: la loro vita. Intanto, amaramente, tra le mura di quell’Istituto come fra quelle di tante altre carceri italiane, si continua a patire condizioni disumane e a morire. Mentre infatti va in scena il dibattito che occupa le pagine dei giornali e rischia di distrarre l’attenzione dai veri problemi che affliggono il mondo carcere, quotidianamente si consuma l’immane tragedia. Non trovo altre parole per descrivere la condizione nella quale i detenuti si trovano a vivere ogni giorno, condizione resa ancora simbolicamente più infernale dalle calde temperature di questi giorni estivi.
di Vincenzo Russo, già cappellano di Sollicciano / Fuori Binario
Ciò che accade dinanzi ai nostri occhi, che pure non riescono a vedere fino in fondo quella realtà tenuta appositamente nascosta, è il perdurare di trattamenti fortemente lesivi della dignità umana a danno di persone costrette a vivere in ambienti indegni, in situazione di grande privazione, nel vuoto di un tempo nel quale poco o nulla è fatto per la costruzione di percorsi rieducativi e nel quale si concretizza uno stato di non ascolto e abbandono. In questo contesto crescono disagio e fragilità, si sviluppano rabbia e violenza, si cancella ogni forma di speranza. Anche se espressione forte, la parola tortura è una parola appropriata se utilizzata oggi per descrivere ciò che si vive all’interno del carcere.
Di fronte a questo è veramente ipocrita il dibattito politico in corso, che si rivela anche svuotato di senso. I partiti di “sinistra” impugnano l’arma dell’indignazione contro i partiti di governo, accusandoli di essere la causa di questa mala gestio e della drammatica situazione delle carceri. Ma nel fare questo dimenticano che tali problemi affliggono gli istituti di pena da lungo tempo e che negli anni in cui loro erano al governo nulla hanno fatto per realizzare riforme capaci di incidere e portare al cambiamento tanto sbandierato. Ogni attuale indignazione e accusa appare in questo senso oltremodo tardiva ed ipocrita, più finalizzata alla dinamica della contrapposizione politica che ad affrontare il problema. Trovo tutto questo non solo contraddittorio ma fortemente strumentale e di facciata; di fatto si fa politica sul sangue della gente. Nell’ambito del generale fallimento di tutto il sistema penitenziario, Sollicciano è esempio eccellente di disastro. Oggi si grida allo scandalo, ma fino a ieri chi lo asseriva era screditato e ostacolato in ogni modo, come ho sperimentato sulla mia stessa pelle.
La cosa grave è che, però, oggi non si risalta tanto lo scandalo delle condizioni che in quell’Istituto affliggono i detenuti, quanto quello relativo alle prescrizioni ricevute dalla Direzione da parte del D.A.P. Lo scandalo è questo, non gli otto morti negli ultimi due anni! Mi chiedo: chi risarcisce quei morti? Quelle persone hanno scelto di evadere da un sistema che produce morte, sia fisica che spirituale, e che nei fatti non sa proporre altro. Tale sistema si conserva e rimane quasi inalterato, peggiorando soltanto, mentre le responsabilità passano di mano fra “destra” e “sinistra”, senza che ci sia segnale di concreto ravvedimento per quanto non fatto o fatto male. Noi cittadini siamo stanchi ed indignati di fronte a questo scempio che esclude non soltanto i detenuti dalla vita sociale ma più in generale tutti i poveri.
È assolutamente doveroso ed urgente iniziare seriamente ad occuparsi dei carcerati che vivono stipati dentro le celle ma, insieme, anche di quelli che vivono dentro la città, che sono abbandonati nelle strade, di quei poveri cioè che sono come prigionieri rinchiusi in spazi di “non diritto e privazione”, da un sistema che si ammanta di ipocrita premura nei confronti dei più poveri ma, in realtà, per la maggior parte è interessato solo ad altre finalità tutte politiche. Come non preoccuparsi, ed in modo serio, per le nostre città invase dallo spaccio di sostanze, una delle condizioni capaci di imprigionare i più fragili e svantaggiati, che sono tanti.
Le nostre carceri sono piene di persone che hanno problemi con le sostanze e che certo, per affrontare il delicato aspetto della tossicodipendenza, avrebbero bisogno di altri contesti, di luoghi e percorsi di cura e non di azioni repressive e semplicemente contenitive. Dentro e fuori, come vediamo, sono strettamente connessi, l’uno specchio dell’altro: così come succede all’interno delle mura del carcere, nei fatti, anche fuori molte persone sono destinate alla morte sociale, all’esclusione. Non si può non avvertire la priorità di interventi dedicati proprio a queste persone, in grado realmente non solo di individuare il problema ma anche di affrontarlo. L’invito che rivolgo è quello di iniziare ad occuparsi di ciò e di non consentire più che, in un contesto di indifferenza diffusa, si continui ad esercitare abbandono verso intere porzioni di cittadinanza, fuori e dentro il carcere.
Tornando nello specifico a quest’ultimo, non occorre molto per capire quale sia oggi la situazione. Basta camminare nei corridoi o lungo le sezioni dei nostri istituti di pena per vedere come sono ridotte a vivere le vittime di questo sistema, per capire che le responsabilità ci sono e sono gravi. Il carcere non può più continuare ad essere luogo oscurato allo sguardo del mondo; eppure oggi è ancora molto difficile entrare, visitare. Lo è anche per le commissioni di controllo, le cui visite non riescono ad andare al fondo del problema e si trasformano più spesso in occasione di dibattito politico senza porre l’attenzione, come dovrebbe essere, su chi genera tali ingiustizie. C’è bisogno urgente di speranza, di prospettive. Ma ciò non può reggersi su vuote parole. Occorrono soluzioni concrete, percorsi di vita vera da offrire alle persone detenute. Solo questo può e deve essere alla base di un serio affrontare la questione carcere, a tutela di ciò che è il tesoro più importante che fonda la vita della comunità e dello Stato: il bene della persona.