L’inferno di Haiti. 2. Imperialismo neoliberista e organizzazioni internazionali

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Come abbiamo visto nella prima parte di questo approfondimento, il popolo haitiano è passato dal genocidio degli indiani alla tratta degli schiavi, dalla colonizzazione alla neocolonizzazione attraverso il debito, quindi all’occupazione statunitense, per poi ritrovarsi prigioniero del neoliberismo imposto. Duecento anni di indipendenza ufficiale, ma appena il 10% di indipendenza reale. Credo che per coloro che cercano le fonti dell’attuale tragedia del paese, sia importante rileggere la sua storia e superare l’idea di un popolo incapace di governarsi da solo (se solo gli fosse stata data la possibilità di governarsi da solo…). A questa storia drammatica dobbiamo aggiungere il ruolo di quello che dagli anni ’70 viene chiamato “aiuto internazionale”. In questa seconda parte, mi soffermerò su alcuni aspetti, fondamentali per comprendere se queste istituzioni internazionali avrebbero davvero potuto mitigare i disastri causati ad Haiti dalle grandi potenze.

La comunità internazionale

Comunità internazionale, un’espressione che lascia intendere l’esistenza di un’entità rappresentante, in qualche modo, i principali interessi di tutti i popoli. Ma questo non esiste, né mai è esistito. Al limite, solo le Nazioni Unite, create con questo intento, possono vantare un tale titolo; intento che fu dichiarato al momento della loro creazione, ma che siamo ben lontani dal conseguire. Torneremo su questo punto. Quando i giornalisti usano il termine comunità internazionale, non specificano mai di cosa si tratti. Lo prova l’esempio, di fine 2021, della vicenda dei mercenari russi del gruppo Wagner in Mali. Stavolta è protagonista la Francia: enché la ministra della Difesa francese abbia affermato sui media che la comunità internazionale avrebbe ritirato il suo sostegno al Mali, nessuno dei paesi africani era stato consultato, né gli europei, tanto meno i latinoamericani o gli asiatici.

Ogni volta che viene impiegata l’espressione “comunità internazionale”, siamo di fronte a un abuso linguistico, ma soprattutto a un abuso di potere a vantaggio di pochi attori dominanti. In realtà, la cosiddetta comunità internazionale è a geometria variabile e spesso si forma attorno ai leader degli ex colonizzatori.

Ogni volta che i media parlano di comunità internazionale, si tratta di pochi paesi dominanti. In effetti non si parla mai di comunità internazionale quando alcuni paesi africani, asiatici o latinoamericani si riuniscono per esprimere un parere su una situazione particolare. Come si può notare, il termine comunità internazionale viene utilizzato solo se una “grande potenza” esprime un parere. La comunità internazionale non esiste giuridicamente, né possiede alcuna legittimità: non è altro che una creazione dei media, poco rigorosa e al servizio dei più potenti. È un’espressione di quelle più comunemente usate per legittimare le potenze imperialiste. Cosa potrebbe aspettarsi Haiti da questa fantomatica comunità internazionale se non di essere obbligata ad obbedire ai desideri degli Stati Uniti, la maggiore potenza in quest’area geografica?

Le Nazioni Unite

Se, da una parte, la comunità internazionale non esiste, dall’altra, le Nazioni Unite possono vantare un’esistenza legale basata sulle firme dei 189 paesi membri che vi hanno aderito. L’articolo 2 della Carta inizia con: “L’organizzazione è fondata sul principio dell’uguaglianza sovrana di tutti i suoi membri”.

Come sapete, uno degli organi più importanti è il Consiglio di Sicurezza: quindici membri, di cui cinque permanenti: Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito e Cina. Questi cinque hanno il famoso diritto di veto. A questi si aggiungono dieci membri eletti per due anni dall’Assemblea Generale. Se non ricordate i membri permanenti, è facile scoprirli: basta andare su internet e digitare: chi sono i cinque maggiori trafficanti di armi al mondo? Bingo! Avete vinto, sono proprio quelli. E nessuno ci fa caso. I media non ne parlano mai. Nel 2020, il budget delle Nazioni Unite è di circa 6,5 miliardi per il mantenimento della pace e 5,8 miliardi per il funzionamento, per un totale di 12,3 miliardi. Se vi preoccupasse il rapporto tra il bilancio delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e la spesa annuale per le armi nel mondo, sappiate che nel 2020 il record è stato battuto: 2.000 miliardi per le armi! Circa 160 volte di più del bilancio delle Nazioni Unite.

Per vostra informazione, nel 2020 i quattro maggiori fondi di investimento hanno totalizzato circa 22,6 biliardi di dollari, cioè 22.600 miliardi di dollari USA. Secondo voi dove risiede il potere mondiale? Alle Nazioni Unite o presso i padroni della finanza internazionale?

Tuttavia, il voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è espresso sulla base di: un paese, un voto. Va benissimo, direte voi. Ma quando si è un paese povero, è meglio fare attenzione a votare con il paese o i paesi che ci danno un qualsiasi sostegno. Altrimenti quel sostegno potrebbe scomparire rapidamente. Il potere della Francia nell’organizzazione è stato a lungo mantenuto grazie ai voti automatici delle sue ex colonie, strumento fondamentale di quella che veniva chiamata “France Afrique”, e lo stesso vale per gli Stati Uniti, la Russia, la Cina ecc. Un paese, un voto? Sì, ma per i potenti è un voto libero, mentre per gli altri è un voto vincolato, e un voto senza potere di veto non è voto con potere di veto. La Carta fondamentale viene apertamente disattesa.

Torniamo alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Oltre alla natura inaccettabile dei cinque paesi con diritto di veto, si pone il problema del mancato rispetto delle risoluzioni. Israele è uno dei casi emblematici, con il veto degli Stati Uniti ogni volta che si tratta di condannarlo per il mancato rispetto di una vecchia risoluzione. Ma ce ne sono altri: Siria, Libia, ecc.

Che peso ha dunque il popolo haitiano alle Nazioni Unite? Cosa può aspettarsi da esse? Dopo aver visto una forza internazionale dell’ONU – la Missione ONU ad Haiti (MINUSTAH) – provocare nei primi anni 2000 un’epidemia di colera che ha fatto più di 15.000 vittime, di cui l’ONU ha rifiutato di assumersi la responsabilità, e che ha lasciato nel paese una situazione ancora più precaria di quando è arrivata.

Le agenzie tecniche internazionali

UNESCO, OMS, UNICEF, BIT, FAO, ecc.: in principio sono agenzie delle Nazioni Unite, poiché appartengono ufficialmente al sistema delle Nazioni Unite. In effetti, tutte hanno una propria autonomia. Per 15 anni ho avuto il passaporto blu delle Nazioni Unite, ma non ho mai dovuto rendere conto a questa struttura. La Banca Mondiale era il mio unico datore di lavoro e ad essa dovevo rendere conto. La prova migliore di questa autonomia è che ognuna di esse ha il proprio sistema di finanziamento, le proprie risorse umane e le proprie politiche. Tuttavia, questa autonomia è relativa perché tutte sostengono la stessa ideologia neoliberista. Il funzionamento di tutte queste agenzie tecniche dipende molto di più dalle linee guida e dalle ingiunzioni del FMI che dalle dichiarazioni politiche dell’ONU. Al vertice dell’architettura globale delle organizzazioni internazionali sta il FMI, non l’ONU. Ad Haiti come altrove, in tutti i settori tecnici queste istituzioni internazionali hanno svolto le loro operazioni imponendo al paese un unico quadro di riferimento – quello dell’economia neoliberista con la sua scia di privatizzazioni in tutti i settori – e indebolendo al contempo le strutture delle amministrazioni nazionali.

Ma passiamo al cuore della macchina internazionale, le istituzioni finanziarie e commerciali.

La Banca Mondiale

Sono sempre divertito quando sento alcuni dei miei compatrioti francesi incolpare la Banca Mondiale per le disgrazie della Grecia o di qualsiasi altro paese. Come se esistesse un’entità separata, la Banca Mondiale, che opera in modo totalmente indipendente da ciascuno dei paesi industrializzati. Ma la Banca Mondiale è anche il governo francese, è la Francia, con un peso colossale in tutto ciò che riguarda l’andamento globale dell’istituzione e le sue strategie per i paesi dell’ex prefettura coloniale francese, e anche per il resto del mondo. Il direttore esecutivo per la Francia del Fondo Monetario Internazionale è anche direttore esecutivo della Banca Mondiale. Non c’è ambiguità, il sistema francese è il garante dei rispettivi orientamenti e della continuità tra le due istituzioni. Conoscete questo direttore? Avete sentito parlare di lui dai media? Mai. Conoscete che posizioni assume? Quali strategie difende all’interno di ognuna di queste due istituzioni che plasmano la nostra vita economica quotidiana? E i parlamentari, che dovrebbero essere i nostri rappresentanti, conoscono la posizione internazionale della Francia? Nemmeno loro. I rappresentanti del popolo francese conoscono per caso le strategie e il funzionamento di queste istituzioni, pilastri del sistema capitalistico neoliberista che sta plasmando il mondo? A parte qualche attivista, ovviamente no.

Il consiglio dei governatori della Banca Mondiale è composto dai ministri delle finanze dei paesi membri, e ricordo che il popolo non elegge i ministri delle finanze. Il sistema di governance comprende venticinque direttori esecutivi. Nel 2020, cinque direttori sono stati scelti da ciascuno dei cinque maggiori azionisti: Stati Uniti, Francia, Giappone, Germania e Regno Unito. Anche Cina, Federazione Russa e Arabia Saudita hanno designato un proprio direttore. Il resto dei direttori è eletto da gruppi di altri paesi membri; in Africa, un direttore rappresenta automaticamente più paesi. Si noti che sono i direttori esecutivi ad approvare i prestiti. Per esempio, 4,7 miliardi di dollari per il COVID in 54 paesi e circa 157 miliardi di dollari impegnati in quindici mesi. La Banca Mondiale elargisce prestiti con la garanzia dei suoi maggiori azionisti, tra cui la Francia che risponde per circa 400 milioni di dollari.

Per sapere cosa fa la Banca Mondiale si può andare sul suo sito web, dove si trovano le informazioni grezze, presentate in modo amministrativo, molto scorrevole. Ma se volete approfondire e avere informazioni sull’impatto delle sue azioni, vi consiglio di visitare il sito del CADTM (Committee for the Abolition of Illegitimate Debt [Comitato per la cancellazione dei debiti illegittimi, https://www.cadtm.org/, NdT]). Sarei curioso di sapere quanti eurodeputati consultano le notizie e le analisi di questo sito.

Come nel caso del FMI, i difetti politici e teorici della Banca Mondiale non possono essere dissociati dalla struttura di potere in seno all’istituzione. Gli Stati Uniti sono la principale potenza della banca, con il 15,7% dei diritti di voto, e hanno un effettivo potere di veto sulle principali decisioni politiche, grazie alla loro capacità di mobilitare gli alleati europei. Il dominio del Nord ricco è ancora in atto: i paesi ad alto reddito hanno circa il 60% dei voti, e quindi una maggioranza automatica, i paesi a medio reddito meno del 35% e i paesi a basso reddito circa il 5%. La struttura del dominio è ben consolidata. Inoltre, quando un dirigente della Banca Mondiale deve presentare un progetto al consiglio di amministrazione, si può essere certi che le domande più dure e il rifiuto di alcune componenti arriveranno dall’ufficio del direttore esecutivo dell’ex (o attuale potenza dominante nella regione geografica interessata. Non si approva un progetto in Africa occidentale con il parere negativo del direttore esecutivo francese, o in America centrale con il no degli Stati Uniti. Gli interessi delle grandi potenze sono ben protetti.

A partire dagli anni ’90, la Banca ha attuato i programmi di aggiustamento strutturale richiesti dal FMI. Permettetemi di soffermarmi un attimo sul cosiddetto “aggiustamento strutturale”. Le parole hanno un significato: si tratta di adeguare le strutture nazionali di un paese. Per gli istituzionalisti come me, la prima domanda è: adeguare le strutture per quale scopo, con quali obiettivi? La prima risposta del FMI è stata il pareggio di bilancio. Anche in questo caso, qualsiasi economista serio sarà in grado di rispondere che il pareggio può essere raggiunto aumentando le entrate, modificando il sistema fiscale, e non necessariamente riducendo la spesa pubblica. A questo punto il confronto o si blocca o diviene aggressivo; se volete ridurre i profitti del capitale aumentando la tassazione, è meglio che non ci pensiate nemmeno, poiché l’obiettivo non dichiarato è proprio quello di aumentare i profitti delle imprese private, i profitti del capitale. Ma la cosa va ancora più lontano: dietro questi aggiustamenti si nasconde infatti un cambiamento nel controllo del potere finanziario. Le strutture pubbliche danno il potere allo Stato, democratico o meno. Le strutture private danno potere al settore privato e al suo sistema di finanziamento; ovvero, danno potere alle banche. Le organizzazioni internazionali si sono rese conto che è difficile difendere pubblicamente l’espressione “aggiustamento strutturale”, e in effetti se ne è rarefatto l’uso nei media e nei documenti. Ma non sono cambiati né obiettivo né pratiche. La Grecia è ovviamente l’esempio perfetto, ma ciò che sta accadendo in Francia con i settori della sanità e dell’energia non è da meno. Gli aggiustamenti strutturali sono ancora all’opera in tutto il mondo. La Banca Mondiale rimane un patente motore, ma non l’unico: praticamente tutte le istituzioni finanziarie internazionali hanno adottato questo quadro neoliberista, ad eccezione della Cina, che utilizza altri strumenti e altri mezzi di dominio. Ad Haiti, gli aggiustamenti strutturali, con le loro condizionalità per i progetti sostenuti dalle organizzazioni internazionali, sono stati un disastro: nell’istruzione, ad esempio, che è stata privatizzata all’80%, ma anche nella sanità, o nell’agricoltura, dove i contadini poveri haitiani devono competere con le eccedenze dell’agricoltura meccanizzata e iperchimica degli Stati Uniti…

Il cervello: FMI, il Fondo Monetario Internazionale

Una funzione ufficiale del FMI è di “assicurare la stabilità finanziaria globale, la cooperazione monetaria internazionale (SDR [diritti speciali di prelievo, NdT]), facilitare il commercio internazionale (WTO [World Trade Center, organizzazione mondiale del commercio, NdT]), promuovere l’occupazione e la crescita economica sostenibile e ridurre la povertà globale”. Lo si legge sul sito ufficiale. Il merito della chiarezza non è contestabile, l’arretramento delle povertà è l’ultimo obiettivo: difficile affermare che, in 68 anni di esistenza, l’obiettivo sia stato raggiunto. Ma proprio qui sta il problema: il primo obiettivo è la stabilità finanziaria, l’ultimo è la riduzione della povertà.

Che cos’è la stabilità finanziaria? In quale contesto? Con quale obiettivo? A vantaggio di chi? Detto così, la stabilità finanziaria sembra una banalità: le risorse devono essere in equilibrio con le spese. Ma da dove provengono queste risorse? Dietro a questa domanda stanno i sistemi fiscali e di sfruttamento delle risorse naturali. Qual è lo scopo della spesa? E qui troviamo le assurdità dei sistemi di una redistribuzione non sostenibile. Come sempre, queste belle formule, che alla fine possono accontentare tutti, vogliono essere rassicuranti e persino molto umane, mentre in realtà mascherano pratiche che mantengono – o addirittura esacerbano – i rapporti dominanti/dominati.

Questa funzione di stabilità monetaria è la copertura di una strategia che è rimasta invariata dalla creazione del FMI: promuovere e garantire la stabilità e lo sviluppo del sistema capitalistico e, oggi, difenderne la strategia neoliberista. La stabilità non è prevista se non in questo unico sistema. E stabilità è proprio la parola chiave. Nelle discussioni con i colleghi del FMI, mi ha sempre colpito l’angoscia, quasi paura, alla sola idea di cambiare paradigma. Alle semplici quanto banali domande: abbiamo un solo pianeta con risorse limitate, come si può difendere un sistema basato sulla crescita permanente? Come si può difendere la perpetuazione del sistema esistente quando esso ha generato tanta povertà e disuguaglianza, e tante guerre? Quando la popolazione del pianeta continuerà a crescere, sarà necessario prevedere un’altra redistribuzione? Sono domande che fanno venire i brividi a persone che hanno tutte almeno una laurea (ma forse è proprio per questo). Rimangono senza parole o sempre con la stessa risposta: il nostro sistema funziona – male, ma funziona –, dobbiamo solo migliorarlo. Per più di due secoli, persone spesso molto intelligenti hanno cercato invano di migliorare il sistema capitalista, voi pensate di essere più intelligenti di loro? Perché rifiutarsi di pensare a un altro sistema, a un altro paradigma? Non possono! Non l’hanno mai imparato a scuola, e come possono mettere in discussione il sistema in cui vivono, che hanno imparato a riprodurre o, al massimo tentare, hanno imparato a modificare superficialmente? E in fondo, perché porsi queste domande quando tutti noi ne siamo i beneficiari?

Questo porta ad assurdità come l’aggiustamento strutturale:

ridurre al massimo i servizi pubblici per dare libero sfogo allo sviluppo privato, il cui obiettivo primario non è il bene pubblico, bensì l’aumento del profitto;

affermare che il settore privato lucrativo costa meno del settore pubblico senza fini di lucro;

continuare a promuovere i sistemi di indebitamento che sappiamo non saranno mai ripagati, ma i cui infiniti rimborsi di rendita sono una vera e propria manna per le banche private;

sostenere che il libero mercato è il miglior regolatore della vita economica;

permettere ai paradisi fiscali di prosperare, ecc…

In breve, mantenere permanentemente la relazione dominanti/dominati e riuscire a ridurre un po’ il dominio solo quando i dominati e i soffocati iniziano a ribellarsi in massa. Il tentativo di regolamentare le banche dopo la crisi finanziaria del 2007 e il ritorno alla deregolamentazione pochi anni dopo ne sono un buon esempio.

Quindi, direte voi, dobbiamo riformare il FMI. Ma con chi? Prima di rifletterci è bene soffermarsi su una delle ultime note del CADTM. Il direttore generale del FMI è assistito da un consiglio di 24 direttori esecutivi. Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone, Cina, Russia e Arabia Saudita hanno un seggio permanente nel consiglio. All’interno del FMI, gli Stati Uniti detengono il 16,5% dei diritti di voto, il che conferisce loro un effettivo diritto di veto su qualsiasi modifica dello Statuto o delle principali politiche, dal momento che questo tipo di cambiamento richiede l’85% dei voti. È chiaro che nessuna riforma del FMI è possibile se gli Stati Uniti non la vogliono! Dopo gli Stati Uniti, l’Europa è il blocco più potente del Fondo Monetario, anche se i principali paesi in via di sviluppo hanno oggi un peso maggiore nell’economia globale. I paesi fondatori dei BRICS hanno una quota di voto combinata di appena il 10,3%, rispetto al 17,6% dei quattro paesi europei. In realtà, i trasferimenti di potere di voto dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo, promessi da tempo, sono stati molto marginali, raggiungendo solo il 2% dalla creazione del FMI.

In breve, la struttura è stata ben costruita: coloro che hanno il potere, i dominanti, la mantengono; come nell’ONU e nella Banca Mondiale. In effetti, è l’architettura del sistema mondiale ad essere stata ben combinata, con il FMI a capo e le altre istituzioni che non possono sottrarsi. Quando un paese vuole ottenere prestiti o sovvenzioni dalla Banca Mondiale, deve prima fornire una moltitudine di documenti e firmare una lettera di intenti (così viene definita) con il FMI. Che cos’è questa lettera d’intenti di cui nessuno parla? È un documento con cui il paese si impegna a perseguire una politica economica approvata dal FMI. Ovviamente si tratta di una politica neoliberista, ma il più delle volte una politica di rigore di bilancio. Si noti per inciso che il legame tra FMI e Banca Mondiale è istituzionalizzato e un presidente della WTO come Wolfenson, che ha osato pensare a un potenziale scollamento tra la banca mondiale e il FMI, è stato rapidamente e con forza richiamato all’ordine. Nessuna lettera di intenti? Nessun accesso alle principali istituzioni finanziarie internazionali, e non solo alla Banca Mondiale. Solo un numero molto limitato di giornalisti dei paesi interessati si prende la briga di cercare questi documenti e di spiegare al pubblico i loro impegni. Né il FMI né i governi li pubblicano sui media. Sono sì accessibili sul web, ma solo che ne è a conoscenza può trovarli, e naturalmente quando sono già firmati.

Ancora sull’architettura del dominio

Ricapitoliamo. Il FMI decide e stabilisce le regole; la Banca Mondiale, l’AFD [Agence Française de Développement, NdT], l’UE, l’USAID [U.S. Agency for International Development, NdT], le banche di sviluppo regionali, ecc. guidano e finanziano in base alle indicazioni del FMI; le Nazioni Unite e le agenzie tecniche bilaterali compilano i dati tecnici per giustificare i finanziamenti mirati; i governi attuano i progetti; e la gente paga i rimborsi dei prestiti. È una macchina che funziona senza intoppi da settant’anni. Con strumenti molto efficaci per evitare che il sistema si destabilizzi.

La gestione delle risorse umane nelle OI

Bisogna poi aggiungere il problema della gestione delle risorse umane di tutte queste Organizzazioni Internazionali (OI).

La gestione delle risorse umane è troppo spesso considerata una materia priva di interesse, eppure è una delle chiavi principali della continuità del potere dominante dei paesi più potenti. Il livello di studi accademici richiesto per candidarsi e avere una possibilità di essere assunti in queste istituzioni internazionali è molto alto. Almeno l’equivalente di quello richiesto per gli alti dirigenti pubblici o privati di qualsiasi paese. Tuttavia, nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, i livelli di retribuzione di questi dirigenti sono generalmente bassi rispetto a quelli di un’istituzione internazionale. Il rapporto può essere di 1 a 10. Per chi è assunto da una di queste OI, l’idea di tornare a lavorare nel paese d’origine, e vedere così il proprio reddito ridursi di un decimo, o di un quinto, è molto difficile da contemplare. Soprattutto quando il paese d’origine è stato sottoposto a drastici aggiustamenti strutturali. Nei paesi del Sud del mondo, ad esempio, i gruppi dirigenti mantengono un basso profilo, applicano alla lettera le istruzioni dell’istituzione o, addirittura, le rendono ancor più radicali per ottenere un rating migliore. Non è in discussione la loro capacità di valutare problemi e distorsioni, né le loro competenze tecniche o la loro capacità di lavoro. Ma per essi, mettere pubblicamente in evidenza la pericolosità dei metodi di queste OI per il futuro del paese, significherebbe mettere a repentaglio le condizioni di vita delle loro famiglie e l’istruzione dei figli. Il risultato è che, per non mettere a rischio il sostegno ai loro paesi, applicano le politiche di austerità di bilancio del FMI e di tutte le altre OI, fino ad essere ancora più liberali dei dirigenti dei paesi dominanti.

Nel caso della Banca Mondiale, ogni anno ogni membro del personale viene valutato e il risultato di questa valutazione determina non un bonus, ma l’aumento percentuale del suo stipendio. Poiché si tratta di una banca, come in tutte le altre banche dette “di sviluppo” il livello di esborso dei progetti di cui il personale è responsabile pesa molto nella sua valutazione. L’impatto reale dei programmi viene analizzato solo molto più tardi, a posteriori, a campione, e non ha praticamente alcun impatto sulla vita degli “esperti”. Naturalmente, se il progetto è stato ben preparato con i futuri beneficiari e con i dirigenti nazionali, in risposta alle richieste di quelli, è positivo; ma sempre non è così, anzi. Per l’istituzione, invece, l’importante è erogare i progetti nelle modalità e nei tempi previsti, seguire alla lettera le regole dell’istituzione, solo così l'”esperto” può sperare di continuare la sua carriera e mantenere per sé e per la sua famiglia benefici eccezionali rispetto a quelli del suo paese, soprattutto se proviene da un paese del Sud. Con un tale sistema di gestione delle risorse umane, bisogna essere molto ingenui per credere che i dirigenti dei paesi del Sud, coloro che sarebbero nella posizione più adatta per mettere in discussione il funzionamento dell’istituzione, oseranno prendere posizione per cambiarla.

ONG e società civile

A tutto ciò si aggiunge il problema delle organizzazioni non governative (ONG) e della società civile. Conoscete un paese che si è sviluppato grazie esclusivamente all’aiuto delle ONG? Ancora una volta, la retorica sulle ONG, che le presenta come un’alternativa alle amministrazioni pubbliche inefficienti e corrotte, è un discorso ben costruito, con una storia. Quando negli anni ’90 sono stati introdotti gli aggiustamenti strutturali e le amministrazioni pubbliche sono state destrutturate e private di budget e di risorse umane consone alle loro funzioni, il vuoto doveva essere colmato. Le ONG hanno conosciuto un’ascesa fulminea nell’importanza loro attribuita dalle organizzazioni internazionali, che si sono così costruite un nuovo canale di intervento. Molte di queste ONG, vere e proprie società di consulenza mascherate, sono state create da ex dirigenti licenziati dai ministeri a causa dell’aggiustamento strutturale. Certo, esse hanno avuto l’innegabile merito di trattenere dirigenti e personale che sarebbero altrimenti emigrati; e non si può negare l’impegno, il coraggio e talvolta l’efficacia di alcune di esse, spesso le più piccole, nel sostenere popolazioni in grande difficoltà.

Tuttavia, molte di esse sono diventate macchine da profitto (se non fonti di corruzione), fondate su strategie di miglioramento dello status dei dipendenti piuttosto che sulla ricerca di risposta ai bisogni della popolazione. Trasparenza e democratizzazione interna restano ancora le sfide prioritarie per diventare efficaci strumenti al servizio della popolazione. Questo non significa negare l’assoluta necessità di sostenere la costruzione e il rafforzamento delle organizzazioni della società civile, anzi, ma a una condizione fondamentale: che siano costruite senza alcun rapporto di dominio e sfruttamento, ma secondo un processo democratico e di totale trasparenza.

Conclusione sulle organizzazioni internazionali

Riformare le istituzioni internazionali affinché si mettano realmente al servizio degli esseri umani, è un’illusione. Funzionano molto bene in relazione al loro obiettivo, ovvero mantenere e far prosperare il sistema dominante/dominato che rimane il fondamento del sistema capitalistico. La conclusione è cruda: non si cambiano le istituzioni che svolgono egregiamente il ruolo loro assegnato. Se non si è soddisfatti si va a lavorare altrove. Logico.

Non sono le organizzazioni internazionali a dover essere cambiate, ma il sistema economico globale. Come? Passando da una società capitalista globale, fondata sullo sfruttamento attraverso il dominio, a società non capitaliste, fondate su economia sociale solidale. Per formulare le proposte utili a questo passaggio, dobbiamo ancora lavorare molto. Elenco alcuni punti strategici.

Sul piano organizzativo. Torno al mio obiettivo fondamentale: un essere umano equivale a un essere umano, ciascuno con tutte le sue differenze e con il diritto inalienabile di vivere in dignità. Da qui, dobbiamo sostenere la costruzione di sistemi di rappresentanza che possano interconnettere gruppi di esseri umani, di culture e stili di vita molto diversi, ma che, tutti, ciascuno secondo le proprie dinamiche, vogliono migliorare le loro condizioni di vita. Dobbiamo tradurre, nelle organizzazioni planetarie, i fondamenti del movimento communalista [di municipalismo libertario e democrazia diretta, NdT]. Ricordo che il movimento communalista mira a mettere l’abitante al centro della politica, con una democrazia costruita a livello di base attraverso organizzazioni orizzontali senza gerarchie punitive. In questo modo, è in linea con la bandiera dei rivoluzionari del 1804 ad Haiti: tout moun se moun, un essere umano equivale a un essere umano. Per questo movimento, la democrazia non si riassume in elezioni periodiche: si costruisce giorno per giorno, attraverso l’identificazione congiunta dei problemi, la ricerca di soluzioni immaginate dall’intelligenza collettiva senza escludere gli specialisti, la co-gestione della messa in opera e la co-valutazione dei risultati; è una dinamica permanente alla quale partecipano tutti coloro che sono implicati e interessati. Questo non esclude i rappresentanti, o meglio i delegati, il cui mandato è co-costruito dagli interessati ed è un mandato imperativo, cioè se non viene rispettato nel processo, comporta la possibilità della sostituzione immediata. La democrazia è una dinamica viva e quotidiana per tutti. Il movimento mira a restituire il potere politico al popolo, a tutto il popolo, prima a livello dei comuni, poi ai vari livelli regionali, nazionali e persino internazionali, costruendo federazioni e confederazioni;

Sul livello finanziario, promuovere sistematicamente la trasparenza. LA GESTIONE DEL DENARO PUBBLICO DEVE ESSERE PUBBLICA. Nessuna delle organizzazioni internazionali e praticamente nessuna ONG pubblica sui media i dettagli dei bilanci dei propri progetti in linguaggio comprensibile alle popolazioni coinvolte. Ma con gli strumenti informatici questo è possibile e persino molto facile.

In termini finanziari, anche se lo sfruttamento di alcuni da parte di altri fosse vietato, come possiamo costruire un sistema di perequazione che permetta ai più vulnerabili di avere accesso ai beni e ai servizi di base per vivere dignitosamente?

Per tutti coloro che lavorano o vogliono lavorare nelle organizzazioni internazionali o nelle ONG: il cambiamento non avverrà domani, ma richiederà molto tempo. In ogni caso, non dimenticate mai che l’avvio di un’operazione o di un progetto deve sempre partire dall’ascolto della domanda reale di chi vuole una vita migliore; imponente alle vostre istituzioni questo primo passo dovrà. Assicuratevi che le vostre operazioni si inscrivano nelle strutture vitali e sostenibili del paese. Assicuratevi che i beneficiari siano pienamente coinvolti negli organi decisionali e di controllo delle operazioni. Garantire la totale trasparenza delle spese. Questi sono solo alcuni dei punti per cui dovrete lottare e che contribuiranno a creare un futuro più equo.

Piuttosto che passare molto tempo a criticare ciò che già esiste e a cercare di riformare l’irriformabile, mi sembra che abbiamo molto lavoro da fare per costruire i nuovi strumenti di un sistema non capitalista, un sistema che serva gli esseri umani e non al servizio della crescita dei profitti. Un sistema fortemente e apertamente dichiarato come tale.

Conclusioni

Colonia spagnola, colonia francese, occupazione americana, e infine le organizzazioni internazionali che trasmettono la continuità imperialista neoliberale, cambiano gli strumenti, cambiano anche le denominazioni, ma la strategia rimane la stessa: sottomettere e sfruttare le popolazioni a vantaggio del capitalismo globalizzato. Forse le mie divagazioni sul funzionamento delle organizzazioni internazionali sono state troppo lunghe, tuttavia mi paiono essenziali per far comprendere come Haiti – e tanti altri paesi – continui ad essere vittima di questo sistema globale. Non possiamo certamente ignorare il ruolo delle élites economiche e politiche nazionali, che hanno preferito diventare parte integrante di questo sistema di predazione piuttosto che difendere il popolo haitiano, ma la responsabilità delle potenze internazionali resta decisiva in questa apocalisse che dura da secoli.

La responsabilità internazionale è inequivocabile. Lo dimostro in pochi punti.

– Lotta alla corruzione, inesistente. Al contrario, le banche straniere ricevono denaro sporco senza alcun controllo reale e, soprattutto, senza rendere pubblici i nomi dei corrotti e dei corruttori.

– Haiti non produce armi. Le armi utilizzate dalle gangs, per decenni, e ancor più oggi, provengono principalmente dal traffico con gli Stati Uniti.

– La droga è una necessità per la pace sociale nelle più grandi città statunitensi, e nel suo percorso dall’America Latina deve transitare per un paese vicino agli Stati Uniti: è pubblicamente risaputo che da almeno tre decenni passa in gran parte per Haiti. Nessun controllo marittimo, pochissimo controllo aereo, un’amministrazione fallimentare: Haiti è un paese ideale per i trafficanti di droga, proprio come la Guinea Bissau svolge questo ruolo in Africa per i paesi dell’UE. Questo genera corruzione diffusa e molto denaro sporco, condizione che ha giocato un ruolo importante nella destabilizzazione politica ed economica del paese, e continua a farlo.

– Nessuno sforzo per sostenere un processo democratico, nemmeno la sua caricatura. Ad Haiti, negli ultimi 15 anni, gli USA hanno ufficialmente falsificato il primo turno delle elezioni per eleggere il loro favorito: il cantante Martelly. La “comunità internazionale” ha assistito senza batter ciglio alla scomparsa delle elezioni comunali, di quelle per i deputati e poi dei senatori, e dopo l’assassinio del presidente della repubblica ha acconsentito alla nomina di un primo ministro con un tweet del rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite ad Haiti. Caso unico al mondo. E ora osano chiedere le elezioni in un paese in fiamme e sanguinante sotto il controllo delle bande.

– Organizzazione della fuga dei cervelli e delle forze motrici del paese, di coloro cioè che potrebbero e dovrebbero lottare per migliorare la situazione politica ed economica. Lasciare la porta aperta agli emigranti è una cosa, ma organizzare deliberatamente la loro partenza in massa con programmi ufficiali è cinico oltre ogni dire. Come nel caso dei programmi dell’UNESCO all’inizio del periodo del duvalièrisme, o di quello degli Stati Uniti e del Canada che hanno distribuito visti ai dirigenti, sia dopo il terremoto del 2010, sia ancora quest’anno e l’anno scorso con il programma speciale “Biden visas”. Si tratta, ogni volta, di migliaia e persino decine di migliaia di persone formate ad Haiti con risorse haitiane, che mettono a disposizione le loro capacità intellettuali o la loro forza lavoro per arricchire i paesi del Nord. E i rappresentanti di questi paesi, Stati Uniti e Canada, osano poi lamentarsi delle deboli capacità organizzative del paese. Machiavellismo allo stato puro.

Corruzione, armi, droga, manipolazioni elettorali, saccheggio delle risorse umane, ecc. Non importa andare a cercare il potenziale saccheggio di qualche risorsa naturale per descrivere ciò che la storia – se imparziale – dovrà descrivere, ovvero il ruolo attivo dei paesi del Nord nella discesa all’inferno di un intero popolo. I popoli del cosiddetto Occidente, che indulgono a una diffusa sotto-informazione, non si rendono pienamente conto che l’Occidente si sta scavando la propria fossa, anche a causa della tragedia di Haiti e di molti altri paesi del Sud del mondo. Sostengono di essere democratici e quindi collettivamente responsabili di ciò che i loro governi fanno in loro nome, ma ciò che stanno facendo da diversi decenni, o addirittura da secoli nel caso di Haiti, non solo scatena critiche pesanti, ma costruisce una dinamica di odio nei paesi sfruttati. Le conseguenze potrebbero pesare molto sul futuro di quella che erroneamente chiamiamo civiltà occidentale, il cui futuro sembra sempre più compromesso dagli errori di un imperialismo devastante che si presenta con le vesti di una falsa democrazia.

 

Cosa possiamo fare?

Innanzitutto, dobbiamo denunciare i meccanismi attualmente all’opera. Non dobbiamo permettere che questo accada! Quando possiamo, dobbiamo sostenere coloro che stanno lavorando nel paese per costruire una vera democrazia.

* Traduzione dal francese di Ilaria Agostini.

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Christian Fauliau

Christian Fauliau, economista, ha lavorato ad Haiti, in Burkina Faso e Costa d’Avorio. Assunto dalla Banca Mondiale negli anni ’90, sarà pensionato anticipatamente a causa di divergenze con l’istituzione. Oggi è consulente indipendente per alcune organizzazioni internazionali (UNESCO, UE, FIDA ecc.)

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