Uguaglianza di genere: lo dice l’ONU, ma interessa a qualcuno?

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“Gli obiettivi di giustizia intersezionale e parità di genere potranno essere raggiunti solo se tutte le donne e le persone LGBTIQ+ saranno incluse come parte di un vasto movimento femminista intersezionale radicato nella universalità ed indivisibilità dei diritti umani.

Organizzazioni e sostenitori e sostenitrici del femminismo e dei diritti delle donne, dovrebbero spingere ulteriormente  ed agire collettivamente per proteggere e promuovere la parità ed i diritti delle persone LGBTIQ+, nella consapevolezza che tutti i diritti umani avanzeranno o arretreranno insieme.”

Queste le frasi finali del comunicato titolato Comunità LGTIQ+ e azioni e reazioni anti diritti: 5 cose da sapere, pubblicato Il 28 maggio sul sito unwomen.org.  UN Women è l’organizzazione dell’ONU per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne.

Siamo curiose di vedere quanto risalto verrà dato al documento da parte degli organi di informazione.

Nel lungo comunicato si sottolinea come, nonostante le tante conquiste degli ultimi decenni in termini di diritti per le donne e le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, inter Sex e queer, sia ancora estremamente attivo un ampio e potente movimento di opinione e politico che, con argomentazioni che variano secondo i diversi contesti, cerca di far arretrare i risultati ottenuti e continua nella discriminazione e persecuzione legale.

Si stima che circa due miliardi di persone vivano in contesti nei quali le relazioni omosessuali consensuali sono considerate reato, in almeno 42 paesi le relazioni tra donne sono perseguite per legge e in particolare le donne transgender sono pesantemente discriminate e criminalizzate.

Dove i diritti sono stati conquistati a prezzo di lunghe e dure lotte sussistono movimenti che tentano, tramite propaganda d’odio e disinformazione, di mettere in pericolo i diritti e la vita stessa di persone LGBTQI+; il testo individua 5 ambiti di minaccia ai diritti.

La crescita transnazionale di movimenti anti diritti.

Approfittando dell’instabilità economica, sociale e politica e delle conseguenti insicurezze,  si sono rafforzate tentazioni reazionarie e attacchi alle minoranze. I crimini d’odio nei confronti di persone LGBTIQ+ sono in aumento sia negli USA che in Europa. Storicamente le società più reazionarie hanno tentato di fermare qualunque progresso in termini di diritti di donne e comunità queer in quanto attentatori ai “valori familiari” e in definitiva minacce alla civiltà stessa.

I movimenti giocano sugli stereotipi e sulla generazione d’ansia.

Spesso nella propaganda “anti gender”  si fa ricorso ad argomentazioni medicalizzanti, si parla di malattie mentali, si insinua il timore per la perversione rivolta in particolare ai più giovani, esposti a teorie che potrebbero “corromperli e sessualizzarli” e con questo spesso si riesce ad eliminare i percorsi di educazione sessuale ed affettiva nelle scuole, rendendo più semplice perpetrare stereotipi e falsità allo scopo di identificare le persone queer come soggetti pericolosi per la comunità; questo ha contribuito a contaminare anche l’azione legislativa dando argomenti ai politici di tutto il mondo per ostacolare il trattamento delle disforie e l’affermazione dell’identità di genere dei bambini e delle bambine trans.

I diritti LGBTQI+ sono (surrettiziamente) incuneati all’interno della narrazione di “culture war”.

Molta informazione e politica ha nel tempo trattato i diritti come mera questione generazionale e parte della “culture war”, spingendosi a descrivere le conquiste LGBTQI+ come minacce ai diritti delle donne; anche una parte del movimento femminista ha, anche con grande visibilità, sposato questa visione. Queste divisioni hanno contribuito all’arretramento di politiche su diritti e salute sessuale e riproduttiva, di educazione sessuale ecc.

Le organizzazioni LGBTQI+ e di difesa dei diritti umani sono state definanziate e escluse dagli spazi pubblici.

La Association for Women’s Rights in Development (AWID) riporta un incremento del 50% delle donazioni da privati alle associazioni “anti gender” e un calo delle donazioni a associazioni per i diritti. Anche i governi hanno diminuito in misura consistente i fondi e hanno reso più difficoltoso l’accesso alle risorse residue. Operare in associazioni per i diritti LGBTIQ+ è diventato sempre più complicato e difficile negli ultimi dieci anni: sono diventati più frequenti arresti, molestie, brutalizzazioni e omicidi. Il numero di persone LGBTQI+ in posizione di potere è praticamente nullo e le difficoltà poste ne rendono sempre più improbabile l’aumento.

Lavorare per i diritti delle persone LGBTIQ+ è indivisibile dal lavorare per i diritti delle donne e per la parità di genere.

La conclusione è quindi un auspicio di superamento di sospetto e mancanza di collaborazione tra movimenti per i diritti nella comune ricerca di una società più sicura e più giusta.

 

 

 

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