Disertare è un atto collettivo e politico. Il manifesto delle/degli ingegneri disertori

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Chi siamo?

Nel contesto di distruzione della vita e delle strutture sociali da parte di un’élite tecnocratica che concentra nelle sue mani potere e ricchezza, noi ingegner* capiamo che con le nostre attività contribuiamo ad aggravare i disastri ambientali e sociali in corso. Attraverso la nostra posizione sociale contribuiamo anche a perpetuare i sistemi di dominio che governano le nostre società.

Abbiamo deciso, quindi, di non partecipare più a questa farsa. Stiamo abbandonando le nostre professioni, i nostri studi, le nostre posizioni, per poterci organizzare al di fuori dei sistemi che ci hanno plasmato e al di fuori di questa bolla.

Siamo impegnat* in molti modi in lotte ecologiche e sociali. È all’incrocio di queste specificità, come ingegner* e come attivist*, che vogliamo agire.

Noi, disertor* felici (Désert’heureuses), ci rifiutiamo di continuare a robotizzare, meccanizzare, ottimizzare, informatizzare, accelerare e disumanizzare il mondo.

Perché disertare?

Prendiamo atto del numero crescente di coloro, anche tra di noi, cui sfugge il senso di ciò che fanno, che si sentono talmente a disagio nel lavoro o negli studi da giungere a volte al burn-out o addirittura al suicidio. Abbiamo deciso allora di liberare un po’ di tempo per capire le ragioni di questo disagio, di riunirci per analizzarne le origini.

Poiché abbiamo disertato e ci siamo uniti alle lotte e alle pratiche alternative nei confronti delle stesse industrie che ci hanno formato, abbiamo potuto intravedere fino a che punto la funzione di ingegnere è indispensabile al funzionamento del sistema capitalista ed estrattivista che devasta l’ambiente e riproduce le disuguaglianze sociali.

Durante gli studi ci viene insegnato che la scienza e la tecnica sono neutre e apolitiche, e che le leggi dell’organizzazione economica e tecnica delle nostre società vi sono integrate: le leggi della crescita, del progresso e dello sviluppo industriale, della soluzione di tutti i problemi attraverso tecniche sempre più complesse.

Nella nostra formazione o nelle nostre professioni non ci è mai stato chiesto di mettere in discussione la validità di queste leggi, e ci mancano completamente gli strumenti di analisi politica e sociale per farlo. È quindi facile per noi chiudere gli occhi sull’impatto reale dei nostri progetti e convincerci che ciò che stiamo facendo contribuisce al benessere collettivo.

Siamo ingranaggi di un complesso sistema di dominio:

– un sistema di classe che ha confiscato le conoscenze tecniche necessarie all’organizzazione delle nostre società e le ha messe nelle mani di élite tecnocratiche, che ha separato chi pensa i sistemi tecnici da chi li realizza o li utilizza;

– un sistema patriarcale e razzista che concede autorità e potere decisionale principalmente a maschi bianchi, e che si riproduce per mezzo di un insieme elitario di scuole di ingegneria che conducono soprattutto maschi bianchi a tali posizioni di autorità e potere;

– un sistema coloniale che organizza l’accaparramento e il saccheggio delle risorse nei paesi non occidentali attraverso la progettazione e la gestione di reti globali di trasporto di materie e di conversione di energia, rendendo, in più, le popolazioni interessate dipendenti da queste infrastrutture.

Siamo stat* rinchius* in una bolla tecnicista che ci ha consentito di costruirci intorno solide mura di negazione. Ebbene, noi Désert’heureuses abbiamo deciso di abbattere queste mura.

Quali diserzioni?

Ci rivolgiamo a tutt* le/gli ingegneri, tecnic*, ricercator*, a tutt* coloro che dubitano, si interrogano e criticano le implicazioni delle loro attività e il loro ruolo essenziale nell’industria.

Disertare per noi significa darci i mezzi per fare un passo indietro, per incontrarci e condividere le nostre esperienze in modo da non essere più soli di fronte alle incongruenze di questo mondo.

Disertare, per noi, non significa solo abbandonare tutto individualmente: le/i Désert’heureuses intendono rendere collettivo e politico questo atto per renderlo desiderabile e più affrontabile, fornendo di che proiettarsi nel “mondo esterno”. Esplorare il possibile, uscire dai vicoli ciechi che ci vengono offerti dalle aziende e dalle industrie, inventare altri modi di agire, di esistere e di realizzarsi.

Vogliamo essere un ponte tra il “mondo delle/degli ingegneri” e quello delle lotte e dei luoghi che sfuggono alla morsa del mondo commerciale, e dove si coltiva il mutualismo, la solidarietà, l’interdipendenza e l’arte di cavarsela. Perché solo unendoci a queste pratiche di condivisione abbiamo potuto intravedere le molteplici possibilità di vivere e organizzarci al di fuori delle logiche capitalistiche.

Alcune conoscenze e competenze dovranno essere abbandonate. Altre ci permetteranno di capire l’obbiettivo della nostra critica, oppure potranno essere deviate e messe al servizio delle lotte. Vogliamo apprendere e partecipare ai vari modi di coltivare l’autonomia e le alternative, e avviare il necessario smantellamento delle industrie distruttive.

Siamo consapevoli della relativa facilità di disertare in relazione alle situazioni di ciascun*. Probabilmente siamo i più facilitat* ad attuare quest’ipotesi e crediamo che i freni siano talvolta più psicologici che materiali o finanziari.

Faremo tutto questo con la consapevolezza delle nostre appartenenze etniche, di genere o di classe, dei privilegi o delle oppressioni che ne risultano e che possiamo, nostro malgrado, contribuire a mantenere. Attraverso il nostro modo di organizzarci, come anche attraverso le nostre azioni, vogliamo lottare contro queste oppressioni sistemiche.

Ritroviamoci dunque e diamo vita ad una rete di cittadin* che disertano, hanno disertato o diserteranno, che pensano e creano fuori dal sistema pur recitando la loro parte al suo interno, o che vogliono solo esistere e agire al suo esterno. Impegniamoci dunque ad essere un ponte che consenta ad altri di liberarsi dalle catene del capitalismo tecnocratico e, soprattutto, facciamolo divertendoci!

Il manifesto delle e dei Désert’heureuses

(traduzione dal francese di D.V.)

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