“Campamento climatico” dei popoli contro il terricidio: l’esperienza di un’attivista italiana

«Sono Marta Cassan, sono un’attivista di NUDM e partecipo all’assemblea transterritoriale “Terra Corpi territori spazi urbani, antispecista transfemminista, NUDM Roma”, dove vivo attualmente. Ho vissuto all’estero per 22 anni sono tornata da 3 anni in italia. Ho sentito la forza di NUDM che si stava lanciando, sono tornata a pochi mesi dalla manifestazione del novembre 2016. Ho cominciato a mettermi in contatto con loro e partecipare. Mi ha spinta l’aver affrontato la violenza di genere come una violenza strutturale, che ci colpisce in tutto il nostro agire quotidiano, una violenza esercitata da un sistema patriarcale e capitalista.

Nella narrazione sulla violenza, sull’educazione e sulla formazione economica abbiamo anche incluso la riflessione sulla violenza ambientale e come questa relazione di dominio si esplichi e colpisca rispetto alla necessità del sistema capitalista di riprodursi, imponga binarismi (maschio/femmina, bianco/nero, etero/non etero, abile /disabile) di oppressione che ci costringono all’affermazione dell’autodeterminazione dei corpi e all’autogestione degli spazi.

Questo mi è sembrato un approccio attento, trasversale e internazionalista. Queste sono le tematiche forti e di genere che mi hanno spinta qui. Quello che porto a casa dopo l’esperienza del campamento climatico dei popoli contro il terricidio è il dialogo che si è creato ancora una volta, relazioni in un contesto in cui popoli da diversi paesi, contesti e culture, tradizioni, pratiche totalmente diverse, situate sia nel nord che nel sud del pianeta.

Si è lanciato il movimento dei popoli contro il terricidio e c’è stata molta forza. Il fatto che il campamento sia stato organizzato dalle Mujeres por el Buen Vivir è in sé un atto di forte autodeterminazione: non dimentichiamo che le donne indigene e afrodiscendenti vivono la colonizzazione e il patriarcato del sistema del capitale ma anche il patriarcato nelle loro comunità. La costruzione di questo campamento è stato difficile: per la luce elettrica hanno dovuto fare una lotta con la compagnia per far arrivare un cavo di alta tensione fino al luogo del campamento, sulle rive del fiume che, col progetto La Elena inonderebbe i territori.

Abbiamo costruito tutto, pure il forno per il pane e le docce calde col sistema di stufe a legna. Tutto questo con le difficoltà di trasporto. Le sedie ce le siamo caricate dalla strada sterrata in alto che portava al paese. Hanno partecipato donne da tantissime comunità da nord a sud; per loro questo viaggio è stato lunghissimo, ore ed ore di pullman per prendere la parola e raccontare le loro storie. La mamma di Ismael Ramirez, tredicenne ucciso dalla polizia mentre raggiungeva la casa della zia, ha parlato dell’assassinio di suo figlio e di come questo l’abbia spinta a parlare – il ragazzino, dopo un presunto saccheggio ai danni di un supermercato, è stato colpito al petto e il poliziotto che lo ha ucciso è ancora libero per le strade di Sáenz Peña. Tutte le donne hanno raccontato con rabbia, con dolore, con forza e determinazione il loro vissuto, ma anche le storie di lotta, la voglia di costruire rete tra noi per far si che sia un lavoro in divenire nel tempo, un compromesso tra le persone che si sono incontrate.

Il 6 marzo le Mujeres Indigenas por el Buen Vivir porteranno una carta alla Ministra delle pari opportunità per chiedere al presidente Fernandez un incontro. Sarà la prima volta che le donne del movimento entrano dalla porta principale, il primo incontro ufficiale col governo. Poi ci sarà la marcia dell’acqua, tema centrale di tutte le discussioni: dalla desertificazione delle terre del nord dell’Argentina alle miniere che inquinano l’acqua, dalle idroelettriche che vogliono costruire dighe, etc. Il 22 marzo la marcia arriverà a Buenos Aires. Le assemblee per l’acqua stanno facendo un gran lavoro in questo senso.

Faccio un appello: venite a vedere cosa lascia la monocoltura, che scorie lasciano le miniere, come si vive, venite a vedere la criminalizzazione e la repressione, venite a vedere la denutrizione, ma venite soprattutto a vedere la forza con cui vogliamo essere guardian* di questi territori. Territori che non ci appartengono, come rimarcano le indigene: non ci può essere proprietà su questa terra da parte degli esseri umani, è il territorio che vive nei corpi di tutte le forme di vita, animali umani, non umani, nello scorrere dell’acqua, nei minerali. Un invito è quello di assumersi delle responsabilità. Tutte le popolazioni indigene espongono i loro corpi e pagano con la vita le pratiche di resistenza, stanno difendendo la terra dalla violenza del sistema capitalista. Noi, le persone che vivono in occidente, dobbiamo assumerci la responsabilità di lottare contro questo sistema e per affermare una alternativa reale».

*Marita Cassan in Eco Internazionale