TTIP, i riflessi negativi sulla democrazia (anche locale)

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STOP_TTIP_LogoIl TTIP (accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti), così come il CETA (accordo commerciale Canada Europa), sono gli esempi più significativi di come oggi si stiano negoziando le politiche commerciali e di investimento in modo antidemocratico e nel solo interesse di grandi aziende. Questi negoziati sono in corso o portati in fondo segretamente, con pochissime informazioni disponibili per il controllo pubblico, consentendo alle lobby aziendali come BusinessEurope (la principale federazione dell’industria a livello europeo, presieduta da Emma Marcegaglia, toh, chi si rivede!) di esercitare una sempre maggiore influenza su di essi.

Dai pochissimi documenti trapelati sul TTIP (il mandato a negoziare del giugno 2013 e una bozza di testo pubblicata dal settimanale tedesco DIE ZEIT il 27 Febbraio 2014) emerge che se dovesse andare avanti la trattativa su queste basi, grazie al tentativo di “armonizzazione” transatlantica, si ridurrebbero gli standard di salute e di sicurezza, si forzerebbero i diritti sociali e dei lavoratori in una corsa verso il basso, sarebbe minata l’autorità dei governi nazionali e locali che impediscono pratiche commerciali pericolose come il fracking o l’uso di OGM e si indurrebbe la vendita di servizi pubblici essenziali. Per di più, le multinazionali avrebbero diritto esclusivo di citare prioritariamente in giudizio i governi tramite tribunali internazionali indipendenti dai sistemi giuridici nazionali ed europei (strumento denominato ISDS, all’interno del TTIP).

Queste politiche sono strettamente legate al progressivo smantellamento degli standard sociali e alla spinta alla privatizzazione dei servizi pubblici, in nome delle politiche anti-crisi e per aumentare la competitività all’interno dell’UE e della zona euro, che segnano pesantemente anche gli ultimi interventi legislativi promossi dal governo italiano (su tutti lo “Sblocca Italia”, in attesa della prossima legge di stabilità).

Gli accordi dovrebbero avere un impatto anche in altri paesi al di là degli attuali membri UE, USA e Canada. Il TTIP è esplicitamente negoziato per fissare standard globali futuri, in particolare nel settore dei diritti degli investitori. Un’ulteriore apertura dell’UE agli OGM, o al fracking attraverso questi accordi avrebbero forti ripercussioni nei paesi limitrofi.

Come descritto efficacemente da Alessandra Algostino in un intervento ad un incontro organizzato da Attac Torino e in un articolo dello stesso tenore, l’attacco ai principi di base della democrazia in Europa avviene su più fronti.

Innanzitutto la segretezza dei negoziati lede il diritto dei cittadini, singoli ed in forma associata, all’informazione e alla trasparenza del processo decisionale, nel senso indicato dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ma la segretezza è aggravata dall’estensione anche nei confronti del potere legislativo: non solo i cittadini dell’Unione, ma lo stesso Parlamento europeo è tenuto all’oscuro.

Il trattato, inoltre, è negoziato fra esperti della Commissione dell’Unione europea e del governo degli Stati Uniti che hanno competenza sul commercio, dunque, all’interno del potere esecutivo. L’Unione europea si è attribuita da parte sua l’intera procedura di negoziazione. Quando la competenza è esclusiva il Trattato fondativo dell’Unione stabilisce che «solo l’Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti» e «gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione». Ma in realtà le materie potenzialmente oggetto del trattato vanno oltre le competenze dell’Unione e sono in grado di incidere sia su normative statali (o regionali), sia sulla tutela di diritti fondamentali garantiti nelle costituzioni, come il lavoro, la salute, l’ambiente. Quindi il TTIP è un accordo destinato ad incidere pesantemente su materie oggetto di norme adottate dal potere legislativo (statale e comunitario): la conseguenza è che lo spazio proprio dei parlamenti e dei consigli territoriali viene massicciamente invaso.

C’è poi l’aspetto della deregolamentazione. Il TTIP si inserisce nelle politiche, adottate a partire dagli anni Ottanta e accelerate negli ultimi anni, che vanno nel senso dell’abbattimento di regole per una maggiore libertà e apertura dei mercati. L’apertura al mercato riguarderebbe anche i pubblici servizi, con le evidenti ricadute sulla tutela di diritti sociali, primo fra tutti quello alla salute. Si aprono nuovi mercati per i privati, secondo l’unico principio della competitività, senza interventi statali ma dove le commesse sono pagate con soldi pubblici.

Infine, c’è lo strumento dei sistemi di risoluzione delle controversie fra investitore e Stato (Investor-State Dispute Settlement – ISDS). Questi sono già previsti da numerosi accordi internazionali di libero scambio, e si contano, fra il 2008 ed il 2012, 214 cause (note) in tema. In un interessante documento elaborato da Attac Torino, si evidenzia come l’ISDS darebbe alle multinazionali nuovi poteri per denunciare le politiche volte a tutelare il pubblico interesse, riportando casi già accaduti, sulla base di trattati bilaterali di investimento: il gigante Usa del tabacco Philip Morris che cita in giudizio sia l’Uruguay sia l’Australia per le loro leggi anti-fumo; la multinazionale svedese dell’energia Vattenfall che cita in giudizio il governo tedesco, chiedendo 3,7 miliardi di euro di risarcimenti per mancati profitti relativi a due suoi impianti nucleari, in seguito alla decisione del governo tedesco di abbandonare la produzione di energia nucleare dopo il disastro di Fukushima; l’americana Lone Pine che pretende dal Canada un risarcimento di 191 milioni di dollari dopo che la provincia canadese del Quebec aveva imposto una moratoria sul “fracking” , preoccupata per i gravi rischi ambientali di quella nuova tecnologia di estrazione di gas o petrolio dalle rocce. Lo scavalcamento delle giurisdizioni nazionali è avvenuto anche per i servizi pubblici locali: quando decise di congelare le tariffe dei servizi pubblici (energia, acqua) negli anni 2001-2002, l’Argentina fu raggiunta da ben 40 denunce di grandi imprese tra le quali: CMS Energy (US), Suez e Vivendi (Francia), Anglian Water (UK) e Aguas de Barcelona (Spagna).
Possiamo quindi liberare l’immaginazione: se il Parlamento italiano approvasse la legge d’iniziativa popolare sull’acqua, dando così seguito all’esito referendario del giugno 2011, a Trattato vigente potrebbe essere chiamato in causa da qualsiasi multinazionale fosse interessata alla gestione del servizio idrico. Lo stesso varrebbe per ogni altro servizio pubblico, dalla scuola alla salute.

Quindi occorre fermare il TTIP, come gli analoghi trattati commerciali, perché ciò significa riaffermare i diritti sociali e riconoscere i beni comuni come diritti umani universali. Significa dire “basta” alle politiche di privatizzazione portate avanti dai governi nazionali, dall’Unione Europea e dagli Usa, all’unico scopo di consegnare i beni comuni e i servizi pubblici ai profitti delle multinazionali. Su questa scia nel nostro piccolo si inserisce il decreto “Sblocca Italia” e la deriva che contiene in termini di cessione di sovranità popolare e impedimento all’accesso universale a beni, servizi e diritti che garantiscono la dignità delle persone e costituiscono il tessuto che permea la vita sociale delle stesse.

Oggi, una coalizione europea contro il TTIP che raccoglie attori diversi per natura e paese di provenienza ha lanciato un appello per due giornate europee di azione l’11 e 12 ottobre, contro i negoziati in corso per il TTIP, il CETA e altre politiche commerciali e di investimento (ad esempio il TISA, Trade in Services Agreement, accordo che si pone l’obiettivo di eliminare tutte le leggi nazionali che sono considerate come “ostacoli” al commercio dei servizi in ambito finanziario).

Obiettivi della giornata di azione sono fare opposizione contro le attuali politiche commerciali e di investimento esemplificate nei TTIP, CEAT, TISA, che oltretutto non sono pubblicamente visibili e verificabili; informare il grande pubblico sulla minaccia rappresentata da questi accordi e incoraggiare le persone ad agire; aumentare la copertura dei media di opposizione pubblica contro questi accordi e far crescere la pressione pubblica, in particolare sui partiti politici e i governi che vacillano o si rifiutano nel prendere posizione contro di essi.

Anche a Firenze avremo dimostrazioni, azioni mediatiche, incontri pubblici, manifestazioni, come in centinaia di città europee. E non finirà lì, perché questo sarà solo un passaggio di un lungo percorso, in cui ciascuno inserirà la parola d’ordine no al TTIP nella propria azione di movimentazione sociale.

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Roberto Spini

Roberto Spini, del Forum toscano dei movimenti per l'acqua, è un attivista di Attac Italia e di perUnaltracittà

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