Sull’uso dei fatti di Massa da parte della Regione Toscana per appesantire il controllo repressivo sui dipendenti

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A volte si deve ribadire che esiste un confine che non può essere oltrepassato. Quando le parole non bastano, quando la ragione non trova ascolto, è necessario dire NO in modo secco e deciso. Non si può esitare. Esiste una soglia insuperabile, quella oltre la quale il “datore di lavoro” nega il rispetto e la dignità che è insita in ogni essere umano, in ogni lavoratore. Stiamo parlando del rispetto dell’umanità delle persone, qualcosa che esiste prima di ogni contratto. E’ la premessa di qualsiasi relazione sociale che non sia di alienazione e annichilimento della nostra umanità.

Nessuno può negare che un lavoratore è prima di tutto una persona, prima ancora di essere un lavoratore. E come tale ha un valore assoluto, non economico, un valore di esistenza, per il puro fatto di esistere, non per la sua utilità o tanto meno per la sua attitudine ad essere sfruttato (cioè sottopagato come siamo noi) e spremuto per gli interessi (economici e politici) di altri.

Quello che sta succedendo qui, la paura che serpeggia, non è un caso. I fatti di Massa vengono utilizzati esattamente per quello per cui le norme Madia (e quelle Bongiorno) sono state predisposte: umiliare i dipendenti pubblici, ridurli a bambini da punire e zittire, renderli ridicoli chiamandoli furbetti e fannulloni, impedire che siano il traino delle rivendicazioni per i diritti di tutti i lavoratori (in particolare di quelli con meno diritti), impedire che pretendano paghe adeguate al del lavoro che fanno.

Il permesso personale di 36 ore serve per fare commissioni personali, non certo per assolvere a bisogni fisici come andare al bagno, bere acqua, mangiare una caramella o un panino e bere un caffè. Perché? Perché sono pratiche necessarie alla vita che richiedono pochi minuti, esattamente come alzarsi dalla sedia almeno ogni due ore perché il sangue circoli e sospendere il lavoro al computer. Ricordando che ogni due ore chi utilizza il computer deve interrompere per un quarto d’ora l’uso del videoterminale, certo può fare un altro lavoro, ma questo segna il fatto che non siamo macchine ma umani e che l’interruzione fa parte dell’orario di lavoro. Tuttavia proprio chi dovrebbe assicurarsi che siano prese queste precauzioni necessarie alla nostra salute si dimentica che non siamo macchine. E il rispetto se non viene riconosciuto va preteso.

Ognuno paghi per le sue colpe, non per quelle degli altri

I fatti di Massa, (i colleghi che sono accusati di non aver timbrato in modo corretto, innocenti fino a verifica di prova contraria), sono fatti specifici da analizzare nella loro specificità: prima di tutto la giustizia sommaria non è propria di uno stato di diritto. Quando i potenti hanno per caso un loro amico inquisito o rinviato a giudizio gridano contro il giustizialismo, chiedono garantismo. Nessuno lo fa per i dipendenti pubblici di cui si presume la colpevolezza. Esistono tre gradi di giudizio in Italia per quasi tutti i reati, proprio per poter valutare la consistenza e la credibilità delle accuse. E’ veramente incredibile che timbrare in modo scorretto sia uno dei pochi reati che prevede l’arresto. Quasi mai lo stupro, mai l’omicidio, derubricato a colposo, dei lavoratori sui posti di lavoro, mai l’evasione fiscale da 180 miliardi di euro all’anno (anzi si fanno condoni e pace fiscale).

A chi pensa che bere un caffè in un bar interno non sia da fare in orario di lavoro, che vorrebbe un lavoratore che non interrompe mai il suo lavoro, ricordiamo che ogni tanto invece si deve interrompere il fare per pensare e verificare quello che si sta facendo, per porsi delle domande sui risultati e su come potrebbero essere migliori. E questo lo si può fare camminando, facendo le scale e bevendo il caffè. Theodor Adorno scrive (in Minima Moralia, meditazioni sulla vita offesa) che quello che è da temere è la cieca furia del fare, l’aumento della produzione in direzione di uno sviluppo in una sola direzione dominato dalla quantificazione, ed ostile alla differenza qualitativa.

Proprio la qualità deve diventare il fulcro della PA e non il fare senza sosta e senza pensare.
Come si fanno lavorare le persone? Rispettandole, gratificando (soprattutto economicamente) le loro capacità e competenze, rispettando la loro umanità, stimolando qualità e non quantità, qualità che nasce dalla libertà, non dalla costrizione, qualità che nasce dalla cooperazione e non dalla competizione, dal rancore e dalla rabbia. Vorremmo sentire parlare non solo di quantità, ma anche di qualità.

Il 25 settembre ci troveremo in assemblea: tratteremo della produttività semestrale non ancora erogata, ma sarà anche opportuno definire forme di lotta per impedire che si usino fatti di cronaca per ridurre i nostri diritti di lavoratori.

Quando le parole non bastano ci vuole la lotta!

*Marvi Maggio – Cobas Regione Toscana

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Marvi Maggio

Marvi Maggio, ricercatrice indipendente in questioni urbane e territoriali; socia fondatrice dell'International Network for Urban Research and Action; Architetta (laurea in Architettura Politecnico di Torino); abilitazione alla professione di architetto; Dottoressa di Ricerca in pianificazione territoriale ed urbana (Università di Roma La Sapienza); Master post lauream in Scuola di Governo del Territorio (SUM e Università di Firenze); Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore di seconda fascia per il settore disciplinare 8/F1 pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale.

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