La geotermia toscana è insostenibile e non rinnovabile: solo le centrali dell’area nord (Larderello/Cornia) emettono in aria ogni anno 1314 kg di arsenico, 1637 kg di mercurio, tra le 1780 tonn e le 3370 tonn di ammoniaca, 4230 tonn di acido solfidrico, oltre a 70.000 kg di acido borico, oltre a enormi quantità di CO2 e metano.[1]
Le centrali vanno chiuse, le loro aree riconvertite a fotovoltaico e eolico.
Il surplus di questa EE potrà andare ad alimentare un impianto per la produzione di idrogeno per elettrolisi dell’acqua dolce e/o di mare, che potrebbe essere collocato a Torre del Sale, con il consenso del Comune di Piombino e della popolazione.
Una Regione senza geotermia, con le energie rinnovabili, una svolta strategica
Pertanto questa associazione onlus propone la chiusura in 7 anni di tutte le centrali geotermiche (dati gli altissimi incentivi riscossi anche le ultime entrate in funzione, quella di Chiusdino nel 2011 e quella di Bagnore 4 nel 2013 si sono già ammortizzate) a cominciare da quelle più inquinanti ed obsolete ad un ritmo di 5 centrali da chiudere all’anno. Contemporaneamente le aree delle ex centrali dopo bonifica dovranno essere convertite a fotovoltaico ed eolico, andando a rimpiazzare la potenza elettrica fino a quel momento resa dello sfruttamento geotermico. Con ciò mantenendo un equilibrio tra potenza e bisogni elettrici.
I lavoratori metalmeccanici della ditta Smith Bits di Saline di Volterra, licenziati nel 2015 in numero di almeno 80 unità potranno essere proficuamente reimpiegati in una cooperativa che curi lo smantellamento delle centrali, e la successiva istallazione di impianti fotovoltaici ed eolici nelle ex aree delle centrali geotermiche, mantenendo buona e qualificata occupazione sul territorio. La notevole operazione di riconversione probabilmente richiederebbe anche l’assunzione di nuova e qualificata forza lavoro, in un’area invece ridotta alla povertà (si vedano i rapporti Irpet) dalla monocoltura geotermica. La produzione di strutture in ferro zincato per il fotovoltaico e l’eolico potrebbe essere una spinta al rilancio delle Acciaierie di Piombino, ora ferme, dietro riconversione dell’alto forno da carbone ad elettrico.
L’area di Torre del Sale (Piombino) da riconvertire alla produzione di idrogeno
La grande centrale elettrica Enel di Torre del Sale a Piombino, da 1260 Mw (era la più grande della Toscana), 50 ettari, molo sul mare, fermata a fine 2013 potrebbe essere convertita in un polo per la produzione di idrogeno per elettrolisi dall’acqua dolce o di mare (Progetto MARINECO, finanziato dall’UE), cogliendo vari obiettivi: 1- rilancio del sito, dopo bonifica, 2- rilancio occupazionale 3- sinergie con la SOL (Società ossigeno liquido) di Piombino 4- sinergie con la Solvay di Rosignano, che ha un ampio know how sulla produzione di idrogeno e sull’elettrolisi della salamoia sodica, che potrebbe ricavare (almeno in parte, in caso di elettrolisi dell’acqua di mare) dal nuovo impianto di Piombino la salamoia necessaria allo stabilimento di Rosignano, sgravando l’area di Saline di Volterra dalla sua presenza insostenibile sulla risorsa esauribile salgemma e sull’acqua della Val di Cecina. L’elettrolisi dovrebbe essere alimentata da energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, moto ondoso), il sito è ovviamente connesso con la rete elettrica nazionale, in particolare con la vicina rete elettrica geotermica. Il nuovo impianto potrebbe essere affiancato da una centrale elettrica a idrogeno, che notoriamente è il combustibile più pulito (bruciando, produce acqua pura), riutilizzando alcune strutture della vecchia centrale ad olio combustibile. L’intera operazione dovrebbe essere sottoposta a VIA e alla supervisione pubblica di Regione e Comune di Piombino.
Convertire tutta la produzione termo-elettrica in Toscana da gas a idrogeno
Successivamente anche le centrali elettriche turbogas (gas metano) di Edison di Piombino, di Solvay-Engie di Rosignano, di ENI Livorno, di Edison Porcari, di Enel Cavriglia (AR) dovranno essere convertite a idrogeno, abbattendo drasticamente in Toscana (in particolare nella Provincia di Livorno) le emissioni atmosferiche di ossidi di azoto e di polveri sottili primarie e secondarie.
L’area della raffineria ENI di Livorno in particolare, prendendo atto del declino irreversibile della filiera della raffinazione del petrolio, dovrebbe – a fini ambientali ma anche occupazionali e sociali – convertirsi dopo bonifica in un secondo polo di produzione di idrogeno per elettrolisi da acqua dolce o di mare, da alimentare con energie rinnovabili. Analogamente, la centrale elettrica interna, attualmente a gas di raffineria, dovrebbe essere convertita ad idrogeno. Si fa notare che l’area di Livorno fa parte da decenni del Piano regionale di risanamento della qualità dell’aria. L’intera operazione dovrebbe essere sottoposta a VIA e alla supervisione pubblica di Regione e Comune di Collesalvetti e Livorno.
Dare respiro alla popolazione, ma anche all’economia
Come si vede da queste brevi note, il risanamento della qualità dell’aria – attualmente posto in discussione nella Proposta di PRQA – è strettamente intrecciato ad una riconversione profonda della struttura industriale ed energetica della Regione, e non si affronta senza “pestare” qualche piede o fare pressioni su certi grossi interessi consolidati. Il “Business as usual” richiamato nella proposta di PRQA non è compatibile né con la salute della popolazione né con un rilancio della buona occupazione.
Chiedere alla Regione l’apertura di un tavolo di confronto sull’argomento.
[1] Si veda Maurizio Marchi, Gli effetti sulla salute della geotermia toscana, 2018
*Maurizio Marchi per Medicina democratica onlus
Maurizio Marchi
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