Verso il 2020: carcere e repressione

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“E’ un panorama non confortante quello che riguarda le carceri italiane alla fine del 2019”. Inizia così il commento del 31 dicembre dell’Associazione Antigone sugli ultimi dati disponibili dal pianeta carceri, che aggiorna il XV Rapporto sulle carceri presentato a maggio 2019.

Aumenta il numero dei detenuti, a fronte di una costante diminuzione dei reati, e il conseguente sovraffollamento degli istituti penitenziari, già oltre il 130% rispetto alla capienza disponibile.

Si va in carcere di più, ma soprattutto se ne esce difficilmente, con una applicazione sempre meno ampia delle misure alternative alla detenzione in carcere, anche se l’utilizzo di tali misure sposta il tasso di recidiva dal 70% a meno del 30%. E si va in carcere sempre di più per piccoli reati, e in particolare per violazioni alla legislazione sulle droghe, fra le più repressive (e inefficaci) di tutta Europa (35% dei detenuti contro una media europea del 18%).

Sta sempre più affermandosi una concezione afflittiva della detenzione, certo frutto della delirante visione forcaiola e sanguinaria, propria della Lega e della destra più o meno estrema, ma che certo non si ferma in quel settore politico, e si diffonde nel comune sentire.

Area trattamentale (educatori) drammaticamente sottodimensionata, condizioni disumane in molti istituti, con carenze igieniche, mancanza di acqua, di riscaldamento, praticamente in tutti i tipi di servizi, e la Toscana non fa eccezione: il garante regionale dei diritti dei detenuti Franco Corleone nel corso dell’anno ha messo in atto più di uno sciopero della fame.

E ancora: con una popolazione carceraria che per il 27,5% assume una terapia psichiatrica ci sono mediamente a disposizione, ogni 100 detenuti, 6,9 ore settimanali di servizio psichiatrico ed 11,6 di sostegno psicologico, mentre in 1/3 degli istituti non c’è la presenza di un medico h24.

E se una sentenza della Corte Costituzionale ribadisce che anche gli ergastolani ostativi debbano in certa misura essere considerati come persone con qualche residuo diritto si scatenano reazioni indignate e allarmismi da anno mille. In compenso si va sempre più verso una militarizzazione dell’istituzione carceraria, con una forte tendenza a dimenticare l’art. 27 della costituzione (Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato), che si sposa perfettamente con l’ossessione del controllo fuori dal carcere: recentemente il sindaco di Firenze ha annunciato trionfalmente di aver installato la millesima telecamera in città, che porta i fiorentini ad essere la popolazione più videosorvegliata d’Italia, e di prendere a modello il sistema Tel Aviv.

Intanto l’argomento carcere è del tutto assente nelle agende politiche, con un meccanismo di rimozione parallelo a quanto succede nel corpo sociale: più comodo considerarlo la pattumiera della società, in fondo non si vede, e se non se ne parla, sembra quasi che non esista.

Non possiamo chiudere un sommario, quanto pessimo, bilancio del 2019, senza ricordare l’assurda incarcerazione il 30 dicembre di Nicoletta Dosio, attivista NoTAV, 73 anni.

Voltaire ha scritto che il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri: noi continueremo, ostinati, ad osservare, raccontare, denunciare, indignarci, anche in questo 2020 appena cominciato, che sembra avvicinarci sempre di più all’anno zero.

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