Solidarietà ai condannati per i fatti di Santo Spirito, in quella piazza c’eravamo tuttǝ!

Manifestazione non autorizzata, istigazione a delinquere, oltraggio a pubblico ufficiale e danneggiamento, ecco le accuse per sette persone che parteciparono alla contestazione della cordonatura della Basilica di Santo Spirito lo scorso giugno. Parteciparono quasi in mille a quella serata, ma il tribunale di Firenze ha deciso di condannarne sette che hanno ricevuto un decreto penale di condanna (7 mesi di reclusione tramutabili in 7875 euro di ammenda penale a persona).

In tanti e tante criticammo l’idea della cordonatura, era l’immagine chiara dell’esclusione dei non paganti: una piazza piena di tavolini fino agli scalini della chiesta e poi la cordonatura. Ma quel 18 giugno tanti ragazzi e ragazze fiorentine dissero chiaramente con i loro corpi che non ci stavano, che quella piazza era anche loro. Suonarono, ballarono, tagliarono il cordone e ci fecero il salto alla corda, abbatterono i pali che sorreggevano il cordone. Già il giorno dopo l’assessore Albanese dichiarò che cordone e pali distrutti erano stati pagati dai contribuenti, ben 100.000 euro per tre pali e un cordone.

Fin da subito si parlò di di antagonisti e di ‘facinorosi’ dei centri sociali, ridicolo di fronte ad una manifestazione spontanea, di massa e soprattutto giovane. Dovremmo ringraziare questi ragazzi e queste ragazze perché ci ricordano che la città è di tutti e tutte, non del sindaco, degli investitori stranieri e dei ristoratori. Le piazze sono spazi pubblici, dove chiunque può fermarsi, sedersi, chiacchierare. E invece abbiamo una giunta che fa uscire ordinanze su luoghi della città dove non si può sostare senza consumare, quest’estate persone anziane sono state fatte sloggiare dalle panchine del centro perché o ti siedi al bar o te ne resti a casa.
Evidentemente è con le condanne ai ‘facinorosi’ e con le bastonate agli studenti che si vogliono piegare le giovani generazioni all’ubbidienza e al silenzio.
Nessuno dovrebbe tacere, lo vogliamo ribadire anche noi: ‘In quella piazza c’eravamo tuttǝ’.