Un #metoo calabrese? La voce delle ragazze e il rischio di essere invisibili 2

  • Tempo di lettura:7minuti
image_pdfimage_print

Leggi la prima parte qui

Proseguiamo la conversazione con Roberta Attanasio del Centro antiviolenza Roberta Lazino sulla vicenda delle molestie subite da alcune  studentesse dell’Istituto di istruzione superiore Valentini-Majorana di Castrolibero, alle porte di Cosenza da un docente. «Il centro è stato vicino fin da subito ai ragazzi e alle ragazze. Abbiamo offerto uno spazio d’ascolto presso la nostra sede e ci siamo resi sempre disponibili. L’abbiamo fatto perché ci siamo rese conto che questo era un fenomeno tanto antico nelle scuole, ma era diversa questa reazione di massa, tra l’altro anche da parte dei ragazzi. Era un’intera scuola che si stava ribellando contro questa situazione e contro questo professore. #metoo alla calabreseCi hanno chiesto di intervenire in assemblea in apertura. Una volta presa la parola, è scesa la preside per comunicare che la cosa sarebbe andata avanti per vie ufficiali, nonostante fino a quel momento non si fosse svolto nessun consiglio dei docenti e non ci fosse stata nessuna ispezione del consiglio scolastico regionale. Dopodiché se n’è andata.».

Ci si potrebbe aspettare che, a questo punto, che le studentesse abbiano iniziato a rivolgersi al centro sia per sé stesse sia per organizzare delle attività durante l’occupazione eppure, anche in questo caso, la realtà tradisce le nostre aspettative. «Non si è presentata assolutamente nessuna. Noi abbiamo dato un tempo fisiologico perché al momento erano impegnate con l’occupazione. Non lo so perché non lo abbiano fatto, noi siamo abituate alle donne che hanno subito una violenza e te ne parlano, poi possono tornare anche dopo tre o quattro anni perché non sempre una donna è pronta a parlare della violenza subita. Anche a distanza di tanto tempo, può uscire la vera consapevolezza. Quindi, secondo me, le ragazze si sono sentite minacciate da questo atteggiamento del professore, ma non so fino a che punto siano consapevoli di essere state delle vittime e non delle complici, perché l’atteggiamento di queste persone tende a far sentire la vittima una complice. La mia preoccupazione è questa: non so fino a che punto sia arrivato questo processo di consapevolezza.».

Ha senso preoccuparsi del percorso di consapevolezza tra le studentesse? Questa storia è stata presentata come una grande lezione di democrazia che i ragazzi hanno dato agli adulti, per il fatto che i ragazzi di oggi sono sensibili a certi temi sociali. Quindi che cosa non mi quadrava?

Ho chiesto perché, nonostante la denuncia di Dalia risalisse al 2018, la scuola avesse reagito quattro anni dopo: «Quando questa ragazza era a scuola c’era un pregiudizio su di lei e molte persone avevano difficoltà a credere che potesse aver subito una violenza fisica e verbale. Su questo abbiamo sbagliato tutti».

L’occupazione dovrebbe essere la prova che quell’ambiente tossico, cui si fa riferimento, non trova più spazio tra i ragazzi e ragazze, grazie a Dalia che per prima ha abbattuto il muro del silenzio. L’inizio di questa storia sembrava pieno di promesse, finalmente il tema degli abusi sessuali nelle scuole avrebbe potuto essere il centro del dibattito pubblico e le ragazze avrebbero potuto costruire assieme ai propri compagni e col corpo docente un ambiente sicuro e capace di ascoltare le loro voci. Muovendosi tra gli studenti l’entusiasmo si è ridimensionato.

A diventare leader dell’occupazione e della protesta è stato un ragazzo, Fausto, e non può che renderci felici sapere che anche i giovani uomini sono sensibili ai temi delle molestie subite dalle donne; tuttavia, è innegabile il senso di amarezza. Sembra che si riproponga un cliché davanti ai nostri occhi: le donne raccontano le loro storie private intrise di disagio, mentre gli uomini le rappresentano pubblicamente diventandone i portavoce e i protagonisti del momento di contestazione politica. Durante la manifestazione di venerdì 18 ottobre la sensazione sul protagonismo maschile è diventata addirittura più insistente: i primi a prendere la parola durante il corteo sono stati dei ragazzi che si scagliavano contro gli abusi subiti dagli studenti. Gli studenti, rigorosamente al maschile. Quando qualcuno fa notare che esistono anche le ragazze, ricordiamo che delle molestie di cui si parla nella scuola hanno coinvolto in prima persona solo delle studentesse, e allora ci si sveglia per un attimo e si includono nel discorso anche le ragazze, almeno per un po’.

A questo si somma l’ampliamento della lotta. Ci raccontano infatti che dalle molestie ci si è spostati verso qualcosa di più grande che riguarda i problemi strutturali della scuola. Si parla di alternanza scuola lavoro, di deriva manageriale delle scuole. Ma qual è il rischio? Essendo la prima volta che si occupa di molestie e abusi sessuali, il pericolo è quello di lasciarsi sfuggire l’opportunità di affrontare a pieno questo tema. Scegliere di manifestare venerdì, giorno in cui è stato indetto uno sciopero studntesco nazionale contro l’alternativa scuola-lavoro, ha innegabilmente contribuito a ridurre l’attenzione verso il grande tema delle molestie.

Che cos’è una molestia sessuale? Certo, come spiega qualcuno vivere una molestia è un’esperienza dolorosa che fa male e crea disagio, ma qual è la differenza tra bullismo e molestie? Entrambi i fenomeni generano dolore, ma non sono la stessa cosa. Come si riconosce una molestia? Come si interviene? Cosa possono fare le studentesse, gli studenti, il corpo docente e la dirigenza? Quali sono le differenze tra subire una molestia in strada ed essere molestata da un proprio docente, magari una figura carismatica in una posizione di potere gerarchicamente superiore alla nostra? Quali sono gli effetti che questo ambiente tossico ha sulle ragazze e quali effetti ha sui ragazzi? A chi rivolgersi in caso di molestie a scuola? E perché rivolgersi direttamente alla preside e non cercare prima un contatto con le professoresse o i professori più vicini e, magari, più disponibili all’ascolto?

Questi temi avrebbero potuto essere sviscerati durante le due settimane di occupazione, si sarebbe potuto pensare a dei gruppi autogestiti o a degli incontri. La sensazione è che sia mancato il tempo per riflettere su cosa fare, su come organizzarsi, oltre il gesto di protesta. Facciamo un esempio concreto: durante il corteo studentesco una parte dei presenti invitava le vittime a denunciare le molestie e gli abusi, mentre un’altra parte contestava la polizia e lo strumento della denuncia. Che fare? Denunciare o no? Come decidere a chi rivolgersi per capire come muoversi?

Ci aiuta a riflettere la delegata del centro antiviolenza Roberta Lanzino: «Puoi andare dalla psicologa a parlare, però se hai bisogno di una consulenza devi chiedere il permesso ai genitori e quindi, per forza, devi dire in famiglia quello che succede. Magari vorresti parlare con qualcuno senza coinvolgere immediatamente la famiglia. Com’è che questi ragazzi ne possono parlare? Quando interveniamo nelle scuole ci rendiamo conto che raccontiamo molte più cose di quelle previste: relazione tra i generi, il rispetto e la cura. Cerchiamo inoltre di non fare una lezione, perché le ragazze e i ragazzi hanno una voglia di parlare pazzesca. Comunicano, esprimono il loro disagio e se hanno dall’altra parte una persona pronta, parlano tantissimo e vorrebbero ripetere l’esperienza perché sentono come un vuoto. Da una parte una scuola che spinge solo a finire i programmi, dall’altro una famiglia che non parla ai ragazzi di sesso. Abbiamo bisogno di corsi di educazione sessuale a scuola».

Nella scorsa settimana Fausto prometteva che non si sarebbe tornati in aula finché il patto educativo tra studenti e docenti e tra scuola e genitori non fosse stato sanato, ma lunedì si è ufficialmente rientrati in classe. Cosa è cambiato rispetto al 3 febbraio? Il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, ha inviato degli ispettori per chiarire la situazione; la preside Maletta alla fine ha fatto un passo indietro e si è in attesa di un preside o una preside reggente per arrivare alla fine dell’anno scolastico; il professore accusato è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Cosenza.

Si è in attesa che la verità giudiziaria sia ricostruita, ma cosa è cambiato per le studentesse che lunedì’ sono rientrate in aula? Cosa è cambiato in termini di consapevolezza per le ragazze e cosa in termini di sicurezza? E cosa è cambiato per i ragazzi che in quell’ambiente tossico hanno rischiato di normalizzare l’atteggiamento abusivo di un uomo in una posizione di potere? Una parte degli studenti ha giustificato il professore, altri deridevano le ragazze impegnate a parlare di femminismo e lotta al patriarcato durante la manifestazione, buona parte degli studenti del biennio non ha preso parte all’occupazione. La sostituzione di una preside delegittimata e sulla quale gravano delle accuse e delle responsabilità grandissime è stata indispensabile, ma basta cambiare la persona al vertice di una scuola per purificare un ambiente tossico?

Leggi qui la prima parte

The following two tabs change content below.

Francesca Pignataro

Dal ‘97 mi aggiro nel mondo chiedendo “perché” e ho una forma di repulsione verso le risposte semplici a problemi complessi. Studiando moltiplico le mie domande, scrivendo cerco delle risposte e l’umanità preferisco osservarla dai margini con le lenti dei miei occhiali che sfumano dal viola del femminismo al rosso del marxismo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha *