Nel giugno del 2021 viene dato alle stampe questo romanzo scritto da Raffaella Battaglini. Castelvecchi si assume l’onere, e diciamo oggi l’onore, di una scommessa che è vinta. Parlare, e scrivere, del movimento del ’77 in Italia attraverso un romanzo non è cosa facile. Battaglini non scende a scrivere un saggio su quel periodo. Tanti ne troviamo negli scaffali di librerie, biblioteche collettive e/o personali. Lunghissimo è l’elenco a cui ci possiamo riferire se vogliamo approfondire la conoscenza di quanto avvenne in Italia, in quel periodo.
Ne cito solo alcuni per conoscenza e divulgazione comune: da Sergio Bianchi Figli di nessuno a Luca Falciola Il movimento del 1977 in Italia, da Vincenzo Miliucci Giorni che valevano anni a Pino Tripodi Settantasette. Una rivoluzione. La vita, dal collettivo Bologna marzo 1977 a Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti Settantasette, la rivoluzione che viene e Una sparatoria tranquilla, fino a Gianfranco Manfredi Ma chi ha detto che non c’è e alla produzione di Nanni Balestrini.
Sicuramente ne tralascio molti altri, ma se ciò accade non è certo per scelta voluta, non per escludere qualche autore per qualche motivo. I riferimenti si riducono se ci riferiamo a chi, come in questo caso Raffaella Battaglini, usa il romanzo per poter affrontare quel periodo. Nel 2020 Umberto Montin esce con il romanzo A muso duro, e a distanza di un anno ci confrontiamo con Mentre passiamo bruciando. I due libri hanno qualcosa in comune: il contesto in cui il tutto si svolge e cioè la città di Padova, che nell’immaginario collettivo rappresenta, insieme a Bologna, quanto si è sviluppato ed è emerso in quel periodo; e anche il fatto che ritornano su episodi che erano stati dati per chiusi. Nel primo un suicidio, nel secondo un omicidio.
Nel romanzo di Battaglini ci troviamo ad avere a che fare con l’ omicidio, irrisolto. di Laura una frequentatrice di luoghi riferimento di quel periodo. Anni dopo, diversi anni dopo, una giornalista si imbatte sull’omicidio di Laura e si immerge nella storia, nel vissuto di quella stagione. Possiamo dire che lo stile di Raffaella Battaglini è qualcosa che va al di là del noir classico. L’uso dei racconti, delle testimonianze, in realtà veri e propri monologhi, sono elemento caratterizzante del romanzo. Un romanzo che si affida alla ricostruzione di quegli avvenimenti attraverso la memoria dei tantissimi, anche – come in una sorta di Spoon River – di coloro che non ci sono più, che prendono parola. Memoria ricostruita che supera, in importanza, fatti ritenuti salienti e che invece risultano secondari, uno su tutti il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e la sua uccisione.
È un susseguirsi di luoghi, dall’osteria al bar con il proprietario che proviene dalle file dei rapinatori ed ha costruito l’amicizia con i compagni in galera, alla piazza punto di riferimento in particolare per i “fuori-sede che non si lamentavano più di tanto se vivevano in luoghi fatiscenti, visto che la loro vita era fuori dagli spazi domestici”; di avvenimenti, che rendono evidente l’effervescenza del clima esistente, di chi non non può essere rinchiuso in nessun recinto; e poi le case aperte 24 ore, la musica, le radio libere, il cinema, le letture e la maledetta eroina che di fatto azzera il movimento: situazioni che rendono evidenti le contraddizioni che ognuno deve portarsi sulle spalle, a partire dal maschilismo, esistente ma rimosso, all’esproprio proletario che in realtà, a volte, diviene vero e proprio furto. Dicevamo di Padova e di quanto quello che in quella città si esprime si diffonde nel resto del paese. Le università occupate, i collettivi di facoltà, il voto politico, i cattivi maestri; il femminismo ed il lavoro domestico retribuito. Ma dicevamo anche il contesto, l’atmosfera: le perquisizioni; l’esilio con i suoi tempi bui che riporta Padova nello squallido grigiore; la galera e la gente che si è giocata la vita tra errori giovanili ed ingenuità; la repressione; l’ospitalità, dovuta, verso chi è costretto ad essere latitante; il morire in uno scontro a fuoco messo in conto in un decennio che è valso la pena di vivere; il disincanto dell’ex per cui il tempo delle rivoluzioni è finito e che mette come priorità il contrario esatto di ciò per cui ha lottato passando armi e bagagli dall’altra parte; i cortei di massa e la polizia in assetto di guerra; l’atmosfera “cilena”, l’uso delle sostanze dall’oppio all’eroina alle esperienze psichedeliche che trasforma la città nel fantasma di quel che era stata; l’illegalità di massa ed il partito armato; il rapporto con la scuola della strada e gli illegali comuni; l’andare tutto in discussione con l’inarrestabile arrivo degli anni ’80; dall’ex disincantato a chi riflette e ragiona intorno alla sconfitta subìta, inaspettata ed arrivata a tradimento; l’aver combattuto una guerra, l’aver attraversato un periodo insurrezionale che durava da un decennio, l’aver subìto il pentitismo, la dissociazione, il patteggiamento.
Anni di piombo? Accettare questa definizione vuol dire ridurre quanto accaduto a singoli episodi e non cogliere l’insieme degli avvenimenti, il contesto che li ha prodotti, da cui sono emersi. Emerge, nelle 230 pagine, la diffidenza dei militanti verso i fricchettoni, i borghesi, i tossici che frequentano l’appartamento riferimento di una certa parte di città, divenuto il luogo dell’omicidio con il suo odore di sangue; la diffidenza, che divide , anche a distanza di anni sul carattere di Laura, sul chi è Laura, sul perché è morta, chi l’ha uccisa, i suoi rapporti veri o presunti con il partito armato.
Ovviamente, e giustamente, non potevano mancare riferimenti ad episodi che segnano quel periodo dal 12 marzo quando in 100.000 scendono in corteo a Roma in risposta all’omicidio di Francesco Lorusso assassinato a Bologna dai carabinieri, un 12 marzo letto come prova generale d’insurrezione; all’inchiesta “7 APRILE”, operazione giudiziaria portata avanti nei confronti dei “leader” del movimento. Su tutto questo ritengo che il giusto peso, il risalto vada dato all’energia collettiva che si attenua fino a spegnersi, alla fine di un ciclo, di un’appartenenza, di un sentire collettivo. “Abbiamo perso, e come una partita a poker ci si alza, si saluta e si esce di scena ….e’ finita, è tutto completamente finito ‘ nonostante’ gruppi di giovani proletari pronti ad accendere fuochi di guerriglia”; e quando sembra che tutto sia perduto, dobbiamo riporre la fiducia in quel qualcuno che prenderà il nostro posto. La conclusione di quanto scritto da Raffaella Battaglini è da prendere in considerazione non tanto sullo scoprire i misteri che si celano dietro l’omicidio di Laura, ma sull’aspettarsi quel qualcosa che risvegli dal lungo sonno, perché tutto finisce dove è cominciato.
Raffaella Battaglini. Mentre passiamo bruciando, Castelvecchi, Roma 2021, pp.240, 17.50 euro
Edoardo Todaro
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