A partire da due testi sul desiderio Seconda parte

Seconda parte (qui la prima)

Ma l’oggetto del desiderio non è sempre, per il proletariato, l’anticapitalismo, così come non lo è, per le donne, l’opposizione al patriarcato. È un meccanismo che proprio quest’ultime hanno capito per prime. Se proviamo a maneggiare concetti dal punto di vista di una “economia libidinale”, le cose si possono presentare in maniera apparentemente contro intuitiva. “C’è una tensione, una tensione potenzialmente produttiva, tra desiderio e marxismo. Il desiderio chiamato Marx” (titolo del capitolo del libro di Lyotard la cui lettura animava la quinta e ultima lezione/incontro), si potrebbe traslare anche nel desiderio chiamato patriarcato.

E qui apro al secondo libro del titolo, quello di Elisa Cuter “Ripartire dal desiderio” dal quale abbiamo pubblicato un estratto. Un testo quasi parallelo a quello di Fisher, un libro che porta in copertina la sovrapposizione di una falce e di un dildo. Cuter dice a questo proposito che molte donne desiderano praticare gli stereotipi imposti loro dal patriarcato. Gli oppressori sono infatti vincenti non nello sfoggio brutale della loro forza, ma quando riescono a costruire delle situazioni per le quali le/gli assoggettate/i non si sentono tali e scelgono “liberamente” di soggiacere alle imposizioni del despota, del capitale o del patriarcato.

“Che le persone in una società desiderino la repressione, per gli altri e per sé stesse, che vi siano sempre delle persone che vogliono rompere le palle ad altre che abbiano la possibilità di farlo, il ‘diritto’ di farlo, è questo che mette in luce il problema di un legame profondo tra il desiderio libidinale e la sfera sociale. Un amore ‘disinteressato’ per la macchina oppressiva: Nietzsche ha detto cose magnifiche su questo permanente trionfo degli schiavi, su come gli afflitti, gli avviliti e i deboli impongano il loro modo di vita su tutti noi” (Deleuze e Guattari, p. 63).

Ma c’è un altro punto di incontro ed è quando Fisher introduce parallelamente al desiderio la dimensione libidinale. “la questione del desiderio, o meglio… Penso che la libido sia diversa dal desiderio. La libido non è solo ciò che vogliamo, ma il perché lo vogliamo. È l’oggetto a provocarla, in tal senso” (p. 201). Cuter dice invece: “È questo quello che io chiamo desiderio: quell’esperienza che crea un conflitto, una cesura tra soggetto e oggetto. Questo rapporto tra soggetto e oggetto è un rapporto che esiste tra persone e cose, e soprattutto tra e all’interno delle persone stesse. È il rapporto che intercorre tra il sé e l’altro – laddove anche il sé è molto spesso un altro per noi. Il desiderio, anzi, è proprio quello che ci svela di non essere un tutto conchiuso, un individuo isolato” (p. 34). “Lungi dall’essere soddisfazione di un bisogno, o riempimento di una mancanza, il desiderio è creazione dell’altro come attrattore e come racconto di sé” (Berardi, p. 203). Il desiderio è propensione, è relazione. Sul piano dell’economia libidinale, il rapporto tra soggetto e oggetto inverte le parti: è l’oggetto che, nel volersi sentire desiderato, diventa attivo mentre il soggetto rimane fermo a subire la potenza del desiderio. È per questo che lo stornamento del capitalismo verso le merci rende il desiderio ripetutamente inappagato. Il desiderio non desidera, il desiderio vuole incessantemente essere desiderato. “Allo stesso tempo non voglio niente in particolare io come soggetto, voglio che il mio oggetto (l’oggetto del mio desiderio) si faccia soggetto e voglia me” (Cuter, p. 36).

Ma è anche per questo che il patriarcato e il capitalismo dimostrano avere una resistenza incredibile. È questa l’indulgenza del proletariato nei confronti del capitale e quella delle donne nei confronti non tanto del patriarcato in sé, ma degli stereotipi che il patriarcato impone. Certo il maschio oppositivo dei rapporti sessuati, è pur sempre un altro che non riesce a porsi come il grande altro, mentre il capitale è più sfuggente. In questo contesto non si ha a che fare con un soggetto che prende parte allo scambio desiderante ma soltanto con i suoi feticci, non si ha a che fare con esso ma soltanto con le sue emanazioni. Anche per questo Marx parla di feticismo delle merci. C’è certo una complicità tra Occidente e cristianesimo, la sostituzione, o meglio, lo slittamento dell’eros verso l’agape (spesso tradotto con affetto, amicizia) uno slittamento che è una forma di repressione del desiderio che vestendolo di disinteresse – agape come amore disinteressato – rompe il circuito e lo scambio continuo tra soggetto e oggetto del desiderio. Spenge la pulsione, silenzia la libido. È una forma di castrazione che, a lungo andare, porta a rendere passivo l’oggetto del desiderio, a togliergli agency; a forzare il soggetto verso l’appropriazione dell’oggetto, a oggettivare, cosificare l’altro del desiderio. Rende l’altro un oggetto sessuale e una proprietà. Tutt’altra cosa è il dispiegamento creativo del desiderio quando negli anni ’70 “Il messaggio dell’amore, che nella sfera cristiana è stato declinato in maniera sacrificale, sembrò allora – nel pensiero desiderante, nell’esperienza dei movimenti antiautoritari desideranti – aver trovato una dimensione materialistica” (Bifo, pp. 284-285).

Il desiderio di cui parla Elisa Cuter è quello sessuale. Non nel senso che il suo testo sia un trattato di sessuologia, ma che quel tipo di desiderio è di fatto paradigmatico dei modi in cui si esplicano le relazioni sociali attraversandole tutte. “Occorre eliminare il discorso della responsabilità e portare al centro quello di desiderio: Evitare l’orgoglio identitario, rifiutare il sacrificio, rifiutare il lavoro, sia produttivo che riproduttivo, rifiutare il ricatto e la responsabilità a doverlo svolgere, vuol dire riaffermare la cura come desiderio” (Cuter, p. 191). In un contesto di precarietà generalizzata e di processi come quello della femminilizzazione del lavoro, le donne hanno qualche cosa da dirci anche perché le donne e le minoranze sessuali sono probabilmente quelle che più hanno subito questi dispositivi. “Il sapere degli ultimi può diventare avanguardia in virtù non della caritatevole solidarietà che spera di suscitare in chi si sente ancora al sicuro, bensì proprio in quanto avamposto, punto di vista privilegiato (dal punto di vista del sapere) su un sistema di sfruttamento” (Ibidem).

L’identità sessuale è funzionale a un sistema che esige le soggettivazioni. Che agisce per creare scarsità là dove essa non c’è. Una scarsità che obbliga a difendere la nostra proprietà facendo così mettere in secondo piano, un piano impossibilitato a emergere, le logiche re-distributive e la solidarietà empatica che fonda il socius. Il desiderio come tensione creativa che guarda all’altra/o sperando che l’altra/o lo “riguardi”. Quel che si ha, non guarda a cosa si potrebbe avere anche di diverso. Il confronto con l’altra/o dentro la scarsità fittizia mette così in moto la logica del debito e della gratitudine, “una dinamica di debito e gratitudine che rimette le minoranze costantemente al loro posto, nel ruolo di vittime o nel ruolo di Madri” (Cuter, p. 198). Il debito è infatti spesso percepito come senso di colpa, la gratitudine stessa è sentita come un dovere, del resto la grazia e il suo equivalente greco, la charis (che rimanda a carità), sono termini polisemici che danno luogo a tutta una famiglia che comprende anche le accezioni del termine “debito”. “Uno dei significati più antichi del verbo khairein è ‘rallegrarsi’; khara significa ‘gioia’. Kharis è il piacere procurato da qualcosa che ha perciò fascino e bellezza. Kharis è il piacere dovuto, è il favore, il beneficio, infine il dono. Kharis è allora ‘gratitudine’ e ‘riconoscenza’ (Moussy, p. 411). Sono oggi comunque dispositivi per imbrigliare il desiderio. “Una charis, quindi una grazia, una dote estetica che, anche tramite artifizi, diventa fascino: non una dote statica ma un impulso al moto. Un desiderio che mobilita l’altro. Che mobilita verso di sé” (Pierazzuoli, p. 134), ma questo movimento è sempre di più normalizzato. Oggi si richiede il decoro – anche il desiderio gli deve sottostare – che è, esso stesso, una norma che stigmatizza il desiderio comprimendolo e convogliandolo verso il mercato.

Si entra qui in un cul de sac che vede contrapporsi ogni forma di istituzione e il desiderio. Più il socius è strutturato più viene compresso il desiderio, sembrerebbe. E forse è così nel momento in cui si costruiscono istituzioni sociali che ignorano il desiderio. Anzi proprio questo aspetto è quello che ci può dare la misura della qualità della vita che è possibile vivere dentro questa o quella istituzione. Le società basate su scambi simbolici sono attraversate da intensi flussi desideranti. I comportamenti suntuari, le donazioni e le distruzioni rituali, veicolano il desiderio. La distruzione creativa elimina lo stock, la ricchezza accumulata, rimette i debiti e permette ai flussi desideranti di permeare ogni piega del socius. Nel “realismo capitalista” il debito diviene invece una cappa soffocante. L’austerità toglie il respiro e taglia il desiderio. L’accumulo capitalista è sottrazione di ricchezza dal circolo delle relazioni desideranti. Nel momento in cui nel mondo la moneta circolante è arrivata a valori enormi, il dispositivo governamentale ripete il mantra della mancanza. Si vive in un regime di scarsità forzata dalle operazioni di accaparramento condotte da parte dei grandi capitali. Nella sfera digitale, nell’infosfera, dominano i rapporti competitivi attraverso i quali non si cerca più quel gioco tra essere desiderato e desiderare che rimanda a un gioco delle parti nel quale i corpi si ingarbugliano in una prossemica che è il fondamento dell’erotismo. Spesso il rapporto è con un altro senza corpo; con un altro virtuale che rende sterile il desiderio.

Il desiderio è mitopoietico, crea storie. L’immaginazione stessa è pregna di desiderio, non è una mancanza ma una creazione; il desiderio non è sottrattivo è additivo. Tutte le volte che si parla di desiderio occorre perciò fare una puntualizzazione. Bisogno e desiderio non sono sinonimi anche se spesso li si usa in questa guisa. Si muovono su piani diversi. C’è un piano sociale, dei rapporti materiali di produzione, dove opera il bisogno, ma questo piano non esaurisce il reale. Gli manca tutto quanto va oltre quella dimensione. Quell’altra dimensione che eccede il senso e alla quale si accede attraverso il piacere, quell’eccesso, quel surplus che slega la sessualità umana dalla mera riproduzione. Che eccede la cucina oltre la fame, che fonda la cucina intorno al surplus di gusto che genera il piacere. È questo il piano del desiderio. Per questo Kojève e gli altri di cui sopra, potevano vedere – seppur con uno sguardo miope – nell’abbondanza americana il punto di arrivo della storia; così come vedere, nella scarsità produttiva del modello di produzione sovietico, un difetto da dover correggere. Una mancanza dell’abbondanza rossa: la Red Plenty di Spufford. Ma anche dietro a queste posizioni si annida una mistificazione. La cultura borghese che vuole che il primo piano, quello dei bisogni sia il piano naturale, quello che conta, stigmatizzando così il piano del desiderio in modo tale da poterlo far ripiegare sulle merci. Ma il desiderio è stato messo in secondo piano anche da tutti coloro che danno una lettura dogmatica del valore d’uso marxiano orientandolo sul bisogno invece che sul desiderio, spogliando quest’ultimo da tutti gli orpelli che rimandano al piacere. Rifiutando le forme del piacere non finalizzate, anche concluse su di sé. Si ritorna qui ad evocare le società a basso tasso mercantile dove lo scambio è soprattutto simbolico e non mediato da un’unità di riferimento come il denaro. Soltanto l’espiazione mantiene un carico simbolico tipico di una società che del mondo precapitalista ha conservato il debito rendendolo però “irrimettibile”, spargendo così in ogni dove, afflizione e dolore e, in ultimo, consenso.

Il denaro è infatti un esempio di una volontà di digitalizzare il mondo che culmina nel capitalismo e si concretizza definitivamente nella post modernità degli algoritmi che governano i viventi. Tutte le cose del mondo sono allora quantizzabili, suddivisibili in unità e frazioni del valore unitario della moneta. Il mondo non mercantile è più analogico, bisogna immergerci dentro, guardare in faccia gli altri, desiderarli e farsi desiderare. Il mondo della moneta può essere più asettico: si possono fare transazioni, scambi, senza nessun corpo a corpo, senza nessun coinvolgimento emotivo. Dribblare l’empatia. Costruire relazioni in assenza. Il dispositivo connesso all’invenzione del denaro si è appoggiato su un altro: sulla scrittura alfabetica che ha permesso di parlare e di pensare facendo a meno degli interlocutori, facendo a meno del dialogo, del logos che diviene così ratio. La tendenza che ha fondato l’Occidente è quella e la comunicazione tramite social ne è il punto di arrivo. Il personale è politico è allora lo slogan femminista rivelatore non soltanto della discriminazione femminile ma di una mossa sulla quale si è consumata gran parte della conflittualità di classe. Si tratta dell’occultamento del piano della riproduzione a scapito di quello della produzione. Un piano che si regge sull’alleanza tra capitalismo e patriarcato. Un piano che si riproduce tramite l’occultamento metodico del desiderio. È il piano di riferimento indispensabile per muoversi dentro e contro il realismo capitalista.

Continua…

“Vogliamo espropriare tutti i beni della chiesa cattolica

Ridurre l’orario, aumentare i posti di lavoro

Aumentare il salario

Trasformare la produzione e metterla sotto il controllo dei lavoratori

Liberare l’enorme quantità di intelligenza sprecata dal capitalismo:

Fino a oggi la tecnologia è stata un mezzo di controllo e di sfruttamento.

Attende di essere trasformata in strumento di liberazione

Lavorare meno è possibile grazie all’applicazione della cibernetica e dell’informatica.

Zero lavoro in cambio di reddito

Automatizziamo la produzione

Tutto il potere alla manodopera viva

Tutto il lavoro alla manodopera morta”.

A/traverso, Bologna, febbraio 1977 (in Mark Fisher 2020, Comunismo acido. Introduzione incompiuta, ultima pagina).

Soundtrack, “Vorrei incontrarti” di Alan Sorrenti dal vivo al teatro Astoria di Firenze nel 1973, dove ero presente:

 

Indicazioni Bibliografiche II parte

  • Mark Fisher, Desiderio Postcapitalista. Le ultime Lezioni, minimum fax, Roma 2022
  • Elisa Cuter, Ripartire dal desiderio, minimum fax, Roma 2020
  • Gilberto Pierazzuoli, Il lavoro è una cosa «seria». Apologia della festa, ombre corte, Verona 2020
  • Claude Moussy, Gratia et sa famille, PUF, Parigi 1966
  • Gilles Deleuze e Felix Guattari, Macchine desideranti. Capitalismo e schizofrenia, ombre corte, Verona 2012
  • M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), Feltrinelli, Milano 2009
  • Franco Bifo Berardi, Il terzo inconscio. La psicosfera nell’era virale, nottetempo, Milano 2022