Smog, Firenze merita misure concrete ed efficaci

Si sarebbero dovute inasprire questo mese le misure adottate dal comune di Firenze contro le autovetture inquinanti. Misure previste per il 2024, poi anticipate e oggi invece ancora una volta rimandate a data da destinarsi.  A ciò si aggiunge – e forse le due cose sono collegate ritiro delle deleghe all’assessore Cecilia Del Re, rea – parrebbe – d’aver contraddetto il sindaco su alcuni punti centrali del presente riordino degli assetti urbanistici della città. Tra questi vi è certo il cosiddetto ‘scudo verde’, un sistema di porte telematiche che dovrebbe monitorare chi entra e chi esce dalla città multando le autovetture considerate più inquinanti e forse – si noti il tono dubitativo – richiedendo un pedaggio ai non residenti. Un progetto che risulta osteggiato da molte amministrazioni della città metropolitana e aree limitrofe e che pur risulta centrale nel disegno del PD cittadino. Un problema dunque prima che amministrativo, politico e – aspetto molto caro al sindaco violinista e alla sua giunta – d’immagine. Non stupisce dunque il temporeggiare dell’amministrazione, così com’è chiaro il nodo mobilità non sia di facile risoluzione, essendo com’è al cuore di una battaglia ormai annosa per l’anima della città: tra chi la vuole centro vissuto, dinamico e produttivo e chi invece la desidera statica regina della rendita e del turismo di lusso. Approfittiamo dunque di questo ennesimo stop per fare il punto della situazione e, soprattutto, problematicizzarla, osservandola attraverso le lenti che ci sono più proprie, quelle degli interessi di classe.

Innanzitutto alcuni dati: non soltanto, come da delibera del Gennaio 2021, vetture diesel euro 4 e precedenti, a venir bandite dalla ztl cittadina e dai viali di circonvallazione saranno anche le euro 5 (ovvero immatricolare da settembre 2009 a gennaio 2011), pena ammende fino a 168 euro. Una misura – si spiega – resasi necessaria a causa di una sentenza della Corte di Giustizia Europea la quale ha contestato al comune di Firenze il mancato rispetto del valore limite di biossido di azoto. Un dato allarmante, che chiaramente merita di trovare risposta da parte delle autorità cittadine. Sgomberiamo dunque sin da subito il tavolo da ogni dubbio: non è in alcun modo intenzione di chi scrive sminuire il pericolo rappresentato dall’inquinamento antropico né insinuare non debbano essere presi provvedimenti al riguardo. D’altro canto è proprio sulle misure ritenute di semplice “buonsenso” che è forse più necessario puntare lo sguardo, poiché è in esse che più subdolamente si nasconde la mano dell’ideologia dominante, degli interessi che la determinano.

In questo senso appare utile domandarci quale sia il significato e soprattutto quali le conseguenze materiali di questa che, conviene ricordarlo, è soltanto una tra le tante scelte possibili: cosa significa e soprattutto chi tocca e materialmente colpisce questo ennesimo divieto?

SmogA nostro avviso la risposta è chiara e inequivocabile: a pagare il prezzo più alto è come al solito chi meno può permetterselo. Impedire oggi la circolazione di un certo tipo di autovetture, in un certo tipo di aree cittadine, nel mentre si auspicano – domani, sempre e soltanto domani -esborsi proprio per quel trasporto pubblico che non si fa che affossare e deprimere, significa colpire il solito capro espiatorio: le fasce più fragili e precarie della popolazione. In una parola, i poveri. Cioè i working poor, i lavoratori e le lavoratrici precari o in nero, chiunque – per usare un’espressione ormai divenuta luogo comune – “faccia fatica ad arrivare alla fine del mese”. [Una fetta della popolazione numericamente non irrilevante ma che, non disponendo del necessario capitale economico e sociale, finisce per essere il parafulmine delle contraddizioni sistemiche.] Una fetta della popolazione che prosaicamente non ha i soldi per comprarsi una macchina nuova (magari proprio una eco e capital-friendly Tesla) ogni volta che cambia la legislazione. Quella parte di cittadinanza che, non essendo composta da ‘nomadi digitali’ in smart-working permanente dal salotto di casa, non ha la possibilità di scegliere d’esser sostenibile ma a cui tocca, al netto di ogni eventuale sensibilità ecologica, arrangiarsi. Parliamo di classi popolari, di chi abita dove gli è consentito e lavora dove e come può, magari in luoghi scomodi o mal serviti, comunque sempre lontani dalle proprie residenze: nei distretti industriali, nei cantieri, nelle scuole e negli ospedali o – colmo dei colmi – negli alberghi di lusso, nei ristoranti stellati di quella stessa città-vetrina in cui ieri gli si impedì di abitare e oggi anche di circolare.

Chiariamoci ancora una volta, non neghiamo l’assoluta necessità di combattere lo smog cittadino, ci domandiamo però perché mai l’unico smog che conti sia quello prodotto da chi ha meno potere e dunque meno responsabilità. Nella città – come titola La Nazione – “più multata d’Italia” (128 euro annui pro capite fonte: https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/multa-italia-1.7375338) l’unica soluzione proposta dal comune a questi cittadini è – non sorprendentemente – ancora più divieti e ancora più multe (che ben sappiamo non essere correlate in alcun modo al reddito e dunque, in proporzione, più onerose per le classi meno abbienti) .

Insomma, che la smettano una buona volta di voler circolare nella magnifica città-vetrina, si facciano un po’ più in là, che – è ovvio – produrre smog a Novoli o a Rifredi è più sano e sostenibile, se non per l’ambiente senz’altro per il sistema che si arricchisce col turismo e il suo indotto.

Ed è proprio in funzione di quello che ancora una volta la soluzione scelta non è sistemica bensì solo apparente, di facciata. La proverbiale toppa che se non è peggiore del buco, comunque il buco lo nasconde e basta, occultandolo alla vista degli unici che contino – turisti e la classe politico-produttiva che con quelli prospera. Poiché sì, contrariamente a quanto ci racconta il discorso liberal-capitalista, il problema non è mai individuale bensì collettivo e collettive e non individuali debbono essere le soluzioni.

In tempi forse più pudici, in cui la narrazione capitalista non era così mimetica e ubiquitaria, le toppe proposte al problema rappresentato dall’eccesso di smog pur godevano di una certa impronta egalitaria: poiché il problema era prodotto da tutti, tutti dovevano esserne toccati. Parliamo dell’ormai quasi dimenticata circolazione a targhe alterne. Una misura che oggi si farebbe passare come draconiana e che invece almeno aveva il pregio di non far sconti proprio a quanti – di sconti – meno avevano bisogno. Altri tempi! Tempi in cui si chiedeva al sistema economico tutto di rallentare, in nome di un bene comune – la salute pubblica e ambientale – il quale era predominante e ordinativo rispetto a ogni considerazione ulteriore. Oggi invece una cosa è chiara, anzi due: se le necessità del sistema “economico-produttivo” devono essere protette a ogni costo, quelle delle classi che tale sistema materialmente mandano avanti possono invece essere sommariamente ignorate – basterà nascondersi dietro un velo di pelosa coscienza ambientale o, un ancor più ipocrita, “ce lo chiede l’Europa”. Per rendersi conto di ciò basterà osservare la diversa cautela adottata dall’amministrazione nel gestire un altro input comunitario, la governance del settore della logistica urbana, ovvero la gestione dello spostamento e della consegna delle merci vendute tramite e-commerce. In questo caso altroché divieti arbitrari e multe salate! Nel “Piano Urbano della Logistica Sostenibile” (PULS) – documento elaborato dalla città metropolitana proprio al fine di calmierare i costi inflitti alla città da questa industria – tra i principi guida di questo PULS i nostri amministratori parlano di: “approccio partecipativo pubblico-privato stringente per evitare l’invasività e la resistenza a soluzioni «calate dall’alto» sugli operatori”; e ancora, di “complementarietà con pari «dignità» nei target e nei conseguenti indicatori di monitoraggio tra fattori di sostenibilità ambientale e sociale rispetto a quelli di sostenibilità economica del sistema operativo della logistica e dei clienti della stessa”. Insomma, nonostante il linguaggio burocratico-manageriale il punto è chiaro, gli interessi del capitale e dei consumatori devono essere tutelati. E questo malgrado, per stessa ammissione del comune, “la componente di traffico generato dalla movimentazione delle merci in ambito urbano” sia “stata stimata pari al 10% delle percorrenze veicolari complessive e responsabile per il 24% del totale delle emissioni di particolato (PM10 allo scarico)” (https://www.cittametropolitana.fi.it/puls/). Già solo così risulterà oltremodo chiaro come si sostanzi quella che a tutti gli effetti appare una doppia legislazione: draconiana e sbrigativa col ceto popolare, conciliatoria e dialogante col padronato.

Insomma, è ormai pacifico: più grande è il potere economico, più numerosi sono i diritti a cui si ha accesso. Diritto alla mobilità, all’occupare e attraversare lo spazio urbano senza varchi, ammende e divieti. Diritti concessi al grande capitale – ai colossi dell’e-commerce e della logistica, così come al comparto dell’automotive – così come alla piccola e grande rendita, la quale è libera di congestionare i centri cittadini dei propri enormi e inquinanti Suv. Vetture totalmente inadatte alla conformazione urbana delle città italiane, pesantissime e dunque – soprattutto se paragonate a coeve city car – enormemente inquinanti eppure vetture permesse se non addirittura incentivate. Ha sollevato la questione alcuni mesi fa il “Collettivo dellǝ SUVversivǝ” che in due occasioni, prima a Torino, poi a Milano, ha sgonfiato le gomme dei suv parcheggiati nelle vie del centro al fine di denunciarne la nocività. Un’azione rivendicata con alcuni volantini nei quali si spiegava come i suv occupino uno spazio ben maggiore rispetto alle più modeste (e popolari) utilitarie e come – in media – consumino, e dunque inquinino, il doppio. Motivazioni perfettamente razionali e che pur non trovano ascolto o comprensione bensì denunce ai carabinieri e – come riporta il Corriere del 19 gennaio – accuse di “estremismo talebano [all’insegna] dell’ambientalismo più sfrenato”. Si dirà di come non ci sia molto di nuovo in tutto questo, di come i ricchi e i potenti abbiano sempre goduto di maggiori libertà; ciò che è nuovo – io credo – è l’assoluta, desolante, assenza di ogni pur minimo argine (sia esso giuridico, politico o morale) al totale arbitrio di chi ha e che per sé tutto vuole, anche il diritto di spostarsi e circolare senza limiti e divieti sentendosi – per soprammercato – anche dalla parte del giusto, coscienziosi e ambientalisti. La città che viene, che si lavora a costruire, sarà dunque sempre più una città a misura di portafogli, dove l’esercitare un diretto (dall’abitare a quello alla mobilità) è possibile in misura proporzionale al proprio potere d’acquisto: un enorme parco giochi – bizzarramente – attraversato senza soluzione di continuità da piste ciclabili e giganteschi SUV per ricchi e poi da varchi, mura e telecamere a contenere e sorvegliare e multare gli altri, i lavoratori poveri, i provinciali.