Verso un’ecologia del tecnologico

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Jacques Ellul, filosofo della tecnica tra etica, estetica e politica

“Jacques Ellul aveva previsto tutto… Quasi… il nucleare, gli OGM, la pubblicità, le nanotecnologie, il terrorismo, la disoccupazione”. Fa dire a uno dei suoi personaggi Jean Luc Godard in una delle prime scene di “Adieu Au Langage”. Cristina Coccimiglio ci dice che questa sua preveggenza fu in parte oscurata dall’uscita quasi contemporanea del saggio sulla tecnica di Heidegger (1953), mentre il primo volume della trilogia di Ellul: “La tecnica (La technique ou l’enjeu du siècle, Paris: Armand Colin, 1954)” uscirà nel 1954. Il lavoro di Ellul andrà comunque avanti inserendo in questa lettura dell’età della tecnica, in questa capacità della tecnica di farsi sistema, i rapporti che intrattiene con l’organizzazione politica e sociale e le coercizioni che essa è capace di creare.

Raccontandoci in definitiva la potenza modellatrice della tecnica stessa. Si parla perciò di ambiente, della ricerca, dei modi di pensare, del lavoro, dell’arte, della dimensione antropologica, della propaganda e quindi della politica. Cristina Coccimiglio fa qui un lavoro di ripresa del suo pensiero certamente utile in sé, ma che, nel dimostrarne la sua attualità, riesce anche a collocarlo in una serie di filoni speculativi con i quali oggi è indispensabile fare i conti. La decrescita, i mezzi di comunicazione di massa, l’impotenza della politica, le tecnocrazie per restituirci un Ellul precursorə di coloro che tenteranno, e tentano, di raccontare criticamente la tarda modernità. È un’operazione fondamentale per restituirci un ritratto intellettuale di questo fecondo pensatore, ma anche per recuperare alcuni suoi concetti e metterli al lavoro, dimostrandone così la loro pregnanza.

Le innumerevoli sfaccettature del personaggio Ellul che usa e ammira Marx non essendo marxista, il teologo che mantiene sullo sfondo il valore della trascendenza, mentre individua i meccanismi e i dispositivi di potere che il sistema tecnico riesce a diffondere e mettere in opera. Questa sua elasticità, che ben si accompagna con il suo approccio multidisciplinare, divenendo così feconda di risultati, sarà il suo pregio ma anche il suo difetto. Si ha come la sensazione di un affondo che rimane sospeso. Di una critica che trova infinite sponde dimostrando da un lato la complessità della materia, dall’altro la difficoltà a trovare un modo efficace per descriverla. La sintesi che riesce a fare è forse quella che lo espone in maniera più evidente alla critica ben illustrata dall’intervento di Bernand Stiegler nell’intervista rilasciata dallo stesso all’autrice e pubblicata nelle ultime pagine. Per Ellul molti dei problemi della tarda modernità sarebbero da imputare al sistema tecnico. Gli risponde Stiegler che il sistema tecnico è sustanziale alla dimensione umana e che il problema sarebbe invece la sua implementazione da parte del capitale: “Ho l’impressione che [Ellul] tenda a pensare che il sistema tecnico si imponga improvvisamente agli umani. Non è affatto così: ciò che si impone all’uomo è il dominio capitalista” (p. 178). Ma non è che Ellul non vedesse la presa che il capitalismo esercitava nell’ordine delle cose, anzi spesso ne interpretava e smascherava le azioni, riconoscendo altrettanto spesso il valore delle letture marxiste dei fenomeni stessi, ma è come se non volesse dare al capitalismo il ruolo di attore principale e di perno intorno al quale il mondo si riorganizzava in una modernità asfittica e tossica. La parola magica era sistema tecnico; sistema come insieme

Diciamo comunque che la preveggenza di Ellul non si esauriva in quella sua visione complessiva ma che anzi si esplicitava in una serie di modalità delle quali ci forniva la chiave interpretativa e una ricca serie di strumenti decostruttivi nei riguardi dei dispositivi e del loro funzionamento. La cosa straordinaria è che Ellul scriveva molte cose prima dell’avvento della rete e dell’universo digitale. Da un mondo analogico nel quale comunque si parlava di cibernetica, il suo sguardo critico ci ha raccontato le infinite sfaccettature distopiche che di lì a poco si sarebbero affermate.

Il pregio del libro di Coccimiglio e di aver raccolto in un unico spazio tutta la ricchezza del pensiero di un autore fondamentale, mettendocelo a disposizione. È in questa messa a disposizione che si coglie appunto il tratto profondo e trasversale del suo lavoro. Averlo a disposizione significa averlo a portata di mano con gli strumenti approntati all’uso e pronti per essere ri-utilizzati. L’autrice fa un lavoro apparentemente storico e documentaristico, qualcosa che sa in un primo momento di accademia, in realtà fa opera di sfoltimento per offrirci strumenti epistemologicamente validi per operare oggi: per questo individua un filone di studiosi che in qualche modo proseguono Ellul come il già citato Stiegler o i pensatori della decrescita, mantenendo però un suo tratto distintivo.

Probabilmente è oggi più spendibile il concetto di de-potenza (di Ellul) che non quello appunto di de-crescita che ha troppe assonanze con, agli occhi degli ultimi, le austerità dovute patire. Un concetto che svela le incongruenze e il lato elitario dei fautori della potenza che sponsorizzano il transumano. Dei visionari alla Elon Musk il cui sol dell’avvenire occupa soltanto l’orizzonte del loro mondo. Si tratta invece di un concetto più vicino a quello della convivialità di Illich – autore per altro amato da Ellul – che non appunto a quello di Latouche per altro bocciato anche da Stiegler.

Il grosso dell’operazione di Coccimiglio ci sembra legata al valore della differenza tra il meccanicismo che esclude le sensazioni affidandosi allo strettamente calcolabile se non computabile del sistema della tecnica (eterodiretto dal capitalismo, aggiungiamo noi) e che lega dette sensazioni non a un piano idealistico e trascendente ma all’immanenza della carne “che fa segno al radicamento dell’umano nella physis” (p. 9). Un’operazione che ha perciò valenze plurime sia di critica del modello descrittivo della realtà, sia di quello di una sensibilità ambientalista che reintegra l’umano nella natura e che si rivolge a quell’umano che se ne era tirato prometeicamente fuori. Una critica che individua nel parametro dell’efficacia il perno attorno al quale ruota la visione del mondo del sistema della tecnica, della modernità contemporanea dove l’efficacia coincide con la massimizzazione del profitto. Di efficacia ne parla in più punti l’autrice che è interessata al funzionamento del modello e che vede nella descrizione dello stesso un modo per raccontarci il più filologicamente possibile Ellul, probabilmente conscia che il termine “efficacia” renda conto correttamente del funzionamento del dispositivo tanto che per noi diventa facile confrontarlo con la tendenza all’aziendalizzazione del mondo impostaci dalla visione capitalista dello stesso e alla sua riduzione a un utilitarismo che lascia fuori di sé gran parte dei comportamenti ludici ed estetici.

Un’estetica che si sottomette a un’etica, a un’etica spuria dell’elemento dialogico che le tecniche hanno sempre di più messo in secondo ordine. Si prefigura così quel soggetto di relazione da dover recuperare. Un soggetto la cui creatività è una forma di comunicazione con l’altrə, una forma di narrativa (qui), di mitopoiesis fondativa, che la normalizzazione tecnica tende a escludere

Un recupero degli aspetti simbolici che prima della modernità, o fuori da essa, potevano essere inseriti in quei gesti quotidiani rivisitati dalla tecnica attraverso i quali la potenza del sapiens si poteva arricchire soltanto nel momento in cui la tecnica si soprammetteva all’ambiente relazionale che faceva dell’invenzione creatrice un passo ulteriore in favore delle relazioni tutte. È qui in questo spazio di scelta che si biforca la storia della specie che fa della tecnica quella che Stiegler chiama un pharmakon. Una terapia o un veleno. Ma non un aspetto neutro. Non esiste la neutralità della scienza e della tecnica. C’è un dosaggio, un modo d’uso, una relazione, una commistione che libera la facoltà terapeutica. Ed è in questa relazione o nella sua negazione che si può manifestare il lato tossico. Non tutti i prodotti della tecnica sono infatti pharmakon, ce ne sono alcuni tossici all’origine.

Il problema della tecnica non può essere semplice nostalgia di tempi che furono; ogni critica della modernità non è automaticamente nostalgia. Quello che spariglia le carte è l’avvento di un sistema, è il dispiegarsi della tecnica, il sistematizzarsi delle pratiche singole in un corpo che acquista così una certa autonomia. Ellul stigmatizza il passaggio attraverso il quale il sapiens diviene servitore della tecnica. Dove l’azione umana non è semplicemente una azione che usa la tecnica e non per esempio la magia, ma dove soltanto il gesto tecnico è possibile. È questo il senso della sistematizzazione della tecnica. L’intera vita viene allora catturata dal sistema. Nell’infosfera digitale l’esigenza di profilare gli utenti, di iscriverli ognuno ad una nicchia di mercato, mette in mostra il carattere performativo e sistemico della tecnica. L’umanità che usava la tecnica viene oggi usata e formata dalla tecnica stessa. Anche qui si potrebbe fare notare che tutto questo non è un problema connesso semplicemente alla evoluzione della tecnica ma all’uso che il capitalismo ne ha fatto. Se rimaniamo ancorati a questa critica non possiamo però cogliere il contributo che Ellul ha dato alla spiegazione dei vari gesti tecnici. Un enorme lavoro di decriptazione della loro valenza, del loro funzionamento e delle conseguenze dirette o indirette che la loro adozione ha prodotto. Un lavoro che non si concentra in una singola opera. Il carattere pervasivo e sistemico della tecnica ha infatti ripercussioni in innumerevoli campi che la cultura multidisciplinare di Ellul è riuscita a illustrare e che Coccimiglio riassume e mette al lavoro, confrontando, dove possibile, i risultati di Ellul con quelli di altri autori. Un gran lavoro e una pari utilità. Ma non soltanto facendo storia della filosofia o storia del pensiero tecnico, ma cogliendone l’attualità e il suo possibile uso strumentale. Il termine “efficace” diviene allora l’elemento rivelante, il pertugio strutturale attraverso il quale si misurano le implementazioni tecniche e si giudica quello che è giusto. Anche qui il fatto che la tecnica sia l’espressione del capitalismo diviene scontato e sarebbe inutile continuare a ribadirlo.

Ci troviamo dentro un cul-de-sac dove il rifiuto della tecnica sarebbe un rifiuto dell’umano e dove la ricerca di una via di uscita si concreterebbe in un “essere, la cui essenza coincide con la sua irriducibilità alla dimensione computabile e materiale” (p. 36). Si rinnova così indirettamente il conflitto tra la specie umana (e i suoi alleati organici e inorganici) e quella tecnocrazia capitalista che si sforza di fare perfettamente il contrario. Restare umani è allora una chiamata che non ricentralizza l’umano, ma che lo restituisce alla sua dimensione carnale e relazionale. E di questo Ellul è perfettamente cosciente: “Sebbene Jacques Ellul non tematizzi in maniera specifica la questione, lo sviluppo dei legami sociali fondati sul riconoscimento dell’altro si configura come un paradigma di relazionalità che egli mette a fondamento di un’auspicabile ‘azione’ di dissidenza nella società tecnica” (p. 105), dice Coccimiglio.

Fondamentale in questo ampio excursus è il terzo capitolo del lavoro dell’autrice, quello sull’estetica, sul rapporto tra arte e tecnica, dove Coccimiglio recupera tramite Ellul un dibattito fondamentale per la critica delle trasformazioni antropologiche che il sistema tecnico (eterodiretto dall’interesse capitalistico) provoca. Si tratta dell’annosa questione del rapporto tra immagine e parola che qui viene arricchita di contenuti non banali, capaci di accrescere il ragionamento che ha coinvolto numerosi autori anche contemporanei. Tra tuttə Jacques Derrida e Adriana Cavarero. E dove è possibile pensare lo sbocco relazionale in termini prima estetici e poi etici e dove l’estetica si mostra nella sua potenzialità contrastativa al lavoro normalizzante dell’apparato socio tecnico.

Cristina Coccimiglio, Verso un’ecologia del tecnologico. Jacques Ellul, filosofo della tecnica tra etica, estetica e politica, ombre corte, Verona 2023, pp. 191, € 18.00

Le immagine sono state generate da una Intelligenza Artificiale Text To Imagine, su input testuale dell’autore

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Gilberto Pierazzuoli

Attivista negli anni 70 . Trasforma l'hobby dell'enogastronomia in una professione aprendo forse il primo wine-bar d'Italia che poi si evolve in ristorante. Smette nel 2012, attualmente insegnante precario di lettere e storia in un istituto tecnico. Attivista di perUnaltracittà.

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