Perché a chi legge potrebbe interessare oggi la vicenda del Podere Mattonaia a Gavinana? Una concezione del tempo di tipo emergenziale può portarci a concentrare oggi l’attenzione, ad esempio, sulla Toscana alluvionata o sul conflitto israelo-palestinese; una visione delle cose “benaltrista” tenderebbe a direzionarci ad esempio verso la guerra in Ucraina, dove da un anno e mezzo a questa parte sono esplose con gli eserciti le contraddizioni su larga scala di politiche globali che mirano alla ridefinizione dei rapporti di forza internazionali e quindi alla riproduzione di certi capitali piuttosto che di altri. Tuttavia, crediamo che per quanto circoscritta, la nostra vicenda non si ponga su un piano differente dalle altre menzionate, bensì meriti di rimanere connessa alla realtà che cambia, per mantenere vivo il fuoco vitale della rabbia, e quindi le nostre speranze di fare la nostra parte anche in questo piccolo caso.
La storia della vicenda è stata più volte raccontata dai giornali e da questa stessa rivista, e non vale quindi la pena di tornarci in maniera dettagliata. Riprendendo le fila degli ultimi avvenimenti, sarà sufficiente riportare che dopo anni di battaglie legali, i lavori per trasformare il terreno, coltivato dal XIV secolo, in un parcheggio privato, sono iniziati esattamente un anno fa e proseguono oggi a ritmi serrati.
Giovedì 26 ottobre gli abitanti delle vie limitrofe al Podere, aiutati dalla partecipazione del quartiere, hanno sostanziato con la loro presenza e con i loro slogan non già chissà quale campagna elettorale, infiocchettata ad uso di una democrazia istituzionale fuori tempo massimo e tradita dalla costante “necessità” di accompagnare la riproduzione di capitale provocando i più vari tipi di oppressione. Né hanno cercato di dar corpo ad un privilegio, ma al proprio diritto, che come ogni diritto viene conquistato ogni giorno con la forza nel suo esercizio.
L’intreccio di interessi, individuali e collettivi, che attraversano la composizione del soggetto abitanti-quartiere scaturisce da un desiderio condiviso di sicurezza su più livelli: 1) urbanistico, perché il parcheggio presenta criticità legate alle misure degli accessi, in entrata e in uscita delle auto, costituendo fattore di rischio per i pedoni e per la viabilità di via Caponsacchi e via di Ripoli; 2) economico, dal momento che molti proprietari di casa vedranno diminuire il valore della propria casa, e anche accettando le leggi del mercato (cosa che comunque qui non intendiamo fare), nessun affittuario raccoglierà i benefici di una diminuzione della rendita, per il semplice motivo che di affittuari quasi non ce ne sono; 3) ecologico, dato che si cancellerà un’area verde, sorgente di vita e di salute, per far posto al cemento e all’inquinamento atmosferico [su questo punto, si veda anche l’articolo di Gilberto Pierazzuoli contenuto in questo numero. Dall’altro lato della barricata: il profitto dei proprietari e una rete di alleanze su cui appoggiarsi e di cui ricordarsi in futuro.
Il procedere delle vie legali, dopo aver regalato negli anni anche molte soddisfazioni, si è arrestato sulla promessa di un collaudo alla fine dei lavori, con il quale si dovrà verificare il rispetto delle norme di sicurezza del parcheggio, pena il ripristino dell’area come si presentava precedentemente. Nel frattempo, tuttavia, l’esigenza di redigere il nuovo Piano operativo comunale, incalzato dalla sensibilità ecologista dei cittadini (frutto di decenni di battaglie in tutto il mondo), ha costretto la giunta comunale ad inserire il Podere, nonostante il permesso già concesso ai lavori (2021), tra le «aree verdi di permeabilità ecologica», categoria che prevedrebbe la tutela del bene in questione. Quando scandiamo «Nardella, revoca il permesso!» non ci appelliamo quindi al suo buon cuore, né alle sue eventuali promesse, ma alla speranza che saremo abbastanza forti da imporre, sfruttando anche il clima elettorale, una maggiore convenienza per la giunta di conquistarsi qualche punto immagine assecondandoci e salvando il Podere, rispetto alla convenienza di abbracciare i meccanismi distruttivi del mercato e dei buoni rapporti con attori localmente molto potenti, fino a prova contraria. Siamo noi la prova contraria?
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