Il distretto industriale situato nel territorio metropolitano nord-occidentale fiorentino si trova da anni stretto in una duplice morsa: da un lato la caduta tendenziale del saggio di profitto di piccole e medie imprese che operano nel settore dell’abbigliamento, della pelletteria e dell’automotive per conto di grandi fondi finanziari; dall’altro la lotta operaia, portata avanti da una composizione per lo più immigrata dal Pakistan e dal Bangladesh contro lo sfruttamento sul lavoro, per una vita dignitosa, dove investire per coltivare i propri orizzonti di senso.
Nella notte tra martedì e mercoledì quattro individui, probabilmente italiani, hanno aggredito con spranghe di ferro uno dei picchetti ancora attivi dopo lo Strike Day iniziato domenica 6 ottobre, che ha visto scioperare compatti molti lavoratori di cinque piccole aziende del territorio all’interno della campagna Shame in Italy lanciata dal sindacato Sudd Cobas. Nei giorni precedenti tre di queste avevano presto ceduto alle pressioni e proposto nuovi contratti.
I ragazzi aggrediti sono rimasti leggermente feriti, ma il corteo “spontaneo” sviluppatosi subito dopo per le strade di Prato non ha lasciato spazio alla paura. Che ogni attacco subìto diventi il pretesto per rompere gli equilibri, per scartare, con un pizzico di follia, dalla mediazione di chi quegli equilibri preferisce mantenerli per salvare il proprio posto al sole. Le chiamano tattiche di compromesso, ma il compromesso lo fanno solo loro, e intanto fanno carriera e si lasciano dietro le vite e la sofferenza di chi hanno tradito.
Da un lato abbiamo la “crisi delle imprese”, dall’altra quella degli operai. Verso la prima politici e giornalai si sperticano nel proporre aiuti economici: non sia mai che qualche onesto imprenditore si trovi costretto a delocalizzare per continuare a permettersi la Tesla e la BMW, la scuola privata per i figli e via dicendo. Per la seconda si fa un bel gridare allo scandalo quando un’aggressione può fare notizia, quando un presidio si offre naturalmente come palcoscenico per passerelle più o meno “in buona fede”, salvo poi affidare le parole al vento della Grande politica. “Devono muoversi, a Roma”, si sente dire, e infatti si muovono, a Roma, ma a colpi di guerra e di decreti sicurezza.
Ben vengano i soldi nel distretto, ma per alleggerire i turni di lavoro, per dare un reddito a chi non ce l’ha e per curare il territorio. E via con le solite chiacchiere, su cui non ci dilunghiamo, perché il problema oggi non è la visione ma lo sono i rapporti di forza.
Domani, domenica 13 ottobre, dalle 17:30 per le strade di Seano capiremo insieme a che punto siamo e come andare avanti con le lotte.


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